Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13902 del 27/02/2014
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13902 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LOFFREDO AUGUSTO N. IL 29/03/1962
avverso la sentenza n. 7925/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. AN C-6 Ce
eDeol,o
che ha concluso per 4 s< A.Aie4 PUX 4,t'eo 444, • i Udito, per la part • ile,
Udit • ifensor Avv. v Data Udienza: 27/02/2014 •
Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/7/2009, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Torre Annunziata, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava Augusto
Loffredo colpevole del reato di omicidio colposo ascrittogli per aver cagionato la
morte di Luigi Petrucci in conseguenza dello scontro tra i natanti rispettivamente
condotti, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza nella
conduzione della propria imbarcazione nonché nella effettuazione di una del mare e alla distanza fra i due natanti, in violazione di norme dettate dal
regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare (legge 27 dicembre
1977, n. 1085 - Ratifica ed esecuzione della convenzione sul regolamento
internazionale del 1972 per prevenire gli abbordi in mare, con annessi, firmata a
Londra il 20 ottobre 1972): fatto commesso in Torre del Greco il 18/08/2007. Concesse le attenuanti generiche nonché quella di cui all'art. 62 n. 6 cod.
pen., e applicata la diminuente del rito, lo condannava alla pena di mesi due e
giorni 20 di reclusione, con la concessione del doppio beneficio della sospensione
condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del
casellario giudiziale rilasciato a richiesta di privati.
Il G.i.p. riteneva accertato che il Loffredo avesse tenuto una condotta di
guida imprudente e pericolosa, poiché dapprima «tagliava l'acqua» virando a
destra con il proprio natante e avvicinandosi troppo all'altro gommone, e poi,
resosi conto che non sarebbe riuscito a superarlo a causa della velocità del
gommone stesso e delle condizioni di mare (forza 3), virava a sinistra, andando
comunque ad impattare con una parte del natante la schiena del Petrucci che, di
conseguenza, spinto con forza sul suo stesso timone, subiva lesioni interne a
causa delle quali decedeva.
A tale ricostruzione, secondo la quale in buona sostanza il gommone
investitore era salito parzialmente da tergo, lato sinistro, su quello condotto dalla
vittima, si giungeva attraverso le testimonianze dei passeggeri presenti a bordo
del gommone investito - i quali riferivano della guida non prudente, se non
addirittura spericolata, del Loffredo anche nel tragitto precedente alla collisione
- e dei soccorritori della Capitaneria accorsi, nonché attraverso i rilievi tecnici sui
gommoni e le verifiche di compatibilità dei rispettivi danni (fonti che, secondo il
Tribunale, dimostravano che il natante del Loffredo era meno danneggiato, ma
presentava un profondo squarcio nella vetroresina sotto l'alloggio dell'ancora a
prua), ed ancora attraverso l'esperimento con simulazione video del sinistro.
Il G.i.p. disattendeva invece, e comunque riteneva irrilevante, la versione
difensiva offerta dall'imputato e dal teste De Simone che viaggiava con lui, i quali manovra, intesa ad evitare l'abbordaggio, del tutto inappropriata alle condizioni asserivano che, sebbene viaggiassero a distanza di sicurezza dall'altro gommone,
un'onda anomala avrebbe sollevato il loro natante trascinandolo sulla scia di
quello condotto dal Petrucci, non chiaramente visibile, data l'altezza delle onde, a
ciò aggiungendosi l'improprio arresto di quest'ultimo, per evitare il quale il
Loffredo aveva effettuato la virata a sinistra, non riuscendo tuttavia a evitare
l'impatto; disattendeva altresì le risultanze tecniche delle perizie di parte volte a
supportare tale versione, sulla scorta dei rilievi della Capitaneria di Porto e degli
esiti dell'inchiesta. dell'imputato consistita nella violazione delle prescrizioni dettate per prevenire gli
abbordi in mare (e segnatamente dell'obbligo di dare la precedenza al veicolo
che precede se raggiunto, del divieto di navigare a distanza troppo ravvicinata,
del divieto di adottare manovre inappropriate per evitare l'impatto, quali la
sterzata verso sinistra, e dell'obbligo di mettere piuttosto il motore "indietro
tutta").
