Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1393 del 06/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 1393 Anno 2016
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 06/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELUCCI ADRIANA N. IL 22/10/1938
BRONZETTI ENZO N. IL 16/06/1934
avverso la sentenza n. 1701/2014 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 19/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. h-LIAL
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l ‘Avv
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la corte di appello di Bologna ha parzialmente
riformato la sentenza del tribunale di Rimini in data 8 aprile 2013 – di
condanna degli odierni imputati Melucci Adriana e Bronzetti Enzo per il delitto
di appropriazione indebita continuata ai danni di Tonti Maria – dichiarando non
doversi procedere nei confronti degli stessi per essere il reato loro ascritto
estinto per intervenuta prescrizione.

Essendo intervenuta la prescrizione del reato in data successiva alla
pubblicazione della sentenza di condanna del tribunale, ha confermato le
disposte statuizioni civili.
Contro detta pronunzia ricorrono gli imputati chiedendone l’annullamento.
In primo luogo si denuncia nullità della sentenza per l’inosservanza e l’erronea
applicazione della legge penale, rilevando come la difesa degli imputati aveva
tempestivamente eccepito, all’udienza dell’8 febbraio 2012, la nullità del
decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP, per violazione dell’art. 33
sexies comma 1 cod. proc. pen., in quanto lo stesso GUP nel pronunciare
sentenze di proscioglimento per il reato di cui all’art. 643 cod. pen., fattispecie
che aveva tratto il reato di cui all’art. 646 cod. pen., aveva disposto con
decreto il giudizio davanti al tribunale monocratico di Rimini. Il tribunale
aveva rigettato tale eccezione preliminare; la stessa era stata riproposta alla
corte di appello, che aveva confermato la decisione reiettiva del tribunale.
Rileva la difesa che in tal modo sarebbe stato violato il diritto dell’imputato ad
essere giudicato dal proprio giudice naturale: non avendo il gup dichiarato, ai
sensi del citato 33 sexies cod. proc. pen., la propria incompetenza
trasmettendo gli atti al PM per la citazione diretta.
L’annullamento della sentenza impugnata è poi argomentato lamentando
contraddittorietà ed illogicità della motivazione relativamente alla negata
acquisizione di una prova decisiva, costituita dalla c.t.u. disposta nel
procedimento civile e relativa allo stato di incapacità della persona offesa,
accertato in detta perizia.
Si critica inoltre che la corte territoriale avrebbe reso una motivazione illogica
sulla penale responsabilità non curando di dare adeguata risposta alle
doglianze sollevate nei motivi di appello, e nuovamente esposte e
argomentate da pagina 7 a pagina 31 (con il richiamo agli atti processuali e la
riproduzione per stralcio di numerose testimonianze acquisite agli atti).
Una ulteriore doglianza fa riferimento al giro deposito dei titoli di credito che
avrebbe costituito l’oggetto della appropriazione indebita; si rileva infatti che,

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trattandosi di titoli al portatore, gli stessi sarebbero per loro natura negoziabili
da parte del vero presentatore, cosicché il possesso degli stessi farebbe
nascere in capo a chi lo esercita il diritto di proprietà, il quale si estrinseca nel
far valere il diritto in essi incorporato; pertanto nel momento in cui titoli erano
depositati presso il conto depositi intestato ai due imputati questi ultimi,
avendo il possesso, ne avrebbero acquisito anche la proprietà, in modo da
risultare non configurabile il reato di appropriazione indebita nel momento, di

