Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13910 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 13910 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINAFRA PIETRO N. IL 05/06/1987
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 4/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
07/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette/saatib: le conclusioni del PG Dott.

dott. Giovanni D’Angelo che ha concluso per il rigetto del ricorso I
/

nlifE-2:

– AI1

Data Udienza: 21/02/2014

RITENUTO IN FATTO
1. In data 7/05/2013 la Corte di Appello di Bari ha rigettato l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione proposta da Minafra Pietro in relazione al
periodo di detenzione sofferto dal 26 novembre 2005 al 2 dicembre 2005
(erroneamente indicato l’anno 2006) nella forma della custodia in carcere e sino
all’8 giugno 2006 nella forma degli arresti domiciliari nell’ambito di un
procedimento in cui era imputato per concorso in rapina aggravata, conclusosi
con sentenza assolutoria del Tribunale per i minorenni di Bari, definitiva il

ha ravvisato la condotta ostativa della colpa grave del richiedente sulla base
delle seguenti specifiche circostanze fattuali: a) l’istante stava per entrare in
data 31 maggio 2005 all’interno della Banca Popolare –

ag. di Barletta

immediatamente dopo l’ingresso del coimputato maggiorenne Dell’Erba
Alessandro, il quale aveva tentato di perpetrare una rapina; b) le telecamere
interne dell’istituto di credito avevano ripreso il Minafra (riconosciuto senza
ombra di dubbio dai verbalizzanti) mentre entrava nella bussola antirapina e
faceva la mossa di pigiare il tasto predisposto per l’apertura, poi rinunciando ad
entrare, allontanandosi; c) l’istante aveva violato la prescrizione impostagli dal
Tribunale per i minorenni di Bari il 4/08/2005 che gli imponeva di permanere in
casa con lo specifico divieto di frequentare il Dell’Erba; d) l’istante si era recato
in un Comune diverso da quello di residenza, durante l’orario in cui aveva
l’obbligo di frequentare la scuola, presso un istituto di credito dove non poteva
effettuare alcuna operazione bancaria in quanto minorenne; e) in sede di
interrogatorio di garanzia reso dinanzi al Giudice per le indagini preliminari il
30/11/2005 aveva reso dichiarazioni menzognere, asserendo che la mattina
della rapina si trovava presso la sua abitazione, da dove era uscito alle 12:30
circa.
2. Ricorre per cassazione Pietro Minafra denunciando vizio motivazionale per
avere la Corte territoriale rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta
detenzione sulla scorta di un presupposto assolutamente non rilevabile dalla
sentenza di assoluzione, posto che il Tribunale per i minorenni di Bari non ha
dato per assolutamente certa la circostanza secondo cui il soggetto intento ad
entrare in banca fosse il Minafra, avendo l’ordinanza impugnata rivisitato la
sentenza ritenendo sussistente un elemento sconfessato o quantomeno non
apprezzato in sentenza. Il vaglio circa l’incidenza della condotta dell’istante era,
in ogni caso, precluso in quanto il Tribunale per i minorenni di Bari aveva escluso
che il comportamento del ricorrente integrasse gli estremi del concorso “non
risultando provato alcun contributo partecipativo del ragazzo all’azione delittuosa
del Dell’Erba” e a questa conclusione era giunto anche il Giudice per le indagini
2

24/07/2007, con formula ‘per non aver commesso il fatto’. La Corte territoriale

preliminari del medesimo tribunale, rigettando originariamente la richiesta di
misura cautelare avanzata dal pubblico ministero, con la precisazione che
l’istruttoria dibattimentale non aveva apportato alcun elemento di novità.
3. Il Procuratore Generale, nella persona del dott. Giovanni D’Angelo, ha
concluso nella sua requisitoria scritta per il rigetto del ricorso.
4. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato tempestiva
memoria deducendo che la circostanza che il ricorrente si accompagnasse a tale
Dell’Erba (responsabile della tentata rapina in banca) era pacifica e chiedendo il