Riteneva comunque che vi fosse stato un concorso di colpa del Petrucci che,
in violazione dell'alt 17 del regolamento, rallentava mentre veniva raggiunto
dall'imputato, senza che tale rallentamento fosse necessario, e senza tener
conto della velocità, della distanza e della rotta dell'altro gommone. 2. Interposto gravame da parte dell'imputato, la Corte d'appello di Napoli lo
accoglieva limitatamente alla richiesta di conversione della pena detentiva in
pecuniaria, confermando integralmente nel resto la sentenza impugnata.
Prendendo in esame le censure svolte dall'appellante in punto di
affermazione della responsabilità penale - sostanzialmente tendenti ad
evidenziare, attraverso una rivisitazione delle prove raccolte, l'assenza di alcuna
sua colpa nella causazione del sinistro e la riconducibilità piuttosto dello stesso a
due fattori estranei alla propria condotta nonché imprevedibili, quali da un lato
l'impropria manovra di arresto del natante condotto dalla vittima, e dall'altro la
presenza di un'onda anomala che spinse il proprio gommone sull'altro - la corte
territoriale le giudicava palesemente infondate e meramente ripetitive di tesi già
oggetto di accurata analisi da parte del primo giudice, osservando in sintesi
quanto segue:
- la dinamica dello scontro risultava correttamente ricostruita nella sentenza
impugnata sulla base sia delle dichiarazioni testimoniali, sia di dati oggettivi quali
i danni riportati dai due gommoni e tra essi, in particolare, quello subito dal
natante dello stesso imputato: danno rappresentato, siccome reso evidente
anche dai rilievi fotografici, non da mere striature da sfregamento, bensì da un
vero e proprio squarcio nella vetroresina; 3 Conformemente a questi riteneva pertanto pienamente provata la colpa - tale squarcio era infatti perfettamente compatibile con quello presente
sulla calandra del motore del Petrucci, e anche altri danni erano corrispondenti
ad altrettanti punti d'impatto tra i due gommoni, dovendosene desumere che il
natante del Loffredo era «salito», anzi praticamente «volato» sull'altro;
- in tal senso deponevano anche le dichiarazioni dei testimoni, in ordine alle
quali la Corte d'appello rilevava che, pur essendo quelle rese a distanza di
qualche giorno dall'incidente mortale più precise e dettagliate rispetto alle prime,
non le contraddicevano affatto, e la maggiore analiticità risultava piuttosto l'esatta dinamica del sinistro, ed il ricordo, ancora vivo perché l'audizione era
comunque prossima ai fatti, poteva essere espresso certamente meglio rispetto
alla situazione traumatica verificatasi al momento dell'incidente;
- non erano condivisibili le osservazioni critiche dell'appellante secondo cui il
Tribunale avrebbe adottato un erroneo ragionamento probatorio partendo dai
danni e dai punti d'urto, essendo invece chiaro che si è dato rilievo alle
dichiarazioni testimoniali delle persone a bordo del natante investito (tra le quali
la sentenza impugnata richiamava in particolare quelle dei testi Mennella, Porzio
e Cepollaro);
- nessuno dei testimoni aveva parlato di onde anomale, mentre, se effettivamente fosse sopraggiunta un'onda così alta ed improvvisa da sollevare il
gommone, sarebbe stata la prima cosa ad essere notata e riferita; ne discende,
secondo la corte territoriale, che la circostanza non può considerarsi affatto
provata, non potendo di contro ritenersi sufficienti a fondare l'opposto
convincimento le generiche indicazioni al riguardo rese dallo stesso imputato e
dal teste De Simone, i quali hanno parlato di «onda anomala» senza precisare,
neppure in maniera approssimativa, che cosa intendevano con tale concetto,
quanto era alta l'onda, da dove proveniva, in cosa consisteva l'anomalia,
fornendo un dato talmente generico da destituirlo di consistenza;
- peraltro, date le condizioni metereologiche e marine pacificamente
