Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13968 del 29/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13968 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAUDIOSO CARMELO ANDREA N. IL 23/06/1992
avverso la sentenza n. 3/2014 CORTE ASSISE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 14/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO MINCHELLA
Udito il Procuratore Gpnerale in persona del Dott. 4.„,-1-5-14;
che ha concluso per -(2
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 29/10/2015

RILEVATO IN FATTO
Con sentenza in data 18.11.213 il GIP del Tribunale di Palmi, a seguito di giudizio
abbreviato, condannava Gaudioso Carmelo Andrea alla pena di anni sedici e mesi otto di
reclusione per omicidio aggravato da premeditazione, abuso di circostanze atte a minorare
la privata difesa e futili motivi nonché per avere portato fuori dall’abitazione un coltello
utilizzato per commettere l’omicidio ai danni di Sgrò Vincenzo.
La vicenda aveva preso avvio in data 30.03.2013, allorquando un servizio di medicina di

presso una persona gravemente ferita in un’aggressione; si constatava così che, nella
località di Seminara, Sgrò Vincenzo era stato gravemente ferito nella sua abitazione e
presentava ferite multiple da taglio con eviscerazione; nella casa veniva rinvenuto il
coltello adoperato per l’aggressione. Si verificava che lo Sgrò aveva attirato, con le sue
urla, i parenti che vivevano in una abitazione vicina alla sua e, ancora ferito, aveva
indicato a due congiunti la persona del suo aggressore in Carmelo Gaudioso, <>, affermando che l’aggressione era avvenuta <>; i
parenti avevano riferito subito queste circostanze alla polizia giudiziaria, che in breve
identificava nell’imputato la persona indicata dalla vittima; iniziavano le ricerche, ma non
davano esito sino alla sera del giorno stesso, quando il Gaudioso faceva rientro a casa, ivi
trovandovi i Carabinieri che lo traevano in arresto. Sentito con le garanzie di legge,
l’imputato ammetteva di avere colpito più volte la vittima con un coltello; attribuiva la
genesi della sua condotta ad un atteggiamento di scherno e di offesa che la vittima
avrebbe avuto numerose volte nei suoi confronti sottolineando le sue difficili condizioni
economiche e ricordando gli aiuti economici che aveva elargito alla sua famiglia; inoltre
spiegava che lo Sgrò, che era separato dalla zia del Gaudioso, non perdeva occasione per
offendere la medesima e per rimarcare di essere costretto a versare una somma per il
mantenimento recandosi ad un lontano ufficio postale perché la ex moglie non intendeva
aprire un conto corrente bancario; così, nel giorno indicato, egli, dopo avere prelevato un
coltello dal garage dei nonni, si era recato presso la vittima intimandogli di cessare con
quell’atteggiamento, ma aveva ottenuto una risposta ostinata e ciò gli aveva fatto perdere
la testa; compresa la gravità del suo gesto, era inizialmente fuggito presso un cugino della
fidanzata, ma, saputo di essere ricercato, aveva deciso di costituirsi. Nel frattempo lo Sgrò
veniva condotto in ospedale ed ivi sottoposto ad interventi medici, ma, al secondo giorno
di degenza, egli spirava per shock cardiogeno; le operazioni autoptiche accertavano che la
ferite e le traiettorie dei tramiti indicavano che l’aggressore aveva impugnato il coltello con
un pugnale, con lama verso il basso, infliggendo i colpi dall’alto verso il basso, inizialmente
nell’area del capo e da tergo, con la vittima seduta e l’aggressore in piedi; i successivi colpi
erano stati frontali ed il raggruppamento delle lesioni deponeva per un rapido susseguirsi

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urgenza aveva contattato la Compagnia Carabinieri di Palmi per una richiesta di intervento

di fendenti, con lievi cambiamenti di posizione; ferite da taglio ed ecchimosi attestavano
lesioni da difesa passiva sugli avambracci della vittima.
In esito al giudizio abbreviato, il GUP individuava il movente nell’abitualità con la quale lo
Sgrò era solito offendere la zia dell’imputato sia per il versamento della somma di
mantenimento che per il fastidio di recarsi all’ufficio postale di Palmi; il GUP escludeva la
prospettiva difensiva di un omicidio preterintenzionale sia perché le coltellate inferte erano
state in numero di nove (le prime due da tergo) sia perché nulla dimostrava che vi fosse
stata una colluttazione, pure adombrata dalla Difesa: in ogni caso, il numero dei colpi

