Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13915 del 09/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13915 Anno 2016
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
SCRIVA Placido Antonio n. Africo (RC) 1’11 aprile 1966
MORABITO Domenico n. Africo (RC) il 9 agosto 1967
LIGATO Salvatore n. Bruzzano Zeffirio (RC) il 23 novembre 1964
MOLLICA Domenico Antonio n. Melito Porto salvo (RC) il 10 settembre 1967
VELONA’ Giuseppe n. Bruzzano Zeffirio (RC) il 28 novembre 1954
avverso l’ordinanza emessa il 18 giugno 2015, depositata il 21 luglio 2015, dal Tribunale di
Roma

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Delia Cardia, che ha chiesto il
rigetto dei ricorsi;
sentiti i difensori di fiducia avv. Pasquale Bartolo del foro di Roma per il ricorrente Scriva,
avv.Eugenio Bruno Minniti del foro di Locri per i ricorrenti Morabito e Velonà, avv. Domenico
Cartolano del foro di Roma per i ricorrenti Ligato e Velonà, l’avv. Giuseppe Milicia del foro di
Palmi per il ricorrente Mollica, i quali hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
osserva:

Data Udienza: 09/12/2015

2

Ritenuto in fatto
1.

1. Con ordinanza emessa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 18

giugno 2015, depositata il 21 luglio 2015, il Tribunale di Roma -pronunciandosi sull’appello
proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del 15 dicembre 2014 con la quale il
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva, tra l’altro, rigettato le richieste
di applicazione della misura cautelare personale della custodia in carcere e della misura
cautelare reale del sequestro preventivo ex art.321 commi 1 e 2 cod.proc.pen. in relazione

Salvatore, Mollica Domenico Antonio e Velonà Giuseppe- ha disposto l’applicazione della misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti dello Scriva, del Morabito, del Velonà e del
Mollica e della misura cautelare degli arresti domiciliari, con i divieti previsti dall’art.284
comma 2 cod.proc.pen. e con strumenti di controllo elettronico, nei confronti del Ligato. Ai
suddetti indagati si contestava una serie di fittizie intestazioni di beni messe in atto allo scopo
di sottrarsi a misure di prevenzione patrimoniali, così agevolando la ‘ndrangheta operante in
Calabria e a Roma per il controllo delle attività illecite sul territorio, commesse in concorso con
gli intestatari fittizi (coniugi, conviventi o figli) e per i capi 5 e 7 in concorso anche tra alcuni di
loro (in particolare nei confronti dello Scriva in ordine al reato di cui al capo 4 per il periodo
successivo al 12 giugno 2013; nei confronti del Morabito in ordine ai reati ascritti ai capi 5 e 7;
nei confronti del Mollica in ordine al reato ascritto al capo 5; nei confronti del Ligato in ordine
al reato ascritto al capo 5; nei confronti del Velonà in ordine ai reati ascritti ai capi 7, 12, 13 e
14).
2.

Avverso la predetta ordinanza gli indagati, tramite i rispettivi difensori, hanno

proposto ricorso per cassazione.
3. Con il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato Scriva (capo 4) dall’avv. Pasquale
Bartolo si deduce:
1) l’erronea interpretazione ed applicazione degli artt.310 e 568 co.4 cod.proc.pen. e il
vizio della motivazione in quanto il Tribunale non aveva tenuto conto che nei confronti dello
Scriva il giudice per le indagini preliminari aveva già applicato la misura cautelare personale
per il periodo antecedente al 12 giugno 2013 (dal 10 giugno 2010 al 12 giugno 2013)
relativamente all’intestazione fittizia dell’autovettura Volkswagen Polo a Spataro Brigida (parte
iniziale del capo 4 dell’incolpazione provvisoria); secondo l’ipotesi accusatoria il 12 giugno
2013 la medesima autovettura, già intestata fittiziamente alla Spataro, sarebbe stata intestata
fittiziamente a Mollica Antonietta; trattandosi dello stesso bene, il reato è unico, la misura
cautelare era stata già applicata e il pubblico ministero non avrebbe avuto interesse interesse a
impugnare per la mancata applicazione della misura cautelare personale anche in ordine
all’intestazione fittizia della medesima autovettura a Mollica Antonietta (seconda parte del capo
4 dell’incolpazione provvisoria);

all’art.12 sexies 1.356/1992 nei confronti di Scriva Placido Antonio, Morabito Domenico, Ligato

2) la mancanza e manifesta illogicità “interna” ed “esterna” della motivazione; il giudice
per le indagini preliminari non aveva ritenuto reato impossibile l’intestazione fittizia ad un
familiare convivente (come affermato dal Tribunale), ma aveva ritenuto che per tale condotta,
tenuto conto delle disposizioni in materia di misure di prevenzione che prevedono indagini
patrimoniali nei confronti dei familiari conviventi (art.19 d.lgs. n.159/2011) e presunzioni di
fittizietà delle intestazioni fatte a favore dei familiari conviventi (art.26 d.lgs. n.159/2011), vi
sarebbe una presunzione, relativa ovviamente ben potendosi dimostrare che con la fittizia

raggiungere la finalità fraudolenta dell’elusione delle disposizioni in materia di misure di
prevenzione patrimoniale;
3)

l’erronea interpretazione dell’art.12

quinquies

d.I.306/92 e l’illogicità e

contraddittorietà della motivazione in quanto l’art.12 quinquies cit. nel fare riferimento alla
finalità di elusione delle norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali ha inteso,
secondo il ricorrente, far riferimento anche agli artt.19 e 26 d.lgs.159/2011 e, quindi, ha
escluso che la condotta elusiva possa sussistere nel caso in cui il bene sia intestato ad un
familiare convivente, perché in base proprio agli artt.19 e 26 citati è prevista la sottoposizione
ad indagini patrimoniali dei parenti conviventi e sussiste la presunzione di fittizietà dei
trasferimenti fatti dal proposto a detta categoria di congiunti;
4) l’errata interpretazione, nell’ordinanza impugnata, del provvedimento del giudice per
le indagini preliminari e l’erronea interpretazione dell’art.12 quinquies d.I.306/92 nella parte in
cui si esclude che la norma in questione contenga un espresso rinvio ad una norma di legge
statuale (mentre rinvia alle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione) e nella
parte in cui si esclude che le indagini patrimoniali a carico dei familiari conviventi siano un
obbligo per il solo fatto che non è prevista alcuna sanzione;
5)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta

sussistenza del dolo specifico, tenuto anche conto del fatto che l’autovettura era già intestata a
terza persona (Spataro Brigida) e che la moglie dello Scriva, successiva intestataria, nel caso
di applicazione della misura di prevenzione sarebbe stata oggetto di indagini patrimoniali;
6) la violazione degli artt.273, 274 e 310 cod.proc.pen. e la carente motivazione sulla
sussistenza di esigenze cautelari, fondata peraltro su una pretesa “caratura criminale” dello
Scriva non corrispondente alla realtà e relativa a fatti risalenti nel tempo.
In data 7 dicembre 2015 sono stati depositati motivi aggiunti con i quali si deduce:
1) l’erronea interpretazione e applicazione dell’art.12 quinquies d.l. n.306/1992 nonché
degli artt.24 e 26 d.lgs. n.159/2011, dell’art.273 co.1 e co.1 bis cod.proc.pen. nella parte in
cui rinvia all’art.192 co.3 e 4 cod.proc.pen. e la carenza e illogicità della motivazione non
essendosi fatto cenno nell’ordinanza impugnata al fatto che la presunta fittizia intestataria era