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2. Secondo principi ripetutamente affermati da questa Corte e consolidati in
una

recente

pronuncia

delle

Sezioni

Unite

Penali

(Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664), il giudice di merito
deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a
sua disposizione, con particolare riferimento alla sussistenza di comportamenti
sia anteriori che successivi alla perdita della libertà personale connotati da
eclatante, macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi e
regolamenti, fondando la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi che
consentano di stabilire con valutazione ex ante se la condotta tenuta dal
richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente,
la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.
2.1. Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa
riparazione è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato
dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti. In particolare, è consentita al
giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti, non nella loro valenza indiziaria
o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in
ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione
della misura, traendo in inganno il giudice.
2.2. Inoltre, quanto alla utilizzabilità del materiale probatorio, va osservato
che la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e, quindi,
nel suo ambito non possono operare automaticamente i divieti previsti dal codice
di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, e tra di
essi, il divieto di utilizzo degli atti delle indagini, che possono invece trovare
ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova
3

rigetto del ricorso.

inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 c.c. (Sez. 4, n. 11428 del
21/02/2012, Nocerino, Rv. 252735 ; Sez. 4, n.38181 del 23/04/2009, Ferrigno,
Rv. 245308; Sez. 4, n. 37026 del 03/06/2008, Bologna, Rv. 241981).
2.3. Tale possibilità incontra, però, due limiti:
– il primo è costituito dalla inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti
in violazione di espressi divieti di legge (art. 291 cod.proc.pen.) come ad
esempio intercettazioni captate illegalmente (art. 271 cod.proc.pen.: sul punto
Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667);

indagini e da utilizzare nel procedimento riparatorio, non siano smentiti (non
semplicemente non confermati) inequivocabilmente da acquisizioni del processo
dibattimentale. In tal caso, infatti, la verità acclarata nel pieno contraddittorio tra
le parti deve avere la prevalenza sulle acquisizioni probatorie captate nella fase
inquisitoria.
3. Con particolare riguardo ai comportamenti anteriori alla perdita della
libertà personale indicati nel provvedimento impugnato, le censure mosse dal
ricorrente risultano infondate, in quanto la Corte territoriale si è attenuta ai
principi di cui sopra, avendo posto a base della pronuncia di rigetto della
riparazione la condotta del ricorrente non esclusa nel giudizio penale e non
specificamente contestata nei suoi elementi fattuali dal ricorrente, che si è
limitato a contestare la valutazione di tale condotta operata dal giudice della
riparazione sotto il profilo dell’elemento soggettivo,ignorando il costante indirizzo
giurisprudenziale, affermato da questa Corte anche a Sezioni Unite (Sez. U
n. 43 del 13/12/1995 Cc., dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv.203638), che ha
enunciato il principio che nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta
detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del
giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato
e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice
della riparazione, il quale, pur dovendo eventualmente operare sul medesimo
materiale, deve seguire un percorso logico-motivazionale del tutto autonomo,
essendo suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste condotte si siano poste come fattore condizionante alla
produzione dell’evento ‘detenzione’; in relazione a tale aspetto della decisione
tale giudice ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel
processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno
delle condizioni dell’azione, sia in senso positivo che negativo, compresa
l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione
(Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Rv. 247867; Sez. 4, n.23128 del 22/10/2002,
dep. 27/05/2003, Iannozzi, Rv. 225506).
4

– il secondo è costituito dalla verifica che gli elementi di prova acquisiti nelle

3.1. L’ordinanza impugnata ha attribuito rilievo a circostanze, segnatamente
la presenza dell’istante all’ingresso dell’istituto di credito in cui Dell’Erba
Alessandro aveva tentato di perpetrare una rapina, che non sono state escluse
nella sentenza assolutoria, come si evince dal puntuale riferimento nella nota
presente a pag.1 dell’ordinanza impugnata. In particolare, la Corte territoriale ha
analizzato gli atti delle indagini, rilevando come i verbalizzanti avessero
riconosciuto senza ombra di dubbio nel Minafra il ragazzo ripreso dalle