esistenti in quel momento, doveva comunque ritenersi prevedibile che potessero
sopraggiungere da tergo o da altra direzione delle onde capaci di alterare la
velocità e la direzione stessa del natante, cosa che avrebbe dovuto indurre, non
solo secondo la normativa internazionale ma anche alla stregua di normali regole
di prudenza, a regolare l'andatura in modo tale da evitare il rischio di collisioni,
in particolare osservando congrua distanza di sicurezza dagli altri natanti;
- i testimoni non hanno nemmeno riferito di un improvviso arresto della
navigazione da parte del Petrucci, e coloro che avevano provveduto al recupero
del suo gommone (testi Amoroso, Martinelli), hanno anzi dichiarato che la
manetta del motore era spostata in avanti con un po' di accelerazione, 4 spiegabile col fatto che venivano poste domande più specifiche volte a ricostruire circostanza dalla quale è ben possibile argomentare - si nota in sentenza - che il
gommone, come riferito da altri testimoni, aveva rallentato e procedeva più
piano, ma non si era affatto fermato; non può dunque ipotizzarsi una violazione
da parte della vittima dell'ad 17 del citato regolamento internazionale, perché
non modificò la rotta, né la velocità nel momento in cui era stato raggiunto
dall'altro natante, avendo solo rallentato l'andatura complessiva già in
precedenza; anche in tal caso peraltro, ove pure potesse ipotizzarsi una condotta
colposa concausale da parte della vittima, ciò non farebbe venir meno la nelle condizioni date;
- infine la tesi della correttezza della manovra dell'imputato è in contrasto
con la normativa che impone in casi analoghi di tenere proprio quella contestata,
ovvero motori "indietro tutta". 3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato
articolando tredici motivi. 3.1. Con il primo denuncia violazione di legge, dolendosi del rigetto da parte
della Corte d'appello, con ordinanza resa all'udienza del 3/4/2012, della
eccezione di nullità della notifica dell'estratto contumaciale e dell'avviso di
deposito della sentenza di primo grado nei confronti dell'imputato e della
conseguente richiesta di restituzione degli atti alla cancelleria del giudice di
primo grado per la rinnovazione della notifica medesima onde consentire
all'imputato l'esercizio dei diritti conseguenti: eccezione e richiesta motivate dal
rilievo che tale notifica era stata effettuata nel domicilio anagrafico anziché in
quello eletto.
Deduce che erroneamente la Corte d'appello, a fondamento di tale
provvedimento, ha ritenuto che l'imputato ha avuto comunque conoscenza
dell'atto e che il difensore, proponendo appello, ha consumato il diritto a
impugnare, con ciò disattendendo la portata della sentenza della Corte
costituzionale n. 317 del 4/12/2009, che ha riconosciuto al condannato in
contumacia il diritto a impugnare anche quando l'impugnazione sia stata in
precedenza presentata dal suo difensore. 3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione,
inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonché mancata
assunzione ovvero omessa valutazione di una prova decisiva.
Rileva al riguardo che la ricostruzione accolta dalla Corte d'appello è inficiata
dalla erronea individuazione dei punti d'urto: errore che, secondo il ricorrente, è 5 responsabilità penale dell'imputato, attesa la sua non assoluta imprevedibilità frutto di un travisamento della prova operato dalla commissione d'inchiesta e,
prima ancora, dai carabinieri nel momento in cui hanno esaminato il materiale
probatorio a loro disposizione, e che sarebbe apparso evidente se solo la corte
territoriale avesse direttamente esaminato le foto ed il video acquisito agli atti
del processo. Afferma infatti che, all'esame di detti reperti, non si rinviene
oggettivamente alcuno squarcio ma solo una leggera scalfittura.