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intestazione al parente si volesse perseguire un’altra finalità, di inidoneità della condotta a

4
ed è la moglie convivente del ricorrente e che il reato contestato (che sarebbe stato
commesso, secondo la contestazione, il 12 giugno 2013) sarebbe un reato impossibile, posto
che l’art.26 del d.lgs. n.159/2011 prevede al comma 2 la presunzione di fittizietà dei
trasferimenti e delle intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuate nei due anni antecedenti la
proposta della misura di prevenzione nei confronti, tra gli altri, del coniuge;
2)

l’erronea interpretazione e applicazione dell’art.12 quinquies di. n.306/1992 nonché

degli artt.24 e 26 d.lgs. n.159/2011, dell’art.273 co.1 e co.1 bis cod.proc.pen. nella parte in

alla gravità indiziaria circa la disponibilità da parte dello Scriva dell’autovettura intestata alla
moglie convivente, alla provenienza illecita del denaro utilizzato per l’acquisto del bene e alla
sussistenza del dolo specifico di elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di
prevenzione patrimoniali;
3)

la violazione degli artt.274 e 275 cpd.proc.pen. e la mancanza dì motivazione in ordine

alle esigenze cautelari e ai requisiti di proporzionalità e adeguatezza della misura in relazione
al reato contestato in questo procedimento cautelare ed indipendentemente dai fatti presi in
considerazione ai fini dell’emanazione del provvedimento genetico.
4.

Con il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato Morabito (capi 5-7) dall’avv.

Eugenio Minniti si deduce:
1)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art.273

cod.proc.pen., con riferimento agli artt.110 cod.pen. e 12 quinquies di. n.306/92; si condivide
l’assunto del giudice per le indagini preliminari che nel rigettare la richiesta cautelare del
pubblico ministero aveva ritenuto la previsione di indagini patrimoniali nei confronti dei
familiari conviventi, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali (art.19 co.3
d.lgs. n.59/2011, fino al 13 ottobre 2011 art.2 bis co.3 1.575/65), ostativa alla configurabilità
dell’intestazione a detti soggetti come idonea ad eludere il rischio di sequestro o confisca; solo
congetturalmente nell’ordinanza impugnata si afferma che l’intestazione di beni a familiari
renderebbe ancora più evidente lo specifico intento elusivo previsto dall’art.12 quinquies cit. (il
fine perseguito, secondo il ricorrente, ben potrebbe essere quello del risparmio fiscale o della
regolamentazione di assetti patrimoniali familiari), mentre in tali casi la valutazione della
natura fittizia, e quindi fraudolenta rispetto a procedimenti di prevenzione patrimoniale,
dell’intestazione non potrebbe prescindere dall’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto
capaci di concretizzare la finalità elusiva dell’operazione; del resto l’art.2 ter legge n.575/65
prevedeva nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose la confisca dei
beni di illecita provenienza o di valore sproporzionato rispetto al reddito o all’attività economica
del soggetto, per cui la mera fittizia intestazione di beni che non potrebbero essere oggetto di
misure di misure di prevenzione patrimoniali non può integrare il reato contestato; nel caso di
specie non era stato effettuato alcun accertamento sulla distribuzione degli utili della società

cui rinvia all’art.192 co.3 e 4 cod.proc.pen. e la carenza e illogicità della motivazione quanto

di cui il Morabito sarebbe divenuto socio occulto (società Eurofiori, le cui quote sociali
sarebbero state fittiziamente intestate dal ricorrente Morabito e dai coimputati Ligato Salvatore
e Mollica Domenico Antonio a Dudulska Anna Izabela, Scriva Francesca e Morabito Maria);
2)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art.7 d.l.

n.152/91, con riferimento agli artt.110 cod.pen. e 12 quinquies d.l. n.306/92; nel ricorso si
ribadisce l’eccezione di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, in mancanza di
autonoma motivazione circa la (non irrilevante) sussistenza dell’aggravante prevista dall’art.7

identificare la specifica associazione criminosa agevolata, riferendosi genericamente alla
indrangheta, che indica tuttavia solo un fenomeno criminale e una realtà socio-culturale; la
genericità della contestazione dell’aggravante sarebbe tale da ledere il diritto di difesa;
difetterebbe comunque la dimostrazione della strumentalità della condotta criminosa alla
specifica finalità agevolatrice;
3)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione agli artt.274

cod.proc.pen., 110 cod.pen. e 12 quinquies d.l. n.306/92; la violazione dei novellati artt.275
co.3 cod.proc.pen. e 274 co.1 lett.c) cod.proc.pen.; il Tribunale di Roma con provvedimento in
data 26 aprile 1996 aveva rigettato nei confronti del Morabito la richiesta di applicazione della
misura di prevenzione della sorveglianza speciale; il Tribunale di Reggio Calabria con
provvedimento in data 12 aprile 2002 aveva rigettato la richiesta di misure di prevenzione
patrimoniali; nei confronti del Morabito il magistrato di sorveglianza di Roma con
provvedimento in data 11 dicembre 2006 aveva revocato la misura di sicurezza della libertà
vigilata e il Tribunale di Reggio Calabria aveva, infine, revocato la misura di prevenzione della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni con decreto in data 13 aprile 2007.
Sono stati depositati in data 18 novembre 2011 motivi aggiunti, con i quali si deduce la
violazione di legge e il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di esigenze
cautelari; alle deduzioni già formulate in ordine alla mancanza di pericolosità sociale del
Morabito desunta dai provvedimenti favorevoli nei procedimenti di prevenzione del Tribunale di
Roma il 26 aprile 1996 e del Tribunale di Reggio Calabria il 12 aprile 2002 e il 13 aprile 2007 e
dal provvedimento di revoca della libertà vigilata emesso dal magistrato di sorveglianza di
Roma 1’11 dicembre 2006, si aggiunge che nei confronti del Morabito e dei coimputati Scriva
Placido Antonio e Mollica Domenico Antonio in data 12 novembre 2015 era stata revocata la
misura cautelare della custodia in carcere applicata con ordinanza del 15 dicembre 2014 per
essere venute meno le esigenze cautelari, anche con riferimento al tempo trascorso dal fatto.
5. Con il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato Ligato (capo 5) dall’avv. Domenico
Cartolano, in cui viene riportata pressoché integralmente la memoria difensiva presentata al
Tribunale del riesame, si deduce:

ti„

cit.; il giudice di merito sarebbe incorso in travisamento del fatto per aver omesso di

c
1)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento all’art.157

cod.pen. e all’eccepita prescrizione del reato contestato al capo 5, commesso nel 2002; il reato
previsto dall’art.12 quinquies d.I.306/92 è un reato istantaneo ad effetti permanenti che nel
caso di specie riguarda l’atto di intestazione delle quote sociali della società Eurofiori dal Ligato
alla moglie Scriva Francesca, socia dal 13 maggio 2002 allorché costituì la società unitamente
alla suocera Velonà Francesca; le situazioni successive a detta data sarebbero irrilevanti e il
Tribunale del riesame non avrebbe motivato sul punto “non potendosi definire motivazione il