che tale presenza, unita al fatto che al Minafra era stato vietato di frequentare il
Dell’Erba, con il quale aveva in precedenza commesso un reato, e che si era
allontanato dal Comune di residenza durante l’orario in cui aveva l’obbligo di
frequentare la scuola per recarsi presso un istituto di credito ove non poteva
effettuare alcuna operazione bancaria in quanto minorenne, avesse indotto in
errore l’autorità giudiziaria procedente circa il suo coinvolgimento nella condotta
criminosa.
4. La motivazione risulta completa anche sotto il profilo del riferimento al
comportamento endoprocessuale dell’istante che, nell’interrogatorio di garanzia
reso dinanzi al Giudice per le indagini preliminari il 30 novembre 2005, aveva
reso dichiarazioni menzognere asserendo che la mattina della rapina si trovava
presso la sua abitazione.
4.1. Giova sottolineare, in proposito, che questa Suprema Corte ha sin dal
2001 affermato il seguente principio di diritto: “In caso di richiesta di riparazione
per l’ingiusta detenzione, il giudice deve tenere conto anche della condotta del
ricorrente successiva all’esecuzione del provvedimento restrittivo e, pur nel
rispetto del diritto di costui a non rendere dichiarazioni, può legittimamente
ritenere che la circostanza di non avere il ricorrente risposto in sede di
interrogatorio e non fornito spiegazioni su circostanze obiettivamente indizianti
abbia contribuito alla formazione del quadro indiziario che ha indotto i giudici
della libertà all’applicazione e alla protrazione della custodiJ(Sez. 4, n-2154 del
9/05/2001, Bergamin, Rv. 219490). Tale posizione ha trovato conferma in altre
pronunce della Corte, secondo cui il silenzio dell’imputato su circostanze non
altrimenti acquisibili o, a maggior ragione, il suo mendacio integrano gli estremi
di quella colpa che, ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod.proc.pen., esclude il
diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. 4, n.956 del 24/03/1998,
Longo, Rv.210632), sul presupposto che il comportamento mendace
dell’imputato, sebbene rientri nel diritto di difesa, come oggetto di scelta di linea
difensiva, non può però giustificare la domanda di riparazione, se proprio dal
comportamento mendace sia derivata la conferma o la protrazione della custodia
5

telecamere interne dell’istituto di credito, ritenendo con argomentazione logica

cautelare. Principi contrari sono stati affermati nella giurisprudenza della Corte,
laddove si è affermato che un comportamento che si configuri come espressione
del diritto di difesa e di libertà non può al contempo essere qualificato illegittimo
nella particolare prospettiva della riparazione per ingiusta detenzione (Sez.
4, n.1745 del 03/06/1998, Ben Salah A., Rv. 211648; Sez. 4, n.2758 del
05/05/2000. PG in proc. Minino L., Rv. 217429), ma è bene evidenziare che tali
principi sono stati affermati con riguardo al comportamento dell’indagato datosi
alla fuga o resosi irreperibile. Con specifico riguardo alla condotta di mendacio,

quale la valutazione dei comportamenti successivi alla conoscenza da parte
dell’indagato del procedimento a suo carico deve essere effettuata con
particolare cautela, dovendosi sempre, e con adeguato rigore, avere rispetto per
le strategie difensive che abbia ritenuto di adottare (quale che possa esserne la
ragione) chi è stato ingiustamente privato della libertà personale (Sez. U
n. 43 del 13/12/1995 Cc., dep. 09/02/1996, Sarnataro, Rv.203638), le
successive pronunce hanno, però, chiarito che il silenzio, la reticenza e il
mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio, pur costituendo esercizio del
diritto di difesa, possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel
caso in cui egli sia in grado di indicare specifiche circostanze, non note all’organo
inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere o
caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa, che
determinarono l’emissione del provvedimento cautelare (Sez. 4, n.4159 del
09/12/2008, dep. 28/01/2009, Lafranceschina, Rv.242760). Anche in un’ottica
di cauto apprezzamento del comportamento endoprocessuale dell’indagato, si è
comunque ritenuto che il comportamento silenzioso o mendace sia rilevante
quale condotta ostativa alla riparazione dell’ingiusta detenzione, poiché il diritto
all’equa riparazione presuppone una condotta dell’interessato idonea a chiarire la
sua posizione mediante l’allegazione di quelle circostanze, a lui note, che
contrastino l’accusa, o vincano ragioni di cautela (Sez.4, n.7296 del 17/11/2011,
dep.23/02/2012, Berdicchia, Rv.251928; Sez.3, n.44090 del 9/11/2011,
Messina, Rv.251325; Sez. 4, n.40291 del 10/06/2008, Maggi, Rv. 242755; Sez.
4, n.15140 del 24/01/2008, Caria, Rv.239808), non mancando pronunce di
segno contrario, con riferimento, tuttavia, al solo comportamento silenzioso o
reticente (Sez.4, n.26686 del 13/05/2008, Marras, Rv.240940; Sez.4, n.43309
del 23/10/2008, P.G. in proc. Bodaj, Rv.241993).
4.2. Con specifico riferimento alla strategia difensiva adottata
dall’interessato nel corso del procedimento, non vi è dubbio, dunque, che anche
la condotta difensiva possa essere oggetto di valutazione per la individuazione
della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo e che, in
6