Soggiunge che la contestata conclusione è in contrasto con la dichiarazione
scritta, versata in atti, e corredata da foto, con la quale il venditore del natante sinistro la presenza di leggere scalfitture nella parte sottostante l'ancora,
imputabili a vibrazioni della stessa e corrispondenti a quelle ritratte nella
fotografia allegata. Indica altresì quale prova decisiva non valutata dai giudici
d'appello la certificazione operata da società specializzata e versata pure in atti,
secondo cui quelle rilevate costituiscono «leggere abrasioni al gelcoat dell'opera
viva». Infine assume che il corretto esame delle prove avrebbe condotto a
rilevare la presenza di altri danni più rilevanti idonei a condurre alla
individuazione di un diverso punto d'urto. 3.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e
inosservanza di norme processuali.
Lamenta che, a causa della terminologia atecnica adottata nella sentenza
impugnata, non è dato comprendere se la Corte d'appello abbia individuato il
punto d'urto nella parte centrale e sommersa della chiglia ovvero nella ruota di
prua ovvero immediatamente sotto l'ancora.
Osserva, a confutazione della ricostruzione accolta in sentenza, che il
natante dell'imputato non avrebbe potuto colpire con l'estrema prua il natante
che lo procedeva, attingendolo al motore, senza riportare alcun danno alla prua
stessa, per poi salire letteralmente sopra l'altro natante senza lasciare tracce
sotto la carena per più di 5 m e soprattutto senza colpire nessuno dei passeggeri. 3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione, nella parte in cui la
sentenza d'appello respinge il motivo di gravame con il quale si contestava la
correttezza del metodo probatorio di accertamento dei fatti.
Osserva che al riguardo la corte territoriale si è limitata ad escludere la
sussistenza di errori nel ragionamento probatorio del giudice di primo grado,
poiché questi s'era attenuto alle dichiarazioni testimoniali, senza però specificare
quali circostanze avesse ritenuto provate per effetto di quelle dichiarazioni
testimoniali. Rileva che tali dichiarazioni si riferiscono in realtà a circostanze per
nulla rilevanti ai fini della individuazione dell'efficienza causale dei 6 da diporto in questione attesta di avere verificato in epoca antecedente al comportamenti dei conducenti dei natanti coinvolti nell'incidente. 3.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione nella parte in cui la
sentenza d'appello ha disatteso il motivo di gravame con il quale si lamentava il
disconoscimento da parte del primo giudice dell'esistenza e dell'efficienza causale
dell'onda anomala e dell'arresto del proprio natante da parte del Petrucci, in
quanto in contrasto con le dichiarazioni rese dall'imputato e dal teste De Simone
e con la consulenza di parte che, sulla base di dati oggettivi rappresentati da sviluppo di un'onda anomala. 3.6. Con il sesto motivo deduce ancora vizio di motivazione in relazione alla
ritenuta scorrettezza della manovra d'emergenza da lui posta in essere
nell'occorso.
Assume che, al riguardo, il richiamo da parte del giudice di merito alla
normativa in materia è improprio e generico, posto che non esiste una manovra
valevole per tutte le situazioni e che andava piuttosto considerata la residuale
norma cautelare che, in ipotesi di abbordo inevitabile, impone di perseguire
l'obiettivo di un impatto laterale onde ridurre il più possibile danni a cose e a
persone. Osserva che per contro, la manovra indicata come doverosa nella
sentenza impugnata, era nella specie tecnicamente ineseguibile in quanto il
natante in questione non è munito di invertitore. 3.7. Con il settimo motivo deduce ancora vizio di motivazione nonché
violazione di legge in relazione alla omessa valutazione delle violazioni
commesse dal Petrucci e della loro incidenza causale, tra le quali anche era stata
indicata l'accostamento a sinistra effettuato in conseguenza dell'errato carico di
passeggeri, aspetto al quale la corte territoriale non ha dedicato alcuna
considerazione.