2)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento all’assenza di

motivazione in ordine alla richiesta declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico
ministero quanto all’aggravante dell’art.7 d.l. n.152/91 cui nell’appello non si faceva cenno,
nemmeno mediante richiamo alla richiesta cautelare rigetta dal giudice per le indagini
preliminari;
3)

la violazione dell’art.12 quinquies d.l. n.306/92 sotto il profilo dell’elemento

oggettivo nei casi di ritenuta condotta interpositiva tra coniugi conviventi, trattandosi di
soggetti per legge sottoposti alla presunzione di fittizietà dell’operazione di trasferimento del
bene “e quindi la loro operazione ex ante si pone nell’impossibilità obiettiva di raggiungere
l’elusione della possibile o probabile sottoposizione alla misura patrimoniale al cui scopo (dolo
specifico) deve essere indirizzata la condotta del trasferimento”;
4)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al profilo

soggettivo ex artt.1, 4, 16 d.lgs. n.159/2011 richiesto per l’applicazione delle norme in tema di
misure di prevenzione patrimoniali, essendo stato valorizzato l’inserimento del nome del Ligato
nell’informativa relativa all’indagine denominata Tuareg, pur essendo stato il Ligato assolto
dalla relativa imputazione associativa e risultando condannato per un delitto comune
commesso nel lontano 1990, né potendosi ritenere indiziante la mera frequentazione di
soggetti affiliati al sodalizio criminale per vincoli di parentela, amicizia o rapporti di affari;
5)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento alle esigenze

cautelari; i riferimenti allo spessore criminale e alle condotte sistematiche mafiose non hanno
fondamento e non si è comunque tenuto conto del tempo trascorso dal reato ai sensi
dell’art.292 comma 2 cod.proc.pen.
6.

Con il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato Mollica (capo 5) dall’avv.

Giuseppe Milicia e dall’avv. Carmelo Tripodi si deduce:
1)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art.273

cod.proc.pen. in quanto non sarebbe stata dimostrata la capacità elusiva dell’intestazione e, in
particolare, la rintracciabilità nel caso concreto dei presupposti applicativi di misure quali il
sequestro e la confisca di prevenzione che può essere disposta ex art.2 ter legge n.575/65 (ora

semplice ed incongruente dato tra visativo contenuto a pag.14 dell’ordinanza”;

920 e 24 d.lgs. n.159/2011) quando la persona indiziata di reati di criminalità organizzata non
possa giustificare la legittima provenienza dei beni o quando si tratti di beni sproporzionati al
reddito o all’attività economica; secondo il ricorrente il provvedimento impugnato nulla dice in
proposito e non tiene conto che il bene fittiziamente intestato non sarebbe suscettibile di
confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale perché già oggetto di confisca penale ex
art.12 sexies d.l. n.306/92 revocata sulla base della non accertata provenienza da delitto delle
somme impiegate per l’acquisto (ord. Corte di appello di Reggio Calabria 9 ottobre 2012),

Mollica, infine, non era più socialmente pericoloso essendo intervenuta all’epoca del fatto la
revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale (Corte di appello di Reggio
Calabria in data 11 maggio 2007) e della libertà vigilata inflitta con la sentenza di condanna del
1999 (Tribunale di Roma 16 luglio 2007); il Mollica non era socialmente pericoloso alla data di
commissione del reato e, secondo la normativa del tempo, non sarebbe stato suscettibile di
indagini patrimoniali antimafia;
2)

la violazione di legge e il vizio della motivazione sulla sussistenza della concreta

finalità elusiva, stante il meccanismo estensivo delle indagini patrimoniali ai familiari conviventi
ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali e considerata la necessità di
individuare dati fattuali aggiuntivi ai fini della dimostrazione della capacità elusiva della
condotta in casi siffatti, essendosi nell’ordinanza impugnata travisato il contenuto della
sentenza della Vi sezione penale della Corte n.37375 del 2014 che aveva ritenuto rilevante
l’accertamento di dati ulteriori rispetto a quelli sintomatici del carattere fittizio dell’intestazione
quanto alla dimostrazione dell’elemento psicologico.
In data 7 dicembre 2015 è stata depositata una memoria illustrativa dei motivi di
ricorso, sottoscritta dagli avvocati Carmelo Tripodi e Giuseppe Milicia, con i quali si
sottopongono all’attenzione della Corte i temi riguardanti l’oggettiva confiscabilità del bene
oggetto di fittizia intestazione e la sua rilevanza ai fini della configurazione del reato contestato
al Mollica al capo 5, la concreta idoneità elusiva dell’intestazione del bene al coniuge
convivente e la dimostrazione del dolo specifico, il giudizio di concretezza e attualità delle
esigenze cautelari configurate. Alla memoria sono allegate le ordinanze emesse in data 9
ottobre 2012 dalla Corte di appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, di
revoca della confisca ex art.12 sexies delle quote della Eurofiori e in data 12 novembre 2015
dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma di revoca della misura cautelare della
custodia in carcere in relazione al reato contestato al capo 11 nei confronti del Mollica, per
sopravvenuta carenza delle esigenze cautelari.

7.

Con i ricorsi proposti nell’interesse dell’indagato Velonà (capi 7, 12, 13 e 14)

presentati dall’avv. Domenico Cartolano e dall’avv. Eugenio Minniti si deduce quanto segue.

vigendo la preclusione processuale del ne bis in idem (Cass. sez.I 23 ottobre 2013 n.48173);

L’esposizione dei motivi da parte dell’avv. Cartolano (ff.1-30) è preceduta da un ampio
riepilogo della vicenda processuale riguardante anche la moglie e il figlio del Velonà (Alfarone
Giuseppina e Velonà Pietro Domenico). Il ricorso prosegue con l’esposizione dei seguenti
motivi:
1)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento all’eccezione di

prescrizione “per la più parte dei fatti-reato attribuiti a Velonà Giuseppe”, con argomentazioni
corrispondenti a quelle formulate nell’esposizione del primo motivo di ricorso presentato