riteneva sussistente la premeditazione, desunta dal fatto che il Gaudioso, di anni 21 di età,
aveva inteso affrontare lo zio, di anni 81 di età, recandosi da lui con un coltello e
rafforzando il suo proposito che era sorto da tempo a causa delle offese: si ravvisava
quindi una premeditazione condizionata, nel senso che il Gaudioso aveva deciso di
minacciare lo Sgrò e, se costui non avesse inteso accettare le sue richieste, avrebbe
portato la sua azione alle estreme conseguenze. Si riteneva sussistente anche la
circostanza aggravante dei futili motivi: l’unica offesa realmente accertata era quella
portata sovente alla zia del Gaudioso, mentre verso costui si concludeva che la vittima
manteneva un atteggiamento burbero, ma non insolito in persone anziane che vivono sole.
Parimenti si riconosceva anche la circostanza aggravante della minorata difesa, giacchè
l’aggressione era stata portata ai danni di una persona anziana, che viveva sola e che
aveva aperto la porta della sua abitazione senza avvertire alcun pericolo. Riconosciute le
circostanze attenuanti generiche come equivalenti alle contestate circostanze aggravanti,
la pena finale era pari ad anni sedici e mesi otto di reclusione.
La Difesa dell’imputato proponeva appello. In primo luogo, chiedeva la riqualificazione
dell’omicidio premeditato in omicidio preterintenzionale: si contestava che potesse parlarsi
di futili motivi, poiché le offese dello Sgrò venivano effettuate spesso ed alla presenza degli
amici dell’imputato, il quale – si sosteneva – si era recato dalla vittima per chiarire quella
situazione, ma dinanzi alla reazione stizzita di quella, aveva perso il lume della ragione,
colpendo con un coltello ma con l’evidente intento di ferire e non di uccidere altrimenti
avrebbe potuto farlo con un solo colpo, mentre, al contrario, gli esiti autoptici non
potevano escludere che vi fosse stata una colluttazione, la quale non consentiva di
accertare l’inequivoca volontà di uccidere: la situazione sarebbe stata rappresentata in
modo evidente dalle conversazioni intercettate tra il Gaudioso ed i suoi familiari in carcere,
quando costoro lo esortavano a riferire delle tante offese patite dalla vittima; si
evidenziava che le ferite erano multiple, ma nessuna era stata, di per se stessa, mortale,
tanto che lo Sgrò era morto in un secondo tempo, a distanza di due giorni, forse anche a
causa di possibili ritardi nei soccorsi. Si contestava la ritenuta sussistenza della
premeditazione, desunta dal solo possesso di un coltello; dei motivi futili, che non
consideravano il lungo periodo di sopportazione di offese; della minorata difesa, giacchè la

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inferti non veniva ritenuto compatibile con una involontarietà della condotta. Il GUP

vittima non soffriva per condizioni che la rendessero incapace di difendersi. Si sosteneva
che avrebbe dovuto essere riconosciuto lo stato di ira provocato da fatto ingiusto altrui ed
accumulatosi nel tempo nonché che le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto
essere considerate come prevalenti.
Con sentenza in data 14.04.2014 la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria
condannava il Gaudioso, ma riformava parzialmente la prima sentenza, infliggendo una
pena finale di anni dodici e mesi due di reclusione. In primo luogo si riteneva infondata la

