Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13951 del 28/01/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13951 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Khalladi Alì, nato in Marocco il 21/10/1987

avverso la sentenza del 11/02/2014 della Corte d’appello di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11 febbraio 2014, la Corte d’appello di Genova ha
parzialmente riformato, in punto trattamento sanzionatorio per effetto della
modifica intervenuta sull’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 ad
opera del d.l. 23 dicembre 2013, n. 148 convertito dalla legge 21 febbraio 2014,
la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova con la
quale Alì Khalladi era stato condannato in relazione al reato di cui agli artt. 110
cod.pen. e 73 comma 1 d.P.R. 9 ottobre, n. 309 per aver detenuto a fini di
spaccio, in concorso con Boukri Majd, grammi 3,8 di cocaina e grammi 90 di

Data Udienza: 28/01/2016

hashish, alla pena di anni due di reclusione e € 400 di multa, riducendo la pena
inflitta ad anni uno e mesi nove e giorni 10 di reclusione e €4000 di multa.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso Alì Khalladi, personalmente, e
ne ha chiesto l’annullamento deducendo, quale unico motivo, il vizio di
motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. e) cod.proc.pen. per illogicità e
contraddittorietà della motivazione della sentenza sull’affermazione della
responsabilità per non aver indicato i Giudici del merito gli elementi di prova per
ritenere che egli avesse la disponibilità dello stupefacente rivenuto nell’abitazione

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi non consentiti.
Ed invero oltre a riprodurre le medesime argomentazione già esposte dinanzi ai
giudici di merito, e dagli stessi vagliate e correttamente disattese, la censura in
punto affermazione di responsabilità più che volta a denunciare vizi riconducibili
al disposto di cui all’art. 606 comma 1 lett e) cod.proc.pen., mira a sollecitare
nuovamente una valutazione alternativa delle risultanze processuali non
praticabile in questa sede ( S.U. n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv 226074).
La motivazione della sentenza di appello a sostegno della affermazione della
responsabilità, non presta il fianco a censure di illogicità e/o contraddittorietà. La
corte ha, infatti, espressamente richiamato la sentenza di primo grado che, sul
punto affermazione della responsabilità, aveva fondato la disponibilità della
droga in capo al ricorrente sulla circostanza che il medesimo dimorava, seppur
residente altrove, nell’appartamento ove era stato rinvenuto lo stupefacente, ma
soprattutto, sul fatto che il materiale per il confezionamento era in bella vista
circostanza logicamente incompatibile con la versione della difesa circa il fatto
che tale materiale era stata lasciato dal precedente occupante l’immobile. E’
pacifico che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi
e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive
decisioni (c.d doppia conforme), la struttura della motivazione della sentenza di
appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo
argomentativo, cosicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza
di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello, purchè si
rinvenga un nucleo di motivazione da cui desumere che il giudice d’appello abbia
preso in esame le censure come risulta, nel caso in esame, dalla, seppur
succinta, motivazione a pag. 2-3 della sentenza.

2

solo temporaneamente da lui abitata.

Il percorso logico attraverso il quale i Giudici del merito sono pervenuti
all’affermazione della responsabilità è pertanto immune da vizio logico ed è
conforme a diritto.
5. Va esaminata, d’ufficio, la questione della legalità della pena irrogata al
ricorrente, che viene in rilievo per il mutamento del quadro normativo di
riferimento a seguito modifica normativa della pena edittale per le ipotesi di
reato sussumibili nella fattispecie astratta di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, art.
73, comma 5, stabilita nella misura della reclusione da uno a cinque anni dal d.l.

della legge 21 febbraio 2014, n.10, e successivamente modificata dal decreto
legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio
2014, n. 79, che, intervenendo sull’impianto sanzionatorio dell’art. 73, comma 5,
ha ridotto la pena minima (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da
euro 1.032,00 a euro 10.329,00 in luogo della reclusione da uno a cinque anni e
della multa da euro 3.000,00 a euro 26.000,00). Tale fattispecie – che costituisce
reato autonomo – è punita, in forza della più favorevole disciplina attualmente in
vigore.
6. La Corte d’appello, nel determinare la pena, dà conto del mutato normativo di
cui al d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10, e dunque tiene conto, nella
determinazione, della fattispecie autonoma dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309. Rispetto alla pronuncia della sentenza, in data 11 febbraio 2014, il
quadro normativo è ulteriormente mutato per effetto della successiva modifica
legislativa di cui al decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con
modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, con la quale è stata modificata
la cornice normativa dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309
prevedendo una pena minimo di mesi sei di reclusione. E’ chiaro che il
trattamento sanzionatorio ora richiamato, per effetto della mutata cornice
normativa, è più favorevole e dunque deve trovare applicazione anche nel caso
in esame, con la conseguenza che la sentenza va annullata con rinvio in punto
trattamento sanzionatorie. Infine, in presenza di un mutamento della cornice
edittale, deve farsi luogo ad annullamento della sentenza, in punto di
determinazione della pena, anche nel caso in cui la pena inflitta rientra nella
nuova cornice edittale (S.U., n. 46653 del 26/06/2015 dep. 25/11/2015). E’ poi
il caso rilevare che il giudice di appello, nel rideterminare il trattamento
sanzionatorio, non ha rideterminato la pena pecuniaria che è rimasta quella
irrogata dal giudice di primo grado pur avendo argomentato l’esigenza di una
rimodulazione verso il basso. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza

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3 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,

impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Genova per nuovo esame,
limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Nel resto, il
ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., rileva il Collegio
che la sentenza impugnata è divenuta irrevocabile, in riferimento alla
affermazione di penale responsabilità dell’imputato, per il reato addebitato.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e
rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 28/01/2016

P.Q.M.

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