Al medesimo tema si riferiscono anche i motivi decimo, undicesimo e
dodicesimo, con i quali il ricorrente deduce vizio motivazionale e violazione di
legge, per avere il giudice a quo omesso di dare il giusto rilievo nonché di
considerare la imprevedibilità della violazione da parte del Petrucci della norma
di cui agli artt. 3 e 17 del Regolamento per prevenire gli abbordi in mare
(Colreg), determinata dal rallentamento improvviso del suo natante, per cause
estranee alla navigazione, e dalla omissione di una tempestiva e adeguata
segnalazione. 3.8. Con l'ottavo e nono motivo - anch'essi sostanzialmente sovrapponibili - 7 rilevamenti acquisiti dal centro di Pratica di Mare, assume la possibilità di il ricorrente deduce vizio di motivazione e inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità, per aver emesso una sentenza di condanna fondata su
prova indiziaria priva dei necessari requisiti della gravità, univocità e
concordanza e dunque sulla base di elementi di colpevolezza inidonei a
giustificarla al di la di ogni ragionevole dubbio, restando legittimamente
ipotizzabili e verosimili alternative dinamiche. 3.9. Al medesimo tema è sostanzialmente riferibile anche l'ultimo motivo norme processuali dettate in tema di interpretazione e valutazione delle prove.
In tale vizio la Corte d'appello sarebbe incorsa nell'affermare che le
deposizioni rese dai testi e dal prevenuto nell'immediatezza dei fatti non
sarebbero attendibili mentre lo sarebbero quelle rese a distanza di molti giorni, e
nel non sottoporre a rigoroso vaglio le dichiarazioni delle persone offese dal reato
legate da stretti vincoli di parentela con il Petrucci.
Ciò, secondo il ricorrente, avrebbe indotto erroneamente la Corte a
privilegiare le dichiarazioni dei testi Porzio, Cepollaro e Mennella che, a distanza
di giorni dal fatto, hanno dichiarato che il Petrucci aveva rallentato la corsa solo
leggermente, e a sottovalutare le opposte indicazioni rese dalla stessa teste
Porzio poche ore dopo il sinistro, secondo cui il marito aveva rallentato
«notevolmente» la corsa, nonché la deposizione del teste De Simone, estraneo e
indifferente, che nell'immediatezza dei fatti ha dichiarato che l'imbarcazione del
Petrucci «si era fermata». Considerato in diritto 4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità dell'art.
175, comma 2, cod. proc. pen. «nella parte in cui non consente la restituzione
dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del
provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza
contumaciale quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal
difensore dello stesso imputato», riguardava il caso di un imputato, condannato
in contumacia, che, nel corso del processo, era stato assistito da un difensore
d'ufficio, il quale, non avendo ricevuto un mandato ad hoc, aveva presumibilmente proposto impugnazione di propria iniziativa, cosicché non
appariva ragionevole che, a causa di una scelta altrui, non voluta nè concordata,
gli fosse opposto l'effetto irreparabile della
diritto di impugnazione di cui era l'unico titolare. 8 consumazione del fondamentale con il quale il ricorrente deduce vizio di motivazione nonché inosservanza di Diverso invece è il caso in cui l'imputato contumace abbia nominato un
difensore fiduciario, che l'abbia assistito nello svolgimento di tutti i gradi del
giudizio, proponendo le relative impugnazioni. In tale evenienza, infatti, non può
ravvisarsi quella sorta di presunzione di non conoscenza della pendenza del
procedimento che caratterizza la disciplina della restituzione nel termine per
impugnare la sentenza contumaciale; e ciò non perché operi una presunzione
legale in senso contrario (palesandosi pertanto non pertinenti le considerazioni
sul punto svolte in ricorso), ma perché si è in presenza di un «fatto concreto e procedimento o della sentenza secondo una regola di comune consolidata
esperienza, anche alla luce dei principi desumibili dal codice deontologico forense
(Delib. Consiglio nazionale Forense del 12 giugno 2008), che obbligano il
difensore di fiducia a informare l'assistito dello svolgimento del processo e del
compimento degli atti salienti tra i quali si colloca sicuramente l'impugnazione
(v. Sez. 6, n. 5332 del 21/01/2011, Minicozzi, Rv. 249466; Sez. 6, n. 66 del
2/12/2009, Condello, rv 245343).