dell’imputato non offrivano alcuna ricostruzione lucida e parimenti il carattere non letale di
molte ferite non dimostrava una involontarietà dell’evento; a ciò ostava il fatto che il
Gaudioso, dopo avere inferto le prime ferite, non aveva cessato la sua azione, ma anzi
l’aveva protratta cagionando la lacerazione dell’intestino, del diaframma e dei lobi epatici;
quanto alle risultanze autoptiche, nulla poteva fare ipotizzare una colluttazione tra
aggressore e vittima, atteso che le prime coltellate erano state inferte al capo e da tergo e
le altre avevano provocato ferite da difesa passiva nella vittima. Si riteneva invece che la
sequela ininterrotta di colpi non lasciava dubbi sulla intenzionalità di provocare la morte,
dimostrata dalla violenza dei fendenti, dalla loro reiterazione, dalle parti del corpo attinte,
dall’accanimento su di un anziano disarmato; seppure l’originaria intenzione fosse stata
quella di far desistere la vittima dai suoi atteggiamenti e poi fosse esplosa la rabbia, ciò
non escludeva l’intenzionalità, giacchè il dolo poteva atteggiarsi come diretto od eventuale,
compatibile con l’impeto; la vittima era ancora viva alla fine dell’azione non perché
l’imputato avesse mutato intendimento, ma perché si era reso conto della gravità della sua
azione. Si respingeva poi la prospettazione di una morte dovuta anche a ritardi nei
soccorsi, sia perché ciò non era dimostrato d alcunché sia perché le ferite erano comunque
mortali nel loro complesso. Tuttavia veniva esclusa la circostanza aggravante della
premeditazione, ritenendo che l’impossessamento del coltello provava soltanto
l’intenzionalità della condotta e la predisposizione del mezzo minimo necessario, ma non
anche l’insorgere da tempo del proposito omicida. Si riteneva invece sussistere la
circostanza aggravante dei motivi futili, giacchè la scaturigine ultima dell’omicidio erano
state le espressioni scortesi ed offensive verso la zia dell’imputato, certamente disdicevoli,
ma non tali da scatenare violenza ed aggressività: pertanto l’azione omicidiaria veniva
ritenuta estranea ad uno schema di reazione ragionevolmente accettabile. Parimenti si
riteneva sussistere la minorata difesa, per la differenza di età, per la sorpresa sfruttata
nell’aggressione, per la fiducia nutrita dall’anziano e per avere agito inizialmente da tergo.
Si respingeva la prospettazione di uno stato di ira provocato da fatto ingiusto della vittima,
la quale non risultava avere agito in modo vessatorio verso l’imputato, anche perché
l’enorme divario tra reazione ed offesa faceva pensare più a vendetta e rancore che non ad
ira momentanea. Si riteneva infine che le circostanze attenuanti generiche dovessero

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richiesta di riqualificare il fatto come omicidio preterintenzionale: i ricordi confusi

prevalere sulle circostanze aggravanti, per cui la pena inflitta risultava sensibilmente
ridotta.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso l’imputato a mezzo del suo Difensore,
enucleando diversi motivi. Come primo motivo si deduceva ex art. 606, comma i. lett. e),
cod.proc.pen. la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
richiesta di riqualificare il delitto in omicidio preterintenzionale: si contestava che la Corte
di Assise di Appello avesse ritenuto confusi i ricordi del Gaudioso relativi alle fasi

casa della vittima, poiché il sentimento di angoscia non poteva sparire in pochi secondi; ed
ancora, si contestava il rifiuto di riconoscere l’avvenuta colluttazione sulla base delle
risultanze autoptiche, le quali invece facevano deporre per l’esistenza di ferite da difesa
passiva della vittima, indice di una lotta con l’aggressore: peraltro era stato trascurato il
fatto che una clavicola della vittima presentava i segni di un morso, che corroborava la tesi
della colluttazione, così dando luogo ad un travisamento delle risultanze istruttorie. Come
secondo motivo si deduceva ex art. 606, comma 1 lett. e), cod.proc.pen. la
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla richiesta di
riconoscere l’insussistenza dei futili motivi: si evidenziava che la Corte di Assise di Appello
aveva escluso che le condizioni di vita del Gaudioso fossero tali da distorcere il suo giudizio
sulla gravità della condotta, ma poi, con riferimento al trattamento sanzionatorio, aveva
richiamato quel contesto sociale e ambientale connotato da un radicato senso dell’onore
che poteva aver condizionato la sua condotta criminosa, ma così era caduta in una palese
illogicità e contraddittorietà. Ed ancora, alcuni atti istruttori tendevano a dimostrare che
l’imputato era da tempo sottoposto ad angherie ed offese, ma la Corte territoriale non
aveva preso in considerazioni tali acquisizioni. Come terzo motivo si deduceva ex art. 606,
comma 1 lett. b), cod.proc.pen. l’erronea applicazione della legge penale in relazione al
riconoscimento della circostanza aggravante dei futili motivi: il movente era stato
individuato nella volontà di tutelare l’onore e la dignità della zia, ma questo motivo non
poteva ritenersi futile poiché, rapportato al contesto culturale e sociale, non poteva
ritenersi talmente inconsistente da non essere la vera causa dell’azione bensì solo un
pretesto. Come quarto motivo si deduceva ex art. 606, comma 1 lett. b), cod.proc.pen.
l’erronea applicazione della legge penale in relazione al riconoscimento della sussistenza
della circostanza aggravante della minorata difesa, la quale era stata ritenuta sussistente
per la minore prestanza fisica della vittima e per la fiducia riposta nell’aggressore: ma la
condizione di minorità non andava confusa con la maggiore prestanza dell’aggressore
bensì nella menomazione delle capacità di percezione e reazione della vittima, che invece
non era mai emersa nel corso del processo. Come quinto motivo si deduceva ex art. 606,
comma 1 lett. e), cod.proc.pen. la contraddittorietà della motivazione in relazione alla
richiesta di riconoscere la circostanza attenuante dello stato d’ira determinato da fatto
ingiusto altrui: si sosteneva che l’affermazione secondo la quale la vittima non aveva mai
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dell’azione ornicidiaria e verosimili gli stessi in ordine alle ragioni per cui era fuggito dalla