gran lunga successivo, in cui tali titoli furono convertiti in denaro. Per
conseguenza, il termine prescrizionale avrebbe dovuto ritenersi decorso a
partire dall’acquisizione dei titoli, con prescrizione del reato in data anteriore
alla pronuncia del tribunale: che quindi non avrebbe potuto statuire, come
invece ha fatto, con riguardo ai danni civili.
Altro motivo è dedicato a criticare il giudizio di penale responsabilità della
Melucci, la quale non avrebbero nessun ruolo nella vicenda come evidenziato
nei motivi di appello, sintetizzati le pagine 35 e seguenti del ricorso per cui si
assume che la corte non avrebbe dato risposta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Così nel primo motivo, giacché la corte di appello ha compiutamente
motivato, a pagina 6 del ricorso, la propria decisione (anche richiamando la
fondamentale sentenza della corte costituzionale n. 183 del 2003),
giustamente osservando che il carattere maggiormente garantito del rito con
udienza preliminare non rappresenta solo un dato di evidenza non
contestabile, ma anche un principio della disciplina processuale positiva;
pertanto deve escludersi che l’adozione della sequenza processuale
complessivamente più garantita, in relazione ai reati per i quali essa non era
dovuta, possa ritenersi in qualsiasi modo foriera di disparità di trattamento e
di pregiudizio al diritto di difesa dell’imputato solo perché, nel confronto su
singoli specifici aspetti della disciplina, il rito con citazione diretta possa
risultare, nella valutazione dell’imputato, preferibile.
Il ricorso non si confronta con tale motivazione non esponendo nemmeno le
ragioni per cui si sarebbe in ipotesi verificato, dal punto di vista della difesa,
un pregiudizio difensivo, limitandosi genericamente a lamentare la violazione
del principio del giudice naturale precostituito per legge, e dunque non
affrontando né superando l’argomentazione della corte territoriale.
Anche il motivo sulla mancata acquisizione della prova decisiva è
manifestamente infondato a fronte della impeccabile motivazione esposta

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dalla corte di appello a pagina 6 sulla superfluità della stessa, ed anche
dovendosi rilevare che il reato superstite alla prescrizione in primo grado non
è quello di circonvenzione di persona incapace mare quello di appropriazione
indebita, rispetto al quale la consulenza peritale sullo stato di salute della
persona offesa non sprigiona diretta rilevanza ai fini della decisione sulla
penale responsabilità degli imputati.
Quanto alle lamentele sulle illogicità della motivazione sulla mancata risposta

ai motivi di appello sollevati in ordine alla insussistenza della penale
responsabilità degli imputati (a dell’imputata in particolare) deve permettersi
che, certamente, il giudice di appello nel dichiarare estinto per prescrizione il
reato, per il quale in primo grado è intervenuta condanna, è tenuto a decidere
sull’impugnazione agli effetti civili ed, a tal fine, i motivi di impugnazione
proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendo
essere confermata la condanna al risarcimento del danno sulla base della
mancata prova dell’innocenza dell’imputato ai sensi dell’art. 129, comma
secondo, cod. proc. pen. Ne consegue che la sentenza di appello che non
compia, in tal caso, un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità
dell’imputato deve essere annullata limitatamente alla conferma delle
statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore, ex art. 622
cod. proc. pen. (Cass. sez. 5, 7/10/2014, n. 3869).
Ebbene, dalla lettura della sentenza, specialmente nelle pagine 6-9 della
stessa, risulta svolta una motivazione dettagliata e non manifestamente
illogica sui profili fattuali riproposti in questa sede.
La critica dei ricorrenti, piuttosto che evidenziare manifeste illogicità della
motivazione, afferma la diversità dei fatti ivi considerati, sollecitando questa
corte a un inammissibile giudizio di merito sul punto (senza peraltro che il
ricorso si presenti al riguardo connotato dall’indispensabile requisito della
specificità, attesa la genericità della critica svolta con riguardo agli stessi fatti
su cui essa si fonda e agli atti richiamati o riprodotti solo per stralcio).
Deve per il resto osservarsi che certamente il giudice di appello, laddove, nel
pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la
causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve
contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute (cfr., di
recente, Cass., sez. III, 10.3.2015, n. 15245). Anche alla luce di questo
arresto deve valutarsi l’ulteriore lamentela sulla realizzazione del reato di
appropriazione indebita.
Come espressamente argomentato a pagina 9 della motivazione, si precisa

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che il momento in cui è intervenuta interversione del possesso deve rilevarsi,
e ciò correttamente, in quello in cui il denaro derivante dalla vendita dei titoli
è stato versato non sul conto corrente della persona offesa ma sul conto
corrente cointestato agli odierni imputati, giacché sono in tale momento le
utilità in oggetto sono state definitivamente acquisita al patrimonio degli
stessi.
Cosicché del tutto correttamente il termine prescrizionale è stato computato

realizzate; con conseguente prescrizione del reato in data successiva alla
dichiarazione di condanna degli imputati da parte del tribunale.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché ciascuno al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000, oltre alla
rifusione delle spese alle costituite parti civili..

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa
delle ammende, nonché alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle
spese del grado, che liquida in complessivi euro 9,000 oltre accessori di legge.
Roma, li 6.11.2015
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
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decorrere dall’ottobre del 2006, mese in cui tali condotte sono state

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