Orbene, si ricava nella specie dalla stessa epigrafe del ricorso in esame che
sin dal primo grado l'imputato era assistito dallo stesso odierno difensore di
fiducia, Avv. Domenico Nicolas Balzano.
Esiste dunque quel «fatto concreto e specifico», rappresentato dalla nomina
del difensore di fiducia, che, in difetto di un'esplicita comunicazione dell'avvenuta
interruzione di ogni rapporto tra difensore e assistito - interruzione anzi
evidentemente da escludere attesa la prosecuzione del mandato anche per il
presente giudizio di cassazione -, contraddice la presunta inconsapevolezza del
contumace, sia sul punto della pendenza del procedimento e della sentenza
pronunciata, sia sul punto dei mezzi di impugnazione esperiti. 5. I restanti - ancorché numerosi, ma spesso sovrapponibili e ripetitivi motivi di ricorso, sono parimenti manifestamente infondati.
In tale parte il ricorso, con tutta evidenza, si risolve nella reiterazione di
difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di appello,
oltre che nella prospettazione di una serie di censure in punto di fatto della
sentenza impugnata, afferenti esclusivamente alla valutazione degli elementi di
prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè
ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui
apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in
esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici.
È il caso poi di rammentare che la sentenza impugnata va necessariamente
integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, 9 specifico» di per sè idoneo a provare la conoscenza, da parte dell'imputato, del derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica,
l'espresso convincimento della penale responsabilità dell'imputato in ordine al
tragico evento, compiutamente esaminando tutte le prospettazioni difensive
reiteratamente proposte e confutando ciascuna di esse ovvero anche
evidenziandone la non decisività sulla base di argomenti puntuali e logicamente
coerenti con le acquisizioni istruttorie: argomenti sopra sintetizzati ai quali è
nt sufficiente fa rimando per evidenziare come in esse sia già contenuta esauriente
risposta a tutte le doglianze qui inammissibilmente riproposte. ravvisandosi alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il
ragionamento seguito.
Passando, alla luce di tali rilievi di carattere generale, all'esame puntuale dei
singoli motivi di ricorso è agevole osservare quanto segue in estrema sintesi. 5.1. La valutazione dei danni riportati dai due natanti e la ricostruzione sulla
base di essi dei punti d'urto della dinamica del sinistro costituiscono valutazioni
di merito incensurabili in quanto operate secondo criteri intrinsecamente coerenti
e validi sul piano logico, essendo per converso manifestamente infondata la
censura in proposito dedotta di travisamento della prova.
È agevole al riguardo rilevare che nella specie quel che viene dedotto (con il
secondo motivo) in realtà non è propriamente un travisamento della prova
(posto che i giudici di merito utilizzano una prova, ossia i rilievi tecnici eseguiti
dalla commissione d'inchiesta incaricata dalla capitaneria e dai carabinieri, i cui
risultati sono incontestatamente proprio quelli acquisiti a fondamento della
decisione impugnata, sicché in altre parole la prova utilizzata non dice cose
diverse da quelle che il giudice ad essa attribuisce) ma costituisce nient'altro che
un presunto travisamento del fatto il quale come tale, anche a seguito della
modifica apportata all'art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla I. n. 46 del 2006,
resta non deducibile nel giudizio di legittimità, stante la preclusione per la Corte
di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi di merito (v. Sez. 6, n. 25255 del
14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola,
Rv. 238215; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559).
Nè vizio di travisamento di prova può ravvisarsi, come pure dedotto dal
ricorrente, nell'omessa valutazione da parte dei giudici di merito della
dichiarazione resa dal venditore del natante nell'occorso condotto dal Loffredo
ovvero della certificazione resa da società specializzata circa la natura e
consistenza dei danni, atteso che un tale vizio, per essere deducibile in
cassazione, postula l'esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i 10 La ricostruzione del fatto risulta dunque incensurabile in questa sede, non risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il
giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza
della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa
ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato
indiscutibilmente univoco (v. Sez. 4, n. 14732 dell'1/3/2011, Molinario, Rv.