offeso l’imputato, ma soltanto la zia di questi, era processualmente contraddittoria in
quanto trascurava alcune risultanze probatorie che indicavano offese anche al Gaudioso ed
ai suoi familiari. Come sesto motivo si deduceva ex art. 606, comma 1 lett. b),
cod.proc.pen. l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancato
riconoscimento della circostanza attenuante dello stato d’ira determinato da fatto ingiusto
altrui: il fatto che le offese fossero rivolte alla zia dell’imputato e non anche all’imputato
non escluderebbe la spinta provocatoria causata dal fatto ingiusto, poiché il legame con la

richiamati i concetti di adeguatezza e proporzionalità che non costituiscono connotati della
circostanza de qua, mentre non si era considerato che il nesso di causalità tra offese ed
evento morte sussisteva oggettivamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso sono infondati.
Gli accadimenti che hanno dato origine alla decisione in esame sono stati sintetizzati nella
parte precedente e devono intendersi qui richiamati al fine di evitare inutili ripetizioni. Gli
stessi, nella loro materialità, possono ritenersi come incontrastati, giacchè nemmeno il
ricorso contesta che l’imputato Gaudioso Carmelo Andrea abbia colpito più volte Sgrò
Vincenzo con fendenti di coltello tali da provocare ferite multiple, eviscerazione, e, come
conseguenza finale, la morte della vittima.
Anche le risultanze della ricostruzione medico-legale non sono contestate: le ferite da
taglio sul corpo dello Sgrò sono molteplici e, nel dettaglio, si tratta di nove coltellate;
quelle inferte per prime in senso cronologico sono state assestate da tergo mentre i
successivi colpi sono stati frontali; l’arma era impugnata dal ricorrente come un pugnale,
con la lama verso il basso ed i colpi stessi sono stati vibrati dall’alto verso il basso:
inizialmente si è trattato di colpi portati nell’area del capo e da tergo, con la vittima che
era seduto e l’aggressore che si trovava in piedi, mentre per il prosieguo della condotta il
raggruppamento dei colpi aveva fatto concludere per un rapido susseguirsi dei fendenti;
ferite da taglio ed ecchimosi attestavano,poi, lesioni da difesa passiva sugli avambracci
della vittima.
Parimenti risulta che la vittima dell’aggressione è deceduta circa due giorni dopo, nel
mentre era ricoverata in ospedale: la causa della morte, uno shock cardiogeno, era diretta
conseguenza delle ferite inferte e faceva seguito ad un disperato intervento chirurgico di
resezione ileale, sutura di varie lacerazioni, tamponamento di emorragia del parenchima
epatico. Le lesioni erano macroscopicamente rilevabili.
La vittima ed il ricorrente non erano due reciproci sconosciuti: anzi, la vittima (definita
come uomo anziano, solitario e burbero) era l’ex marito della sorella della madre del
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persona offesa dalle contumelie era molto rilevante; ed ancora si rileva che erano stati