2)

la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione agli artt.125, 581 e

591 co.1 lett.c) cod.proc.pen. per mancanza totale di motivazione e inosservanza delle norme
a pena di inammissibilità in relazione all’assenza di motivazione in ordine alla richiesta
declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero quanto all’aggravante
dell’art.7 di. n.152/91 cui nell’appello non si faceva cenno, nemmeno mediante richiamo alla
richiesta

cautelare rigettata dal giudice per le indagini preliminari (argomentazioni

corrispondenti a quelle formulate nell’esposizione del secondo motivo di ricorso presentato
dall’avv. Cartolano nell’interesse del coindagato Ligato);
3)

la violazione di legge in relazione all’art.12 quinquies legge n.356/92 sotto il

profilo dell’elemento oggettivo nei casi di ritenuta condotta interpositiva tra coniugi conviventi
(argomentazioni corrispondenti a quelle formulate nell’esposizione del terzo motivo di ricorso
presentato dall’avv. Cartolano nell’interesse del coindagato Ligato);
4)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al profilo

soggettivo ex artt.1, 4, 16 d.lgs. n.159/2011 richiesto per l’applicazione delle norme in tema di
misure di prevenzione patrimoniali, essendo stati “stravolti” i dati tratti dai procedimenti che
riguardavano il Velonà (indicato quale soggetto privo di condanne definitive, pur trattandosi di
soggetto incensurato e mai condannato anche non definitivamente, né potendosi ritenere
indiziante la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per vincoli di
parentela, amicizia o rapporti di affari (argomentazioni corrispondenti a quelle formulate
nell’esposizione del terzo motivo di ricorso presentato dall’avv. Cartolano nell’interesse del
coindagato Ligato);
5)

la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento alle esigenze

cautelari; i riferimenti allo spessore criminale e alle condotte sistematiche mafiose non hanno
fondamento e non si è comunque tenuto conto del tempo trascorso dal reato ai sensi
dell’art.292 comma 2 cod.proc.pen.

dall’avv. Cartolano nell’interesse del coindagato Ligato;

5
Quanto al ricorso presentato dall’avv. Minniti, il primo e il secondo motivo corrispondono
ai primi due motivi nel ricorso presentato dall’avv. Minniti nell’interesse del Morabito.
Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione in
relazione all’art.274 cod.proc.pen., con riferimento agli artt.110 cod.pen. e 12 quinquies d.l.
n.306/92; la contiguità con ambienti criminali avrebbe dovuto essere esclusa in quanto il
ricorrente, coinvolto nelle indagini Crimine 1 e crimine 2 poi riunite, in primo grado era stato
assolto dal Tribunale di Locri e l’assoluzione era stata confermata in appello; aveva inoltre

possono escludersi proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare applicata.
Sono stati depositati il 23 novembre 2015 motivi nuovi sottoscritti dall’avv. Mìnniti e
dall’avv. Domenico Cartolano con i quali, nel ribadire il contenuto del terzo motivo, si fa
rilevare che il giudice dell’udienza preliminare in data 12 novembre 2015 aveva disposto per
tutti gli indagati detenuti (Morabito Domenico, Scriva Placido Antonio, Mollica Domenico
Antonio) la revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata con l’ordinanza del
15 dicembre 2014, per essere venute meno le esigenze cautelari in ragione del tempo
trascorso anche in relazione alla data di consumazione dei reati contestati.

Considerato in diritto
1.

I ricorsi proposti nell’interesse degli indagati Morabito, Velonà, Ligato e Mollica

sono infondati e vanno rigettati.
2.

Va preliminarmente esaminato un motivo comune ai ricorsi presentati

nell’interesse dei ricorrenti e relativo alla configurabilità del reato contestato nel caso, come
quello di specie, in cui i fittizi intestatari sono coniugi o figli dei ricorrenti.
Il giudice dell’appello cautelare (ff.9-12 dell’ordinanza impugnata) ha ritenuto,
richiamando una recente pronuncia di questa Corte condivisa dal collegio (Cass. sez.VI 6
maggio 2014 n.37375, P.M. in proc.Filardo), che, al contrario di quanto sostenuto dal giudice
per le indagini preliminari nell’ordinanza appellata dal pubblico ministero, ai fini della
configurabilità del reato previsto dall’art. 12-quinquies della I. n. 356 del 1992 è sufficiente
l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità
anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o
sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale. L’art. 2 ter, ultimo comma, della
legge n. 575 del 1965 -ora sostituito dall’art. 26, comma secondo, del d. Igs. n. 159 del 2011nel prevedere presunzioni d’interposizione fittizia destinate a favorire l’applicazione di misure di
prevenzioni patrimoniali antimafia non impedisce infatti di configurare, eventualmente anche a
titolo di concorso, il delitto di cui all’art. 12 quinquies I. n. 356 del 1992, trattandosi di norme
relative a situazioni aventi presupposti operativi ad effetti completamente differenti (Cass.
sez.VI 6 maggio 2014 n.20769, P.M. in proc.Barresi). In particolare la Corte ha ritenuto che il

ottenuto favorevoli provvedimenti in materia di prevenzione e risulta allo stato incensurato;

A/o

reato di cui al citato art. 12 quinques si manifesta attraverso una condotta comunque capace
di mettere in pericolo l’interesse protetto dello Stato, tenuto conto “che l’esistenza di una mera
presunzione relativa di elusività nella intestazione di beni ai familiari del proposto (ai sensi
della L. n. 575 del 1965, art. 2 ter) non è certo elemento idoneo ad escludere ex se
l’offensività del contestato delitto ex art. 12 quinquies legge n.356/1992, commesso al
deliberato scopo di eludere, appunto attraverso la propria interposizione fittizia, la efficacia di
adottande misure di prevenzione patrimoniale” (Cass. sez.I n. 31884 del 06/07/2011, Asaro,

in esame con i criteri di giudizio ovvero con le presunzioni iuris tantum previste dalla disciplina
delle misure di prevenzione reale ai fini dell’adozione di siffatti provvedimenti di natura
ablatoria, anche perché assimilare le due “situazioni”, aventi presupposti operativi ed effetti
completamente differenti, finirebbe per comportare l’arbitraria, e perciò inammissibile,
creazione di una causa di esclusione della punibilità a norma del menzionato art. 12
quinquies.111La Corte in altra pronuncia (Cass. sez.II 27 ottobre 2011 n.5595, Cuscinà e altro),
anch’essa condivisa dal collegio, ha precisato che l’ambito di operatività del predetto art. 2-ter
è squisitamente processuale, poiché la disposizione regolamenta particolari aspetti del
procedimento di prevenzione per le misure patrimoniali, mentre quello dell’art. 12- quinquies è
penale sostanziale, poiché la disposizione punisce con la reclusione la fittizia intestazione comunque commessa- di un bene ad un qualsiasi soggetto terzo, al fine di eludere le
disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali, con la conseguenza che
l’applicazione dell’una non esclude l’applicazione dell’altra. La tesi secondo la quale, per la
sussistenza del reato de quo, non basterebbe la sola fittizietà della intestazione in favore di
uno dei suddetti soggetti, ma occorrerebbe la presenza di ulteriori elementi di fatto che siano
capaci di concretizzare la capacità elusiva dell’operazione (Cass. sez.V 9 luglio 2013 n. 45145,
Femia, non mass.; sez.I 2 aprile 2012 n. 17064, Ficara, non mass.), non viene invece
condivisa in quanto tale esegesi finirebbe per richiedere la sussistenza di elementi costitutivi
della fattispecie incriminatrice non previsti dall’art. 12