tenendo presente il principio enunciato dalla Corte a Sezioni Unite, in base al

particolare, il mendacio possa di per sé rappresentare, in un determinato
contesto indiziario, condotta tendente ad ingannare l’autorità giudiziaria
procedente piuttosto che espressione di una particolare linea difensiva.
4.3. L’impugnata ordinanza ha fatto buon governo dei principi interpretativi
sopra esposti, identificando nel mendacio la condotta scorretta tenuta
dall’indagato nei confronti dell’autorità giudiziaria, ritenuta logicamente causa
determinante del mantenimento della misura custodiale in presenza di atti
d’indagine di grave segno contrario a quanto dichiarato.

5.1. Il ricorrente sostiene che, nel caso concreto, l’istruttoria dibattimentale
non avrebbe apportato alcun elemento di novità, escludendo tale circostanza la
possibilità per la Corte di valutare la sussistenza della condizione ostativa del
dolo o della colpa grave (Sez. U, Sentenza n. 32383 del 27/05/2010,
D’Ambrosio, Rv. 247663).
5.2. Ma, nel rispetto dei principi di specificità e di autosufficienza del ricorso,
il ricorrente avrebbe dovuto riportare nell’atto o allegare gli atti ivi menzionati,
onde consentire a questa Corte di verificare su quali presupposti i provvedimenti
stessi fossero stati emessi, tanto più a fronte della specifica indicazione,
nell’ordinanza impugnata, del fatto che la pronuncia assolutoria era stata emessa
all’esito del dibattimento.
5.3. Il riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e
diretta del fatto processuale qualora venga dedotto un error in procedendo, non
comporta, infatti, il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal
codice di rito per la proposizione del ricorso per cassazione. Ciò vuoi dire che,
pur trattandosi di motivo di natura processuale in relazione al quale alla Corte di
Cassazione è consentito esaminare gli atti del fascicolo processuale al fine di
verificare il fondamento dell’eccezione proposta, l’applicazione concreta di questo
principio presuppone che venga quanto meno specificamente indicato l’atto dal
quale si ritiene derivino conseguenze giuridiche o quello che sia affetto dal vizio
denunziato e che l’atto da esaminare sia contenuto nel medesimo fascicolo. Se
invece questa indicazione non viene fornita o, seppur fornita, l’esame
dell’eccezione richiede l’acquisizione di atti o documenti o notizie di qualsiasi
genere che non formano parte del fascicolo del processo deve ritenersi, nel
primo caso, che il motivo sia inammissibile per genericità, non consentendo al
giudice di legittimità di individuare l’atto affetto dal vizio denunziato; nel secondo
caso, che costituisca onere della parte richiederne l’acquisizione al giudice del
merito, se il problema si pone in questa fase, ovvero produrlo nel giudizio di
legittimità nei casi in cui la Corte di Cassazione sia anche giudice del fatto.
Diversamente verrebbe attribuito al giudice di legittimità un compito di
7

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

individuazione, ricerca e acquisizione di atti, notizie o documenti del tutto
estraneo ai limiti istituzionali del giudizio proprio della funzione (Sez. U, n. 39061
del 16/07/2009, De brio, Rv.244328; Sez. 1, n. 26492 del 09/06/2009,
Bellocco, Rv.244039; Sez.4, n.25310 del 07/04/2004, Ardovino, Rv. 228953).
6. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Segue la condanna del
ricorrente, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese
processuali nonché al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, liquidate in complessivi euro 1.000,00.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze per questo giudizio che liquida in euro 1.000,00.
Così deciso il 21/02/2014

P.Q. M.

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