ricorrente; pertanto lo Sgrò era uno zio del Gaudioso e quest’ultimo talora aveva svolto dei
piccoli lavori per il primo, ricevendone qualche compenso pecuniario. Nel corso del
processo era però emerso un sostrato di vecchio astio, generato da offese che sovente la
vittima rivolgeva alla zia del ricorrente, a causa sia del versamento di danaro da effettuare
verso di lei (derivato dalla separazione) sia del fatto che il versamento doveva effettuarlo
presso un ufficio postale distante dalla sua abitazione; inoltre il Gaudioso aveva sostenuto
che la vittima più volte si sarebbe lasciato andare ad espressioni offensive verso di lui,

infine, spinto il ricorrente ad armarsi di coltello ed a recarsi presso l’abitazione della
vittima, la quale lo aveva fatto entrare senza sospettare alcunché; ma, nel corso
dell’incontro, dopo una intimazione del Gaudioso a cessare dalle azioni offensive e di fronte
ad una reazione burbera dello Sgrò, il ricorrente avrebbe perso ogni freno inibitore dando il
via alla brutale e letale aggressione sopra meglio descritta.
Tutto ciò non è contestato e rappresenta la base oggettiva e fattuale sulla quale si devono
sviluppare le successive argomentazioni, le quali muovono dai motivi di ricorso del
Gaudioso i quali, fondamentalmente, si articolano sulla qualificazione del delitto (omicidio
preterintenzionale e non anche doloso) e sulla sussistenza delle circostanze aggravanti
ritenute (motivi futili, minorata difesa) nonché sulla insussistenza di circostanza
attenuante invocata (reazione in stato di ira).
Ma, per come anticipato, nessun motivo di ricorso può trovare accoglimento, per come più
analiticamente sarà spiegato a seguire.
§ 1. Come primo motivo di doglianza viene dedotta una contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in relazione alla richiesta di riqualificare il delitto in omicidio
preterintenzionale: non avrebbe potuto la Corte di Assise di Appello ritenere come confusi i
ricordi del Gaudioso relativi alle fasi dell’azione omicidiaria e, per converso, non avrebbe
potuto ritenere come verosimili gli stessi in ordine alle ragioni per cui era fuggito dalla casa
della vittima.
In primo luogo, va detto subito che la Corte reputa del tutto corretta la qualificazione del
delitto commesso dal Gaudioso come delitto doloso e non anche come preterintenzionale;
appare corretto anche l’avere escluso la premeditazione: l’avere il ricorrente preso un
coltello prima di recarsi dalla vittima può soltanto attestare una preordinazione, ma non
anche gli elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione, i quali
sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e
l’attuazione di esso – tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del
recesso – e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità
nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine, dovendosi essa essere esclusa
quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale
cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei

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motivate da una non felice condizione economica di questi. Siffatte dinamiche avrebbero,

mezzi di esecuzione del reato. Ma, tornando all’argomento iniziale, l’azione posta in essere
dal ricorrente non aveva alcuna connotazione del delitto preterintenzionale.
Si consideri che la possibilità di qualificare il fatto ai sensi dell’art. 584 cod.pen. imponeva
l’acquisizione di elementi che dimostrassero che l’autore si era prefissato solo lo scopo di
intaccare l’incolumità personale e che soltanto una interferenza causale impropria aveva
determinato l’offesa della vita.
Al contrario, nella fattispecie, si era accertato che il ricorrente aveva inferto alla vittima