quinquies, attribuendo tale veste a

elementi fattuali che potrebbero avere solo una rilevanza ai fini della verifica della esistenza
del necessario elemento psicologico del delitto. Né appare oltremodo valorizzabile la
circostanza che la legge n. 575 del 1965, art. 2 ter, u.c., – ora sostituito dalla disposizione di
analogo contenuto del d.Lgs. n. 159 del 2011, art. 26, comma 2, – stabilisce che, fino a prova
contraria, si presumono fittizi i trasferimenti e le intestazioni effettuati nei due anni precedenti
alla proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente e del
coniuge (Cass. sez.I 9 novembre 2012 n. 4703, Lo Giudice, non mass.), anche considerato che
questa forma di presunzione iuris tantum, destinata ad operare nell’ambito del già avviato
procedimento di prevenzione e solo per un limitato arco temporale, era stato introdotta con il
d.l. n. 92 del 2008, convertito nella I. n. 125 del 2008, in epoca di gran lunga successiva alla
data di entrata in vigore della disposizione incriminatrice in argomento, per la cui applicabilità
non è neppure necessario che un procedimento di prevenzione sia stato avviato, posto che

non mass.).111Non bisogna quindi confondere gli elementi integranti la fattispecie incriminatrice

l’oggetto giuridico del delitto di trasferimento fraudolento di valori si indentifica con l’interesse
ad evitare la sottrazione di patrimoni anche solo potenzialmente assoggettabili a misure di
prevenzione (Cass. sez.VI 4 luglio 2011, Barbieri).
3. Quanto al ricorso dell’indagato Morabito (avv. Minniti), la Corte osserva quanto
segue.
3.1.

Il primo motivo è infondato.

conviventi ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali (art.19 co.3 d.lgs.
n.59/2011, fino al 13 ottobre 2011 art.2 bis co.3 1.575/65), ritenuta ostativa alla
configurabilità dell’intestazione a detti soggetti come idonea ad eludere il rischio di sequestro o
confisca, la Corte non può che confermare l’infondatezza di tale assunto sulla base delle
argomentazioni esposte al paragrafo 2.
In ordine all’eventualità che le finalità della fittizia intestazione ai familiari conviventi sia
diversa da quella prevista dalla norma incriminatrice (fine di eludere l’applicazione di misure di
prevenzione patrimoniale), nell’ordinanza impugnata (f.12) si è affermato, con argomentazione
logicamente coerente, che la finalità elusiva nel caso concreto era “circostanza tutt’altro che
potenziale essendo i proposti già coinvolti da procedimenti di prevenzione o trattandosi di
soggetti rispetto ai quali considerati i relativi trascorsi criminosi e le conseguenti strettissime
dinamiche familiari il procedimento poteva considerarsi altamente probabile” e, ancora, che
“dagli elementi in atti non emerge alcun elemento che permetta di ritenere che gli indagati
abbiano agito al fine di perseguire interessi diversi ed ultronei, quali, ad esempio, esigenze di
risparmio fiscale e non emergono neppure dalla produzione documentale effettuata dalle
difese, elementi che permettano di desumere che i terzi intestatari fossero inconsapevoli del
fine illecito perseguito dagli indagati, unico elemento idoneo ad escludere l’elemento soggettivo
della fattispecie”.
Relativamente, in particolare alla società Eurofiori (capo 5) le cui quote sociali riferibili a
Morabito Domenico sarebbero state, secondo la tesi accusatoria, intestate alla sua convivente
Dudulska Anna Izabela, nominata anche amministratore unico, il giudice dell’appello cautelare
ha indicato precisi elementi che smentivano l’assunto difensivo dell’origine lecita della società
costituita dalla madre del Ligato, Velonà Francesca, ricostruendo i mutamenti dell’assetto
societario che nel 2009 vedeva come socie la convivente del Morabito, la moglie del Mollica e la
moglie del Ligato (ff.14 ss.) mentre il Morabito, il Mollica e il Ligato ne erano stati formalmente
dipendenti (dal 2006 al 2012 il Mollica e il Ligato, mentre dal 2013 era rimasto il solo Morabito
a seguito del licenziamento solo formale degli altri due); il Morabito, unitamente ai due
coindagati, era contitolare di fatto della società come risultava dal contenuto delle
intercettazioni (ff.15 ss.), essendo risultate le tre socie completamente estranee sia alla

Relativamente alla previsione di indagini patrimoniali nei confronti dei familiari

42gestione che all’attività di vendita dei fiori, e svolgeva un ruolo preminente, mentre il Mollica e
il Ligato si occupavano della gestione contabile e amministrativa della società, dei rapporti con i
fornitori e con i gestori dei banchi; nell’ordinanza impugnata si fa riferimento anche alle
dichiarazioni di vari soggetti in rapporti commerciali con la Eurofiori s.r.l. (Atzu Rossana, Rattà
Margherita, Casoni Alberto, Paffile Rosario) e alla mancanza da parte delle formali intestatarie
delle quote sociali di una situazione patrimoniale o di risorse economiche tali da giustificare
l’iniziativa commerciale apparentemente intrapresa.

di Velonà Giuseppe quanto all’interposizione fittizia, aggravata dall’art.7 d.l. n.152/91 -in
favore della convivente Dudulska Anna Izabela il primo e della moglie Alfarone Giuseppina il
secondo- delle quote sociali della Bar Gallery s.r.l. e del bar che nei locali della società veniva
gestito risulta adeguatamente motivata con riferimento alle intercettazioni e alle prove
dichiarative indicate ai ff.29-33 dell’ordinanza impugnata, elementi che nel ricorso non
vengono specificamente contestati nella loro portata indiziaria.
Almeno nei limiti dell’elevata probabilità di colpevolezza richiesta ai fini della gravità
indiziaria, quale condizione di applicabilità della misura cautelare personale, nell’ordinanza
risultano pertanto essere stati indicati plurimi e concreti elementi indiziari dotati della gravità
richiesta dall’art.273 cod.proc.pen.
3.2.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

L’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero è stata
motivatamente disattesa (ff.5,6) essendosi correttamente ravvisato l’interesse del pubblico
ministero a dolersi del provvedimento del giudice per le indagini preliminari nel fine di
perseguire, quanto alle posizioni di Morabito, Scriva e Mollica,

“il mantenimento e

l’irrobustimento della misura cautelare adottata” e, per le posizioni del Velonà e del Ligato,
l’applicazione della misura cautelare richiesta in prima istanza. Con specifico riferimento alla
sussistenza dell’aggravante prevista dall’art.7 d.l. n.152/91, la Corte osserva che il pubblico
ministero, come si desume dallo stesso testo dell’ordinanza impugnata, con l’appello dava atto
che il giudice per le indagini preliminari aveva riconosciuto per tutti i capi oggetto del gravame
(4 limitatamente al periodo successivo al 12 giugno 2013, 5, 7, 12, 13 e 14) la gravità
indiziaria “in ordine all’attribuzione fittizia in sé, così come contestata”, comprensiva quindi
dell’aggravante in questione, rinviando integralmente a quanto evidenziato nella stessa
ordinanza. L’appello riguardava quindi lo specifico punto della configurabilità, negata dal
giudice per le indagini preliminari, del reato contestato nel caso, come quello di specie, in cui i
fittizi intestatari sono coniugi o figli dei ricorrenti. Nel contesto della stessa ordinanza (f.45)
l’analoga doglianza formulata dalla difesa del Velonà è stata ritenuta infondata con motivazione
che può riferirsi anche al Morabito (“Il Collegio ritiene infondata la dedotta mancata espressa
impugnazione dell’aggravante da parte del P.M. il cui appello è limitato ai capi di imputazione

iv

In ordine al reato contestato al capo 7, la gravità indiziaria nei confronti del Morabito e

integralmente e perfettamente coincidenti con quelli originariamente formulati nella richiesta di
misura cautelare parzialmente rigettata dal comprensivi, quindi, anche della suddetta
aggravante la cui cognizione è, pertanto, integralmente devoluta a questo giudice”).
Peraltro non manca nell’ordinanza impugnata l’indicazione di specifici elementi quanto
alla sussistenza, sul piano indiziario, dell’aggravante prevista dall’art.7 di. n.152/91, sotto il
profilo dell’agevolazione dell’associazione di tipo mafioso. La Corte osserva che nella fase delle
indagini preliminari, ai fini della applicazione di misure cautelari personali, per la ravvisabilità

agevolata (Cass. sez.II 30 settembre 2014 n.52614, Mazzini e altro; sez.VI 7 novembre 1997
n. 4381, Lupo A.) non richiedendosi, nella fase incidentale in cui viene valutata la mera gravità
indiziaria, altro che l’elevata probabilità di colpevolezza del chiamato. Peraltro nell’ordinanza
impugnata non si manca di evidenziare che il Morabito –

“rappresentante carismatico

dell’omonima cosca” (ordinanza impugnata f.6) già condannato a sei anni di reclusione per
associazione a delinquere di stampo mafioso e per tentata estorsione con sentenze irrevocabili
e già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni
(misura revocata in data 13 aprile 2007)- non risultava aver reciso i legami con gli ambienti
criminali e familiari calabresi (famiglia Scriva, Morabito e Mollica, provenienti da Africo e Melito
Porto Salvo già coinvolte in indagini per reati associativi e di criminalità organizzata) pur
essendosi trasferito nella provincia di Roma da oltre venti anni e dirigeva di fatto la società
Eurofiori attraverso la quale l’organizzazione criminale di riferimento (Palamara-Scriva-MollicaMorabito) intendeva esercitare il controllo sulle attività economiche anche nel Lazio e, in
definitiva, perseguire le finalità illecite del sodalizio. Tale motivazione, almeno nella fase
cautelare che qui interessa, appare argomentata correttamente sotto il profilo giuridico e
coerente dal punto di vista logico. Quanto ai rapporti familiari con esponenti di spicco della
criminalità organizzata operante nella zona di Africo, Bruzzano, Brancaleone -e, tra costoro,
con i coindagati Mollica Domenico Antonio (suo cognato) e Scriva Placido Antonio (suo cugino),
coimputati del Morabito nello stesso procedimento e come lui condannati, con la sentenza
divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2000, per associazione per delinquere di stampo mafioso
finalizzata alla commissione di sequestri di persona, omicidi, traffici di armi e stupefacenti al
fine di assumere il controllo delle località di africo, Bruzzano, Zeffirio, Ferruzzano e
Brancaleone- la Corte rileva che il rapporto di parentela o di affinità, di per sé insufficiente a
configurare l’aggravante in questione, può tuttavia a tal fine rilevare in maniera significativa
sul piano indiziario nel caso, come quello in esame, in cui sia accertata la pregressa
cointeressenza del soggetto con persone legate al soggetto da vincoli di parentela o affinità
nell’attività criminosa diretta ad agevolare l’associazione criminosa di stampo mafioso
nell’ottenimento del controllo sul territorio, ed emerga il successivo coinvolgimento di parenti e
affini nelle medesime indagini e in relazione a condotte poste in essere nello stesso territorio e
con identiche modalità. Peraltro nell’ordinanza impugnata si fa specifico riferimento alle

dell’aggravante è sufficiente la prova della elevata probabilità dell’esistenza dell’associazione

dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Cretarola Gianni e Maviglia Maurizio
sull’infiltrazione nel tessuto economico dei “calabresi di Eurofiori”

che avevano monopolizzato

il mercato dei fiori a Prima Porta. La sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art.
7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella legge n. 203 del 1991, in relazione al contestato delitto di
trasferimento fraudolento di valori (art. 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv. in legge n.
356 del 1992), realizzato per occultare l’effettiva riconducibilità di beni al ricorrente, nel
contesto sopra descritto di criminalità organizzata può, sul piano indiziario che in questa sede

di stampo mafioso, determinando un accrescimento della sua posizione sul territorio del
gruppo ‘ndranghetistico di riferimento.
3.3.

Anche il terzo motivo è infondato.

Nell’ordinanza impugnata il giudice dell’appello cautelare ha rilevato che il
riconoscimento della gravità indiziaria anche per gli ulteriori reati in relazione ai quali non era
stata accolta dal giudice per le indagini preliminari la richiesta cautelare aggravava la posizione
del Morabito e dei coindagati Scriva e Mollica, riattualizzando il disvalore della loro complessiva
condotta rispetto a quanto solo di recente apprezzato dal giudice di prime cure e dallo stesso
Tribunale in sede di riesame con provvedimenti confermati dalla Corte di cassazione. In
mancanza di specifiche deduzioni da parte delle difese si è quindi ritenuto che in relazione alle
esigenze cautelari fosse intervenuto un elemento di aggravamento rispetto a quanto già
risultava in atti, che non consentiva l’adozione di misure cautelari diverse da quella richiesta.
3.4. I motivi aggiunti in cui si fa riferimento alla recente revoca della misura cautelare
della custodia in carcere applicata con ordinanza del 15 novembre 2014 non consentono per la
loro genericità di valutare in questa sede la nuova situazione delineatasi in relazione allo status
libertatis del ricorrente, che potrà eventualmente essere oggetto di una rivalutazione
complessiva dinanzi al giudice di merito.
4.

Quanto ai ricorsi proposti nell’interesse dell’indagato Velonà dall’avv. Minniti e

dall’avv. Cartolano la Corte ritiene debbano essere rigettati.
4.1.

Il primo e il secondo dei motivi dedotti dall’avv. Minniti sostanzialmente

riproducono gli analoghi motivi dedotti dallo stesso avv. Minniti nel ricorso presentato
nell’interesse del Morabito e la Corte si riporta alla motivazione di infondatezza ai par.3.1. e
3.2.
4.2.

Il terzo motivo del ricorso sottoscritto dall’avv. Minniti e i motivi aggiunti

(sottoscritti anche dall’avv. Cartolano) sono infondati in quanto nell’ordinanza impugnata è
motivatamente affermato che la contiguità con ambienti criminali del Velonà consente di
formulare un giudizio di pericolosità “che supera e travolge le valutazioni compiute dall’A.G.
cui si riferiscono i provvedimenti prodotti dalla difesa e relativi a momenti di molto risalenti nel

[A,

interessa, rappresentare la consapevole volontà dell’indagato di rafforzare la forza del sodalizio

As
tempo”, evidenziando il coinvolgimento in numerosi procedimenti di prevenzione e di indagini
per criminalità organizzata e nella riapertura della locale di Motticella (intercettazioni nella
lavanderia Ape Green) del ricorrente il quale, nonostante la detenzione, aveva continuato a
gestire un consistente patrimonio immobiliare e attività imprenditoriali la cui intestazione alla
moglie e al figlio non trovava giustificazione in alcuna sua lecita attività né nella capacità
reddituale della moglie. In tale situazione l’aver ritenuto la custodia cautelare in carcere come
unica misura adeguata costituisce una conclusione sorretta da congrui e solidi argomenti,

Quanto ai motivi nuovi depositati il 23 novembre 2015 sottoscritti dall’avv. Minniti e
dall’avv. Domenico Cartolano, gli stessi non consentono per la loro genericità di valutare in
questa sede i termini della situazione delineatasi in relazione allo

status libertatis dei

coindagati Scriva, Mollica e Morabito e i possibili riflessi sulla posizione del Velonà che potrà
eventualmente essere oggetto di una rivalutazione complessiva dinanzi al giudice di merito.
4.3. Il primo motivo dedotto dall’avv. Cartolano è generico, riferendosi l’asserita
prescrizione alla “più parte dei fatti reato attribuiti a Velonà Giuseppe”. Peraltro va ricordato
che i reati contestati sono aggravati dall’art.7 d.l. n.152/91 e che i termini di prescrizione sono
raddoppiati ai sensi degli artt.157 cod.pen. e 51 co.3 bis cod.proc.pen.
4.4. Il secondo motivo dedotto dall’avv. Cartolano è infondato, per le medesime
indicati al punto 3.2. nell’esaminare il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del
Morabito.
4.5.

Il terzo motivo è del pari infondato per le medesime ragioni indicate al punto 2.

4.6.

Il quarto motivo è anch’esso infondato avendo il giudice di merito ampiamente

motivato il giudizio di pericolosità del Velonà desumendolo da fatti concreti (strettissimi legami
con esponenti del crimine organizzato di Africo e Bruzzano Zeffirio, conversazioni intercettate
nella lavanderia Ape Green di Siderno sulla possibile riapertura della locale di Motticella), senza
tacere che tale giudizio “supera e travolge le valutazioni compiute dall’A.G. cui si riferiscono i

provvedimenti prodotti dalla difesa” e facendo comunque riferimento all’assoluzione del Velonà
da parte del Tribunale di Locri nell’anno 2013 (v. f 8 ordinanza impugnata)
4.7.

Il quinto motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, i riferimenti concreti nell’ordinanza
impugnata allo spessore criminale del Velonà, al suo non superficiale inserimento in ambienti di
criminalità organizzata e all’acquisizione negli anni di un consistente patrimonio immobiliare
fittiziamente intestato a familiari e gestito anche durante lo stato di detenzione in carcere
hanno consentito di ravvisare un quadro cautelare tale da far ritenere insuperata la
presunzione di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere, in un contesto di

adottata all’esito di una ragionata e documentata valutazione.

rapporti e legami familiari e di affari persistenti che già avevano determinato per altre
imputazioni l’applicazione della misura custodiale per i coindagati.
5.Quanto al ricorso proposto nell’interesse dell’indagato Ligato, si osserva quanto
segue.
5.1. I motivi riproducono sostanzialmente il contenuto del ricorso presentato dallo
stesso avv. Cartolano nell’interesse del coindagato Velonà e alla relativa motivazione di

In particolare si richiama il paragrafo 4.3. quanto alla dedotta prescrizione (primo
motivo). A ciò va aggiunto che la condotta del delitto di trasferimento fraudolento di valori (art.
12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992), che ha natura di reato
istantaneo con effetti permanenti, può ben articolarsi in una pluralità di concatenate
attribuzioni fittizie tendenti all’unico fine di eludere le disposizioni in materia di misure di
prevenzione (Cass. sez.I 28 maggio 2010 n.23266, Martiradonna; sez.II 5 ottobre 2011
n.39756, Ciancimino; sez.II 19 novembre 2015 n.47452, Iannazzo). Si è anche
condivisibilmente affermato (Cass. sez.II 20 aprile 2012 n.23197, Modica) che deve escludersi
la configurabilità di un mero “postfatto” non punibile nel caso in cui, ad una prima condotta di
fittizia attribuzione di beni od utilità, seguano operazioni volte a creare o trasformare nuove
società ovvero ad attribuire fittiziamente nuove utilità agli stessi o a diversi soggetti, sempre
che si tratti di operazioni dirette al medesimo scopo elusivo.
Si richiamano, quanto al secondo motivo, le argomentazioni indicate ai paragrafi 3.2. e
4.4.
Si richiama, quanto al terzo motivo, il paragrafo 2.
In ordine al quarto motivo si osserva che l’essersi trovato il Ligato all’epoca della
contestata attribuzione fittizia nella condizione di

“fondatamente e concretamente” temere

l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale è stato desunto non dal solo non
recente precedente penale per rapina, ma dal passato coinvolgimento in indagini per reati
associativi e dai legami parentali con le famiglie Velonà, Morabito e Mollica che non a caso
erano tutte allo stesso titolo implicate nelle intestazioni fittizie della società Eurofiori alla cui
gestione il Ligato partecipava attraverso la moglie Scriva Francesca (intestataria di quote
sociali), figurando come un mero dipendente.
Il quinto motivo è infondato.
La posizione del ricorrente è stata ritenuta meno compromessa, sotto profilo delle
esigenze cautelari, rispetto agli altri indagati ma pur sempre indicativa della sussistenza del
pericolo di fuga, in considerazione delle “innegabili e occulte disponibilità economiche e dei
ramificati contatti e delle coperture derivanti dall’appartenenza al clan delinquenziale di

infondatezza la Corte si riporta.

liriferimento” e della gravità del fatto desunta anche dall’aver agito in posizione paritaria
rispetto al Morabito e al Mollica nella gestione della società Eurofiori. Quanto alla data del
commesso reato, va rilevato che la contestazione ha riferimento ad una condotta messa in
atto a partire dal 2007 e che nell’anno 2009 la moglie del Ligato, Scriva Francesca, che nel
2007 aveva ceduto le sue quote a Morabito Maria, il 27 marzo 2009 ne riacquistava il 33 °h. A
questo riguardo si osserva che la condotta del delitto di trasferimento fraudolento di valori (art.
12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992), che ha natura di reato
istantaneo con effetti permanenti, può ben articolarsi in una pluralità di concatenate

prevenzione (Cass. sez.I 28 maggio 2010 n.23266, Martiradonna; sez.II 5 ottobre 2011
n.39756, Ciancimino; sez.II 19 novembre 2015 n.47452, Iannazzo). Si è anche
condivisibilmente affermato (Cass. sez.II 20 aprile 2012 n.23197, Modica) che deve escludersi
la configurabilità di un mero “postfatto” non punibile nel caso in cui, ad una prima condotta di
fittizia attribuzione di beni od utilità, seguano operazioni volte a creare o trasformare nuove
società ovvero ad attribuire fittiziamente nuove utilità agli stessi o a diversi soggetti, sempre
che si tratti di operazioni dirette al medesimo scopo elusivo.
6. In ordine al ricorso dell’indagato Mollica (avv.ti Carmelo Tripodi e Giuseppe Milicia)
si rileva quanto segue.
6.1. Il primo motivo è infondato.
Quanto alla revoca della confisca in precedenza disposta ex art.12 sexies d.l. n.306/92
in relazione alla quota della società Eurofiori da parte della Corte di appello di Reggio Calabria,
la Corte rileva che nel ricorso non si tiene conto del fatto nuovo costituito dalle recenti indagini
che hanno dato luogo anche all’applicazione di misure cautelari personali nei confronti del
Mollica sulla base della ritenuta gravità indiziaria in ordine al reato contestato, con
provvedimento passato anche al vaglio di questa Corte (gravità indiziaria che va al di là del
mero fumus necessario per disporre il sequestro preventivo, nel caso di specie disposto anche
ai sensi dell’art.321 comma 1 cod.proc.pen). Nel ricorso, peraltro, non si indica quale sarebbe
la finalità, diversa da quella elusiva contestata, perseguita dal ricorrente attraverso la condotta
di interposizione messa in atto attraverso ripetute trasferimenti di quote di una società in cui
ha sempre figurato (fino al “licenziamento” del novembre 2012) come mero dipendente pur
svolgendo un’attività di fatto imprenditoriale, mentre la moglie Morabito Maria risultava essere
solo formalmente socia della medesima società al 33%.
Plurimi e gravi elementi indiziari emersi dalle indagini (intercettazioni, dichiarazioni di
vari soggetti in rapporti commerciali con la società Eurofiori) e posti a fondamento
dell’ordinanza cautelare personale emessa in sede di appello cautelare a carico del Mollica.
Costui era risultato effettivo socio della Eurofiori s.r.l. il cui assetto sociale era mutato negli

!A,

attribuzioni fittizie tendenti all’unico fine di eludere le disposizioni in materia di misure di

anni e nell’anno 2009 vedeva Morabito Maria, sua moglie e sorella di Morabito Domenico, socia
al 33% pur non essendosi mai occupata della società in cui il marito, unitamente al Morabito e
al Ligato, svolgeva invece parte attiva risultandone tuttavia solo dipendente. Quanto
all’intestazione fittizia a scopo elusivo, va ricordato che lo “scopo elusivo” che connota il dolo
specifico del reato contestato prescinde dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di
prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto
dal fondato timore dell’inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l’esito
(Cass. sez.II 30 settembre 2014 n.52614, P.M. in proc. Lapelosa). I trascorsi giudiziari del

dopo aver riportato una condanna, irrevocabile nell’anno 2000, ad otto anni di reclusione per
associazione mafiosa- e il contesto familiare e sociale di riferimento, descritto nel
provvedimento impugnato (ff.6, 7) rendevano concreto il timore dell’avvio di un procedimento
di prevenzione patrimoniale, al di là della pronuncia di revoca della misura di prevenzione della
sorveglianza speciale in data 11 maggio 2007 evidenziata dalla difesa e superata dalla ripresa
dell’attività delinquenziale che aveva successivamente dato luogo, nell’ambito delle indagini
poste a fondamento anche dell’imputazione al capo 5, all’applicazione di misura cautelare
personale per analogo reato.
6.2. Il secondo motivo è infondato per le stesse considerazioni espresse al paragrafo 2..
6.3. Alla memoria, in cui vengono ribaditi i motivi del ricorso principale, è allegato il
provvedimento di revoca della misura cautelare emesso nei confronti del Mollica in data 12
novembre 2015 in ordine al reato contestato al capo 11. Va ribadito quanto detto in relazione
alla posizione del Morabito: la genericità di quanto dedotto impedisce di valutare in questa
sede la nuova situazione delineatasi in relazione allo status libertatis del ricorrente, che potrà
eventualmente essere oggetto di una rivalutazione complessiva dinanzi al giudice di merito.
7. Quanto al ricorso dell’imputato Scriva la Corte osserva quanto segue.
7.1. Il primo motivo è infondato poiché la condotta del delitto di trasferimento
fraudolento di valori (art. 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv. in I. n. 356 del 1992), che
ha natura di reato istantaneo con effetti permanenti, può ben articolarsi in una pluralità di
concatenate attribuzioni fittizie tendenti all’unico fine di eludere le disposizioni in materia di
misure di prevenzione (Cass. sez.I 28 maggio 2010 n.23266, Martiradonna; sez.II 5 ottobre
2011 n.39756, Ciancimino; sez.II 19 novembre 2015 n.47452, Iannazzo). Si è anche
condivisibilmente affermato (Cass. sez.II 20 aprile 2012 n.23197, Modica) che deve escludersi
la configurabilità di un mero “postfatto” non punibile nel caso in cui, ad una prima condotta di
fittizia attribuzione di beni od utilità, seguano operazioni volte a creare o trasformare nuove
società ovvero ad attribuire fittiziamente nuove utilità agli stessi o a diversi soggetti, sempre
che si tratti di operazioni dirette al medesimo scopo elusivo.

[4,

Mollica -già sottoposto a misura di prevenzione personale, ancorché revocata nell’anno 2007,

7.2. Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto dei motivi del ricorso principale, il primo e
il secondo dei motivi aggiunti riguardano la questione già posta in altri ricorsi e ritenuta
giuridicamente infondata per le considerazioni esposte al paragrafo 2.
7.3. Il sesto motivo del ricorso principale e il terzo dei motivi aggiunti sono invece fondati.
Quanto alle esigenze cautelari, va rilevato infatti che nei confronti dello Scriva la misura
cautelare già in esecuzione in relazione all’intestazione fittizia della stessa autovettura a
Spataro Brigida è stata revocata per il venir meno delle esigenze cautelari in relazione al

una rivalutazione delle esigenze cautelari in applicazione del principio di proporzionalità che, al
pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari
alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, imponendo una costante verifica della
perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente
permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà
personale (Cass. Sez.Un. 31 marzo 2011 n.16085, P.M. in proc. Khalil), soprattutto in
considerazione del limitato aggravamento della posizione cautelare dello Scriva per effetto
della sua misura cautelare personale disposta in relazione alla medesima autovettura
Volkswagen Golf di cui lo Scriva sarebbe stato l’unico effettivo dominus sin dal suo acquisto
avvenuto nel giugno 2010.
Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata nei confronti di Scriva
Placido Antonio limitatamente alle sussistenza delle esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale
del riesame di Roma per nuovo esame sul punto, mentre il ricorso dello Scriva va rigettato nel
resto.
9. Tutti gli altri ricorsi vanno rigettati e Morabito Domenico, Ligato Salvatore, Mollica
Domenico Antonio e Velonà Giuseppe -nei cui confronti dovrà provvedersi a norma dell’art.28
Reg. esec. c.p.p.- vanno condannati al pagamento delle spese processuali,
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Scriva Placido Antonio limitatamente alle
esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo esame sul punto.
Rigetta nel resto il ricorso di Scriva.
Rigetta tutti gli altri ricorsi e condanna Morabito Domenico, Ligato Salvatore, Mollica
Domenico Antonio e Velonà Giuseppe al pagamento delle spese processuali; nei confronti dei
predetti dispone provvedersi a norma dell’art.28 Reg. esec. c.p.p.
Roma 9 dicembre 2015

tempo trascorso dalla data di consumazione del reato ascrittogli, ma che comunque si impone

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