250133), trattandosi altrimenti di un'attività valutativa che - tanto più quando
come nella specie richiede la selezione tra fonti e risultanze di segno opposto resta imprescindibilmente riservata al potere discrezionale del giudice di merito, modalità del suo esercizio si dà illustrazione esauriente e logicamente coerente,
non richiedendosi per contro una specifica dettagliata confutazione delle prove
ritenute non attendibili o irrilevanti. 5.2. Ciò posto, anche le considerazioni svolte nel terzo e nel quarto motivo
di ricorso si rivelano, da un lato, generiche e comunque manifestamente
infondate nella parte in cui con esse si assume che nella sentenza impugnata
risulterebbero incomprensibili l'individuazione del punto d'urto e la conseguente
ricostruzione della dinamica (ci lok essendo con ogni evidenza smentito da una
semplice lettura della sentenza d'appello nella quale, richiamandosi peraltro
quella di primo grado, si fa riferimento a un "profondo squarcio nella vetroresina
sotto l'alloggio dell'ancora a prua") e, dall'altro, certamente inammissibili nella
misura in cui chiaramente tendono a una nuova valutazione delle prove e ad una
diversa ricostruzione del fatto, come detto certamente precluse in sede di
legittimità. 5.3. Non possono non svolgersi analoghi rilievi anche con riferimento ai
motivi quinto, sesto, settimo e dal decimo all'undecimo, tutti dedicati, in estrema
sintesi, ai temi della dedotta esistenza di un'onda anomala, della correttezza
della manovra eseguita nella fase immediatamente antecedente l'incidente, delle
violazioni addebitabili alla stessa vittima e della rilevanza causale ad esse
attribuibile.
Anche in tal caso, invero, lungi dal prospettarsi l'esistenza di dati istruttori
obiettivamente e manifestamente univoci capaci di disarticolare il ragionamento
probatorio seguito dai giudici di merito, si fa riferimento da parte della difesa del
ricorrente a fonti dichiarative al più suscettibili di fondare una valutazione in
termini di mera plausibilità delle circostanze dedotte (ci si riferisce in particolare
alla ipotizzata onda anomala), come tale certamente inidonea a palesare anche
un vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione per il solo
fatto che essa invece aderisce ad una ricostruzione alternativa almeno 11 insindacabile se, come detto e come certamente accade nella specie, delle altrettanto plausibile.
Questa peraltro, oltre a dar conto in modo logico e coerente delle ragioni
che conducono - alla luce delle acquisizioni istruttorie - a una diversa
ricostruzione causale, evidenzia comunque che la condotta colposa del prevenuto
e la sua rilevanza causale rispetto al sinistro non potrebbero considerarsi escluse
anche ipotizzando la fondatezza delle prospettazioni difensive in esame, restando
comunque addebitabile all'imputato la grave imprudenza rappresentata dal non
essersi messo in condizioni di sicurezza nella navigazione tali da prevenire il dunque prevedibile nelle descritte condizioni meteorologiche e marine.
Rilievo quest'ultimo che evidentemente priva di incidenza alcuna anche la
questione se, una volta divenuto evidente l'approssimarsi dell'impatto, fosse o
meno una manovra corretta ed esigibile mettere il motore «indietro tutta»
ovvero se possa invece considerarsi incensurabile la diversa manovra di
emergenza posta in essere dall'imputato: quale che sia la risposta da darsi al
quesito, e fermo restando che quella data dai giudici di merito risulta conforme
alle norme del citato regolamento (vds. in particolare l'art. 16, secondo il quale
«una nave che deve lasciar libera la rotta ad un'altra deve, per quanto è
possibile, manovrare in modo deciso e tempestivo per ottemperare a tale
obbligo e lasciare ben libera la rotta»), resterebbe comunque impregiudicato
l'addebito all'imputato di aver in precedenza adottato una condotta di guida
ovvero eseguito manovre imprudenti, tali da metterlo nelle condizioni di trovarsi
nelle contingenze predette.
Analogamente è a dirsi per quanto riguarda la condotta di guida della
vittima.