corporee, mentre la vittima era del tutto in balia del suo aggressore. L’aggressione era
dunque iniziata da tergo e mentre la vittima, ignara, era seduta.
Alla stregua di questi dati oggettivi, il Collegio deve rilevare che i giudici di appello hanno
escluso la tesi della preterintenzionalità, in base ad un percorso argomentativo del tutto
logico e coerente e pienamente aderente alle risultanze processuali, evidenziando al
riguardo: che i colpi sferrati dal ricorrente avevano provocato le ferite rivelatesi poi
mortali; che solamente un soggetto spinto da una fortissima animosità, propria di chi
aveva vivacemente litigato con la vittima fino ad un attimo prima, versava nella soggettiva
condizione di perdere il controllo dei freni inibitori e di scatenarsi in un’aggressione
furibonda e senza limiti; che la reiterazione dei colpi, la loro direzione e la violenza dei
medesimi non poteva conciliarsi con una assoluta assenza di volontà onnicidiaria; che il
ricorrente non aveva arrestato la propria condotta dopo le prime ferite, ma aveva protratto
la sua azione criminosa, infliggendo le coltellate che avrebbero causato la lacerazione del
peritoneo, dell’intestino digiunale ed ileale e dei lobi epatici; che era evidente
l’accanimento con il quale il ricorrente aveva infierito sul corpo di una anziano disarmato,
offrendo così la prova della volontarietà della condotta.
Orbene, in presenza di un siffatto percorso motivazionale, del tutto in linea con
l’elaborazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, sentenza n. 25239 del
20/5/2001 – 21/6/2001, rv. 219433, ric. Militi S e altri), secondo cui “Il criterio distintivo
tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, nel
senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o
a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre
nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è costituita dalli animus necandi, ossia dal
dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è
rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della
condotta (il tipo e la micidialità dell’arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la parte
vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta), le deduzioni difensive volte
a sostenere che il ricorrente aveva colpito nel corso di una colluttazione si risolvono, a ben
guardare, nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze processuali, fondata
su dati fattuali indimostrati.

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ben nove fendenti con il coltello, attingendolo alla zona del capo, da tergo e su altre zone

Sul punto, deve osservarsi che, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, dalla lettura
della rigorosa motivazione della sentenza impugnata non risultano elementi indicativi di
una qualche colluttazione tra vittima e ricorrente: anzi, l’aggressione risulta iniziata da
tergo e da parte del Gaudioso, mentre le ferite da difesa sugli avambracci dello Sgrò (al
pari della menzionata traccia di una morso sulla clavicola dell’anziano) indicano soltanto la
connotazione rabbiosa dell’azione dell’aggressore e la furia di costui, di fronte alla quale la
vittima non ha potuto fare altro che opporre una sorta di inutile difesa passiva. Parimenti,

danno del Gaudioso.
Non paiono poi accoglibili le ragioni di doglianza circa le spiegazioni fornite dalla Corte di
Assise di Appello in merito ai ricordi del Gaudioso: la motivazione ben spiega che detti
ricordi non hanno offerto un contributo apprezzabile alla ricostruzione dei fatti, giacchè
erano le reminiscenze di una persona angosciata dalla gravità dell’azione commessa e
dalle conseguenze della stessa, e quindi non assistita da un lucido ricordo degli eventi.
Considerando le fasi concitate dell’azione e la furia dimostrata, questa conclusione dei
giudici di appello appare del tutto ragionevole e logicamente dipanata.
§ 2. Si reputa opportuno trattare congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di ricorso:
entrambi attengono alla riconosciuta sussistenza della circostanza aggravante dei futili
motivi. Più nel dettaglio, il ricorso ravvisa una contraddizione laddove la Corte di Assise di
Appello, da un lato, esclude che il ricorrente potesse connotarsi per una distorsione del
giudizio sulla gravità della condotta e, dall’altro, richiama un contesto sociale caratterizzato
da un radicato senso dell’onore; parimenti ravvisa una contraddizione laddove la Corte di
Assise di Appello dapprima individua il movente nella volontà di tutelare l’onore della zia e
poi reputa inconsistente detta ragione senza rapportarla al contesto culturale e sociale in
cui essa si era sviluppata; infine si contesta la mancanza di considerazione circa le
angherie subite dal Gaudioso.
Ma non si ravvisa alcuna contraddizione: la sentenza impugnata prende in specifica
considerazione le condizioni personali e sociali del Gaudioso, ponendo in evidenza che,
sebbene egli vivesse in un contesto sociale nel quale il senso dell’onore familiare e
personale era molto radicato, tuttavia egli pur proveniva da una famiglia la cui condotta ed
il cui stile di vita sono improntati al rispetto della legalità e del vivere civile; non si
ravvisava, pertanto, alcun distorto substrato culturale che potesse determinare una
impropria valutazione della gravità della sua condotta. E la sentenza si sofferma anche ad
evidenziare che l’atteggiamento della vittima verso la zia del ricorrente certamente era
venato da rancori personali, scortesia e talora offesa, ma altro non era che l’atteggiamento
di un uomo anziano ed infastidito, dal carattere burbero: e quindi esso poteva risultare
sgradevole ma non certo idoneo a scatenare violenza ed aggressività (considerando anche
la non certo inusuale presenza di risentimenti tra ex coniugi). Parimenti, anche
l’atteggiamento dello Sgrò verso il ricorrente, filtrato dalla connotazione burbera, era
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non risulta in sentenza (né nel ricorso) traccia di alcuna contusione, ecchimosi o lesioni a

soltanto l’offerta di piccoli lavori remunerati, non suscettibile di essere intesa come
elemosina.
La sentenza ben spiega che la reazione del Gaudioso era stata estranea a schemi
ragionevolmente accettabili di azione e reazione ed esorbitava dalle manifestazioni di
tutela di un congiunto.
Quindi la Corte territoriale ha individuato, sulla base di precise risultanze processuali, che il
concreto movente dell’azione criminosa risiedeva nell’esigenza di “punizione” di colui che
aveva messo in discussione il prestigio personale e familiare del ricorrente, sicché doveva

determinata da sentimenti avvertiti dalla coscienza collettiva come assolutamente
sproporzionati a petto delle conseguenze provocate; si tratta di una motivazione del tutto
logica e coerente ed in linea con la consolidata elaborazione giurisprudenziale in
argomento, secondo cui “il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo
di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul
piano logico con l’azione commessa” (così Cass., sez. 1, sentenza n. 4819 del 17/12/1998
– 16/4/1999, rv. 213378, ric. Casile G, nonché ex multis Cass. Sez. 1, sentenza n. 10414
del 09/1/2002 – 12/03/2002, rv. 221468 ric. Amendola ed altro). Risultano inconferenti le
deduzioni svolte in ricorso con riferimento alle connotazioni culturali del soggetto
giudicato, al contesto sociale in cui si è verificato l’evento nonché ai fattori ambientali che
possono aver condizionato la condotta criminosa, anche perché nel caso in esame si
discute non già di una pur riprovevole, ma semplice aggressione, bensì dell’utilizzo di
un’arma da punta e taglio, motivato da un proposito di vendetta e di affermazione di
prestigio, ragione che certo non può valere ad attenuare il palese disvalore morale della
condotta del ricorrente e l’enorme sproporzione esistente tra il motivo e l’azione delittuosa.
§ 3. Il quarto motivo di doglianza attiene al riconoscimento della sussistenza della
circostanza aggravante della minorata difesa, la quale era stata ritenuta sussistente per la
minore prestanza fisica della vittima e per la fiducia riposta nell’aggressore: contesta il
ricorso che essa dovrebbe, invece, ravvisarsi nella menomazione delle capacità di
percezione e reazione della vittima, che invece non era mai emersa nel corso del processo.
Per verità, la sentenza impugnata riconnette questa circostanza aggravante non soltanto
alla palese sproporzione tra l’età della vittima (anni 81) e quella dell’aggressore (anni 21),
ma anche al rapporto di familiarità e fiducia che aveva spinto lo Sgrò a fare entrare in casa
il ricorrente senza nutrire sospetti: quel rapporto aveva determinato nell’uomo anziano un
insufficiente, se non inesistente, apprezzamento critico della situazione, così favorendo la
consumazione del reato. E la sentenza bene sottolinea che la stessa modalità di azione
denota il profittamento, da parte del Gaudioso, del rapporto fiduciario, giacchè la prima
coltellata era stata inferta mentre l’aggressore era in piedi ed a tergo della vittima, che era
seduta e non si attendeva un simile tradimento.

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senz’altro riconoscersi la particolare futilità del motivo, in quanto l’azione era stata

Il motivo di ricorso è quindi infondato: ai fini della ravvísabilità della circostanza
aggravante di cui all’art. 61 cod.pen., n. 5 non è richiesto che la difesa sia quasi o del tutto
impossibile, ma è sufficiente che essa sia semplicemente ostacolata. Se è pur vero, poi,
che l’età della persona offesa non può essere considerata elemento di per sè solo
sufficiente ad integrare l’aggravante in esame, ove non accompagnata da manifestazioni di
decadimento intellettivo o da condizioni di ridotto livello culturale tali da determinare un
diminuito apprezzamento critico della realtà (Cass.Sez. 2, n. 39023 del 17.9.2008, imp.
Cena,Rv.241454), è altrettanto vero che anche la debolezza fisica dovuta all’età senile,

prestanza fisica, peraltro armata, integra l’aggravante in questione. Tale orientamento
giurisprudenziale deve essere poi valutato alla luce della modifica testuale dell’art. 61
cod.pen., n. 5, a seguito della Legge 15 luglio 2009, n. 94, entrata in vigore in data
08.08.2009, in epoca antecedente alle condotte contestate, dovendosi ritenere che l’avere
approfittato di circostante di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la pubblica o
privata difesa debba essere specificamente valutato anche in riferimento all’età senile della
persona offesa, avendo voluto il Legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni
che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae
consapevolmente vantaggio (in tal senso, v. Cass. Sez. 2, Sent.35997 del 23.9.2010, imp.
Licciardello, Rv.248163). Proprio in questa direzione la sentenza impugnata ha motivato
puntualmente, evidenziando le ridotte capacità fisiche dell’anziana vittima nonché la
circostanza del rapporto fiduciario che la legava all’aggressore. Nè l’intrinseca concludenza
di tali argomentazioni è in alcun modo inficiata dalle argomentazioni addotte a sostegno
del motivo.
§ 4. Il quinto ed il sesto motivo di doglianza possono essere trattati congiuntamente,
poiché sottolineano una asserita contraddittorietà della motivazione in relazione alla
richiesta – denegata – di riconoscere la circostanza attenuante dello stato d’ira
determinato da fatto ingiusto altrui: si sostiene, cioè, l’affermazione secondo la quale la
vittima non aveva mai offeso l’imputato, ma soltanto la zia di questi, era processualmente
contraddittoria in quanto trascurava alcune risultanze probatorie che indicavano offese
anche al Gaudioso ed ai suoi familiari. Ed ancora si sostiene che il fatto che le offese
fossero rivolte alla zia dell’imputato e non anche all’imputato non escluderebbe la spinta
provocatoria causata dal fatto ingiusto; ed ancora si rileva che erano stati richiamati i
concetti di adeguatezza e proporzionalità che non costituiscono connotati della circostanza
de qua.

Anche questi motivi sono infondati.
La sentenza impugnata, in realtà, non afferma che lo Sgrò ingiuriasse soltanto la zia del
ricorrente, ma precisa che le espressioni qualificabili come offese erano rivolte soltanto a
quella donna: quanto agli atteggiamenti che il ricorrente assume essere offensivi nei suoi
riguardi, va detto che la sentenza esamina le diverse deposizioni dei vari testimoni degli
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che impedisce il tentativo di reazione possibile a una persona giovane e di ordinaria

accadimenti, evidenziando che non risultavano conosciute in paese delle contumelie dello
Sgrò verso il Gaudioso. Peraltro, la Corte di Assise di Appello esamina anche l’aspetto delle
offerte di piccoli lavori che la vittima aveva fatto verso il ricorrente, con retribuzione per
l’impegno: forse il Gaudioso aveva frainteso questo atteggiamento, ma il Giudice specifica
che non vi era nulla di disdicevole nella proposta di un anziano zio che offra al nipote di
eseguire piccoli lavori remunerati, poiché si trattava di un comportamento indicativo di
solidarietà familiare e non certo di connotazione umiliante.
Ma deve ribadirsi che il fatto ingiusto altrui che giustifica lo stato di ira, attenuando la

dall’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza,
quali i comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, od anche quelli
sconvenienti od inappropriati: per come visto, nulla di ciò era stato riscontrato nella
condotta della vittima.
In ogni caso, poi, la condotta del ricorrente – nella sua oggettività – non poteva farsi
rientrare in quello stato di ira considerato dalla normativa come attenuante: infatti, va
osservato che la circostanza attenuante della provocazione di cui all’art. 62 cod.pen., n. 2,
non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso
sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra
il fatto ingiusto e l’ira, pur non essendo il concetto di adeguatezza e proporzione connotato
della circostanza attenuante medesima (Sez. 1, n. 30469 del 15/07/2010, Lucianò, rv.
248375).
Proprio siffatta sproporzione, sottolineata con motivazione che non esibisce alcuna
manifesta illogicità dalla Corte territoriale, rende, peraltro, assolutamente razionale la
conclusione in ordine alla futilità dei motivi che hanno determinato la condotta dell’agente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2015.

pena, deve essere costituito o da un comportamento antigiuridico in senso stretto oppure

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