Da un lato, l'assunto secondo cui questi procedette non già a un mero
rallentamento della guida ma a un vero e proprio arresto, non consentito dalle
regole marinare, risulta ancora una volta affidato a una diversa valutazione delle
risultanze istruttorie, ovvero a un diverso giudizio di attendibilità delle
contrapposte deposizioni, come tale inidoneo a palesare un vizio di manifesta
illogicità della motivazione ma piuttosto integrante inammissibile contestazione
di merito. Dall'altro, deve anche in tal caso rammentarsi che l'irregolarità della
condotta della vittima risulta in realtà considerata nel giudizio di condanna (in
particolare nella motivazione della sentenza di primo grado) e nondimeno
ritenuta del tutto ragionevolmente quale mera concausa dell'evento, come tale
inidonea ad escludere la responsabilità del conducente del natante investitore.
Con tale parte della motivazione il ricorrente omette totalmente di
confrontarsi, assumendo, implicitamente e apoditticamente, che il dedotto
formarsi di un'onda anomala ovvero la pure dedotta condotta colposa della 12 dedotto fenomeno, in realtà a detta dello stesso ricorrente ben possibile e stessa vittima avrebbero invece dovuto considerarsi come fattori causali esclusivi
e imprevedibili. 5.4. Anche i residui motivi - ottavo, nono e tredicesimo - si risolvono nella
contestazione della valutazione delle prove da parte dei giudici di merito:
contestazione in parte generica e in altra parte inammissibile, poiché fondata su
opinabili opzioni in punto di maggiore o minore attendibilità dell'una o dell'altra
dichiarazione e, per le ragioni dette, inidonea a evidenziare una incompatibilità possano ritenersi obiettivi e univoci in senso contrario ovvero comunque dotati di
decisività.
Quanto poi all'assunto secondo cui il ragionamento probatorio seguito dai
giudici di merito sarebbe basato su meri indizi privi dei requisiti richiesti dall'art.
192 cod. proc. pen. appare evidente che - in mancanza di precisazione del
motivo per cui i vari elementi istruttori raccolti (in particolare, come detto: fatti
narrati dai testimoni e natura, collocazione e consistenza dei danni rilevati sui
natanti) debbano ritenersi dotati di debole valenza indiziaria ovvero dei motivi
per cui il collegamento inferenziale operato dal giudice a quo debba ritenersi
debole sul piano logico per l'esistenza di altre plausibili spiegazioni ovvero non
assistito da regole scientifiche o esperienziali valide - lo stesso in null'altro si
risolve se non in una generica contestazione del convincimento espresso o,
tutt'al più, nella mera sintetica riproposizione delle medesime prospettazioni
difensive già svolte nei precedenti motivi e della cui manifesta infondatezza già
s'è detto. 5.4.1. Tanto deve dirsi anche della dedotta violazione della regola di giudizio
dell'oltre il ragionevole dubbio.
Questa invero rappresenta nient'altro che, a contrario, la verifica del grado
di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice
ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata
spiegazione causale.
Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di
probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della
sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato ed evento
con «elevato grado di credibilità razionale», in quanto non permanga un «dubbio
ragionevole» (ossia, non meramente congetturale) che l'evento possa essere
stato determinato da una causa diversa.
Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta
dall'art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del 13 del convincimento espresso nelle sentenze di merito con dati istruttori che comma 1 dell'art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo
cui «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del
reato al di là di ogni ragionevole dubbio». Secondo l'opinione prevalente in giurisprudenza, infatti, tale novella non ha
avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso
e più restrittivo criterio di valutazione della prova, essendosi invece limitata a
codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice
può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi funzione di controllo del giudice dì legittimità che rimarrebbe limitata alla
struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l'impossibilità di
procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza
e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411
del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato che tale regola di
giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile
escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche in tal
senso Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507). 6. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso va pertanto
dichiarato inammissibile. 7. Ne discende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente
che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di
detta colpa - della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27/02/2014 sulla responsabilità dell'imputato. La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla