Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13902 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 13902 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOFFREDO AUGUSTO N. IL 29/03/1962
avverso la sentenza n. 7925/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. AN C-6 Ce
eDeol,o
che ha concluso per 4 s< A.Aie4 PUX 4,t'eo 444, • i Udito, per la part • ile, Udit • ifensor Avv. v Data Udienza: 27/02/2014 • Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/7/2009, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava Augusto Loffredo colpevole del reato di omicidio colposo ascrittogli per aver cagionato la morte di Luigi Petrucci in conseguenza dello scontro tra i natanti rispettivamente condotti, per colpa consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza nella conduzione della propria imbarcazione nonché nella effettuazione di una del mare e alla distanza fra i due natanti, in violazione di norme dettate dal regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare (legge 27 dicembre 1977, n. 1085 - Ratifica ed esecuzione della convenzione sul regolamento internazionale del 1972 per prevenire gli abbordi in mare, con annessi, firmata a Londra il 20 ottobre 1972): fatto commesso in Torre del Greco il 18/08/2007. Concesse le attenuanti generiche nonché quella di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., e applicata la diminuente del rito, lo condannava alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione, con la concessione del doppio beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta di privati. Il G.i.p. riteneva accertato che il Loffredo avesse tenuto una condotta di guida imprudente e pericolosa, poiché dapprima «tagliava l'acqua» virando a destra con il proprio natante e avvicinandosi troppo all'altro gommone, e poi, resosi conto che non sarebbe riuscito a superarlo a causa della velocità del gommone stesso e delle condizioni di mare (forza 3), virava a sinistra, andando comunque ad impattare con una parte del natante la schiena del Petrucci che, di conseguenza, spinto con forza sul suo stesso timone, subiva lesioni interne a causa delle quali decedeva. A tale ricostruzione, secondo la quale in buona sostanza il gommone investitore era salito parzialmente da tergo, lato sinistro, su quello condotto dalla vittima, si giungeva attraverso le testimonianze dei passeggeri presenti a bordo del gommone investito - i quali riferivano della guida non prudente, se non addirittura spericolata, del Loffredo anche nel tragitto precedente alla collisione - e dei soccorritori della Capitaneria accorsi, nonché attraverso i rilievi tecnici sui gommoni e le verifiche di compatibilità dei rispettivi danni (fonti che, secondo il Tribunale, dimostravano che il natante del Loffredo era meno danneggiato, ma presentava un profondo squarcio nella vetroresina sotto l'alloggio dell'ancora a prua), ed ancora attraverso l'esperimento con simulazione video del sinistro. Il G.i.p. disattendeva invece, e comunque riteneva irrilevante, la versione difensiva offerta dall'imputato e dal teste De Simone che viaggiava con lui, i quali manovra, intesa ad evitare l'abbordaggio, del tutto inappropriata alle condizioni asserivano che, sebbene viaggiassero a distanza di sicurezza dall'altro gommone, un'onda anomala avrebbe sollevato il loro natante trascinandolo sulla scia di quello condotto dal Petrucci, non chiaramente visibile, data l'altezza delle onde, a ciò aggiungendosi l'improprio arresto di quest'ultimo, per evitare il quale il Loffredo aveva effettuato la virata a sinistra, non riuscendo tuttavia a evitare l'impatto; disattendeva altresì le risultanze tecniche delle perizie di parte volte a supportare tale versione, sulla scorta dei rilievi della Capitaneria di Porto e degli esiti dell'inchiesta. dell'imputato consistita nella violazione delle prescrizioni dettate per prevenire gli abbordi in mare (e segnatamente dell'obbligo di dare la precedenza al veicolo che precede se raggiunto, del divieto di navigare a distanza troppo ravvicinata, del divieto di adottare manovre inappropriate per evitare l'impatto, quali la sterzata verso sinistra, e dell'obbligo di mettere piuttosto il motore "indietro tutta"). Riteneva comunque che vi fosse stato un concorso di colpa del Petrucci che, in violazione dell'alt 17 del regolamento, rallentava mentre veniva raggiunto dall'imputato, senza che tale rallentamento fosse necessario, e senza tener conto della velocità, della distanza e della rotta dell'altro gommone. 2. Interposto gravame da parte dell'imputato, la Corte d'appello di Napoli lo accoglieva limitatamente alla richiesta di conversione della pena detentiva in pecuniaria, confermando integralmente nel resto la sentenza impugnata. Prendendo in esame le censure svolte dall'appellante in punto di affermazione della responsabilità penale - sostanzialmente tendenti ad evidenziare, attraverso una rivisitazione delle prove raccolte, l'assenza di alcuna sua colpa nella causazione del sinistro e la riconducibilità piuttosto dello stesso a due fattori estranei alla propria condotta nonché imprevedibili, quali da un lato l'impropria manovra di arresto del natante condotto dalla vittima, e dall'altro la presenza di un'onda anomala che spinse il proprio gommone sull'altro - la corte territoriale le giudicava palesemente infondate e meramente ripetitive di tesi già oggetto di accurata analisi da parte del primo giudice, osservando in sintesi quanto segue: - la dinamica dello scontro risultava correttamente ricostruita nella sentenza impugnata sulla base sia delle dichiarazioni testimoniali, sia di dati oggettivi quali i danni riportati dai due gommoni e tra essi, in particolare, quello subito dal natante dello stesso imputato: danno rappresentato, siccome reso evidente anche dai rilievi fotografici, non da mere striature da sfregamento, bensì da un vero e proprio squarcio nella vetroresina; 3 Conformemente a questi riteneva pertanto pienamente provata la colpa - tale squarcio era infatti perfettamente compatibile con quello presente sulla calandra del motore del Petrucci, e anche altri danni erano corrispondenti ad altrettanti punti d'impatto tra i due gommoni, dovendosene desumere che il natante del Loffredo era «salito», anzi praticamente «volato» sull'altro; - in tal senso deponevano anche le dichiarazioni dei testimoni, in ordine alle quali la Corte d'appello rilevava che, pur essendo quelle rese a distanza di qualche giorno dall'incidente mortale più precise e dettagliate rispetto alle prime, non le contraddicevano affatto, e la maggiore analiticità risultava piuttosto l'esatta dinamica del sinistro, ed il ricordo, ancora vivo perché l'audizione era comunque prossima ai fatti, poteva essere espresso certamente meglio rispetto alla situazione traumatica verificatasi al momento dell'incidente; - non erano condivisibili le osservazioni critiche dell'appellante secondo cui il Tribunale avrebbe adottato un erroneo ragionamento probatorio partendo dai danni e dai punti d'urto, essendo invece chiaro che si è dato rilievo alle dichiarazioni testimoniali delle persone a bordo del natante investito (tra le quali la sentenza impugnata richiamava in particolare quelle dei testi Mennella, Porzio e Cepollaro); - nessuno dei testimoni aveva parlato di onde anomale, mentre, se effettivamente fosse sopraggiunta un'onda così alta ed improvvisa da sollevare il gommone, sarebbe stata la prima cosa ad essere notata e riferita; ne discende, secondo la corte territoriale, che la circostanza non può considerarsi affatto provata, non potendo di contro ritenersi sufficienti a fondare l'opposto convincimento le generiche indicazioni al riguardo rese dallo stesso imputato e dal teste De Simone, i quali hanno parlato di «onda anomala» senza precisare, neppure in maniera approssimativa, che cosa intendevano con tale concetto, quanto era alta l'onda, da dove proveniva, in cosa consisteva l'anomalia, fornendo un dato talmente generico da destituirlo di consistenza; - peraltro, date le condizioni metereologiche e marine pacificamente esistenti in quel momento, doveva comunque ritenersi prevedibile che potessero sopraggiungere da tergo o da altra direzione delle onde capaci di alterare la velocità e la direzione stessa del natante, cosa che avrebbe dovuto indurre, non solo secondo la normativa internazionale ma anche alla stregua di normali regole di prudenza, a regolare l'andatura in modo tale da evitare il rischio di collisioni, in particolare osservando congrua distanza di sicurezza dagli altri natanti; - i testimoni non hanno nemmeno riferito di un improvviso arresto della navigazione da parte del Petrucci, e coloro che avevano provveduto al recupero del suo gommone (testi Amoroso, Martinelli), hanno anzi dichiarato che la manetta del motore era spostata in avanti con un po' di accelerazione, 4 spiegabile col fatto che venivano poste domande più specifiche volte a ricostruire circostanza dalla quale è ben possibile argomentare - si nota in sentenza - che il gommone, come riferito da altri testimoni, aveva rallentato e procedeva più piano, ma non si era affatto fermato; non può dunque ipotizzarsi una violazione da parte della vittima dell'ad 17 del citato regolamento internazionale, perché non modificò la rotta, né la velocità nel momento in cui era stato raggiunto dall'altro natante, avendo solo rallentato l'andatura complessiva già in precedenza; anche in tal caso peraltro, ove pure potesse ipotizzarsi una condotta colposa concausale da parte della vittima, ciò non farebbe venir meno la nelle condizioni date; - infine la tesi della correttezza della manovra dell'imputato è in contrasto con la normativa che impone in casi analoghi di tenere proprio quella contestata, ovvero motori "indietro tutta". 3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato articolando tredici motivi. 3.1. Con il primo denuncia violazione di legge, dolendosi del rigetto da parte della Corte d'appello, con ordinanza resa all'udienza del 3/4/2012, della eccezione di nullità della notifica dell'estratto contumaciale e dell'avviso di deposito della sentenza di primo grado nei confronti dell'imputato e della conseguente richiesta di restituzione degli atti alla cancelleria del giudice di primo grado per la rinnovazione della notifica medesima onde consentire all'imputato l'esercizio dei diritti conseguenti: eccezione e richiesta motivate dal rilievo che tale notifica era stata effettuata nel domicilio anagrafico anziché in quello eletto. Deduce che erroneamente la Corte d'appello, a fondamento di tale provvedimento, ha ritenuto che l'imputato ha avuto comunque conoscenza dell'atto e che il difensore, proponendo appello, ha consumato il diritto a impugnare, con ciò disattendendo la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 4/12/2009, che ha riconosciuto al condannato in contumacia il diritto a impugnare anche quando l'impugnazione sia stata in precedenza presentata dal suo difensore. 3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonché mancata assunzione ovvero omessa valutazione di una prova decisiva. Rileva al riguardo che la ricostruzione accolta dalla Corte d'appello è inficiata dalla erronea individuazione dei punti d'urto: errore che, secondo il ricorrente, è 5 responsabilità penale dell'imputato, attesa la sua non assoluta imprevedibilità frutto di un travisamento della prova operato dalla commissione d'inchiesta e, prima ancora, dai carabinieri nel momento in cui hanno esaminato il materiale probatorio a loro disposizione, e che sarebbe apparso evidente se solo la corte territoriale avesse direttamente esaminato le foto ed il video acquisito agli atti del processo. Afferma infatti che, all'esame di detti reperti, non si rinviene oggettivamente alcuno squarcio ma solo una leggera scalfittura. Soggiunge che la contestata conclusione è in contrasto con la dichiarazione scritta, versata in atti, e corredata da foto, con la quale il venditore del natante sinistro la presenza di leggere scalfitture nella parte sottostante l'ancora, imputabili a vibrazioni della stessa e corrispondenti a quelle ritratte nella fotografia allegata. Indica altresì quale prova decisiva non valutata dai giudici d'appello la certificazione operata da società specializzata e versata pure in atti, secondo cui quelle rilevate costituiscono «leggere abrasioni al gelcoat dell'opera viva». Infine assume che il corretto esame delle prove avrebbe condotto a rilevare la presenza di altri danni più rilevanti idonei a condurre alla individuazione di un diverso punto d'urto. 3.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e inosservanza di norme processuali. Lamenta che, a causa della terminologia atecnica adottata nella sentenza impugnata, non è dato comprendere se la Corte d'appello abbia individuato il punto d'urto nella parte centrale e sommersa della chiglia ovvero nella ruota di prua ovvero immediatamente sotto l'ancora. Osserva, a confutazione della ricostruzione accolta in sentenza, che il natante dell'imputato non avrebbe potuto colpire con l'estrema prua il natante che lo procedeva, attingendolo al motore, senza riportare alcun danno alla prua stessa, per poi salire letteralmente sopra l'altro natante senza lasciare tracce sotto la carena per più di 5 m e soprattutto senza colpire nessuno dei passeggeri. 3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza d'appello respinge il motivo di gravame con il quale si contestava la correttezza del metodo probatorio di accertamento dei fatti. Osserva che al riguardo la corte territoriale si è limitata ad escludere la sussistenza di errori nel ragionamento probatorio del giudice di primo grado, poiché questi s'era attenuto alle dichiarazioni testimoniali, senza però specificare quali circostanze avesse ritenuto provate per effetto di quelle dichiarazioni testimoniali. Rileva che tali dichiarazioni si riferiscono in realtà a circostanze per nulla rilevanti ai fini della individuazione dell'efficienza causale dei 6 da diporto in questione attesta di avere verificato in epoca antecedente al comportamenti dei conducenti dei natanti coinvolti nell'incidente. 3.5. Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione nella parte in cui la sentenza d'appello ha disatteso il motivo di gravame con il quale si lamentava il disconoscimento da parte del primo giudice dell'esistenza e dell'efficienza causale dell'onda anomala e dell'arresto del proprio natante da parte del Petrucci, in quanto in contrasto con le dichiarazioni rese dall'imputato e dal teste De Simone e con la consulenza di parte che, sulla base di dati oggettivi rappresentati da sviluppo di un'onda anomala. 3.6. Con il sesto motivo deduce ancora vizio di motivazione in relazione alla ritenuta scorrettezza della manovra d'emergenza da lui posta in essere nell'occorso. Assume che, al riguardo, il richiamo da parte del giudice di merito alla normativa in materia è improprio e generico, posto che non esiste una manovra valevole per tutte le situazioni e che andava piuttosto considerata la residuale norma cautelare che, in ipotesi di abbordo inevitabile, impone di perseguire l'obiettivo di un impatto laterale onde ridurre il più possibile danni a cose e a persone. Osserva che per contro, la manovra indicata come doverosa nella sentenza impugnata, era nella specie tecnicamente ineseguibile in quanto il natante in questione non è munito di invertitore. 3.7. Con il settimo motivo deduce ancora vizio di motivazione nonché violazione di legge in relazione alla omessa valutazione delle violazioni commesse dal Petrucci e della loro incidenza causale, tra le quali anche era stata indicata l'accostamento a sinistra effettuato in conseguenza dell'errato carico di passeggeri, aspetto al quale la corte territoriale non ha dedicato alcuna considerazione. Al medesimo tema si riferiscono anche i motivi decimo, undicesimo e dodicesimo, con i quali il ricorrente deduce vizio motivazionale e violazione di legge, per avere il giudice a quo omesso di dare il giusto rilievo nonché di considerare la imprevedibilità della violazione da parte del Petrucci della norma di cui agli artt. 3 e 17 del Regolamento per prevenire gli abbordi in mare (Colreg), determinata dal rallentamento improvviso del suo natante, per cause estranee alla navigazione, e dalla omissione di una tempestiva e adeguata segnalazione. 3.8. Con l'ottavo e nono motivo - anch'essi sostanzialmente sovrapponibili - 7 rilevamenti acquisiti dal centro di Pratica di Mare, assume la possibilità di il ricorrente deduce vizio di motivazione e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, per aver emesso una sentenza di condanna fondata su prova indiziaria priva dei necessari requisiti della gravità, univocità e concordanza e dunque sulla base di elementi di colpevolezza inidonei a giustificarla al di la di ogni ragionevole dubbio, restando legittimamente ipotizzabili e verosimili alternative dinamiche. 3.9. Al medesimo tema è sostanzialmente riferibile anche l'ultimo motivo norme processuali dettate in tema di interpretazione e valutazione delle prove. In tale vizio la Corte d'appello sarebbe incorsa nell'affermare che le deposizioni rese dai testi e dal prevenuto nell'immediatezza dei fatti non sarebbero attendibili mentre lo sarebbero quelle rese a distanza di molti giorni, e nel non sottoporre a rigoroso vaglio le dichiarazioni delle persone offese dal reato legate da stretti vincoli di parentela con il Petrucci. Ciò, secondo il ricorrente, avrebbe indotto erroneamente la Corte a privilegiare le dichiarazioni dei testi Porzio, Cepollaro e Mennella che, a distanza di giorni dal fatto, hanno dichiarato che il Petrucci aveva rallentato la corsa solo leggermente, e a sottovalutare le opposte indicazioni rese dalla stessa teste Porzio poche ore dopo il sinistro, secondo cui il marito aveva rallentato «notevolmente» la corsa, nonché la deposizione del teste De Simone, estraneo e indifferente, che nell'immediatezza dei fatti ha dichiarato che l'imbarcazione del Petrucci «si era fermata». Considerato in diritto 4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. «nella parte in cui non consente la restituzione dell'imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato», riguardava il caso di un imputato, condannato in contumacia, che, nel corso del processo, era stato assistito da un difensore d'ufficio, il quale, non avendo ricevuto un mandato ad hoc, aveva presumibilmente proposto impugnazione di propria iniziativa, cosicché non appariva ragionevole che, a causa di una scelta altrui, non voluta nè concordata, gli fosse opposto l'effetto irreparabile della diritto di impugnazione di cui era l'unico titolare. 8 consumazione del fondamentale con il quale il ricorrente deduce vizio di motivazione nonché inosservanza di Diverso invece è il caso in cui l'imputato contumace abbia nominato un difensore fiduciario, che l'abbia assistito nello svolgimento di tutti i gradi del giudizio, proponendo le relative impugnazioni. In tale evenienza, infatti, non può ravvisarsi quella sorta di presunzione di non conoscenza della pendenza del procedimento che caratterizza la disciplina della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale; e ciò non perché operi una presunzione legale in senso contrario (palesandosi pertanto non pertinenti le considerazioni sul punto svolte in ricorso), ma perché si è in presenza di un «fatto concreto e procedimento o della sentenza secondo una regola di comune consolidata esperienza, anche alla luce dei principi desumibili dal codice deontologico forense (Delib. Consiglio nazionale Forense del 12 giugno 2008), che obbligano il difensore di fiducia a informare l'assistito dello svolgimento del processo e del compimento degli atti salienti tra i quali si colloca sicuramente l'impugnazione (v. Sez. 6, n. 5332 del 21/01/2011, Minicozzi, Rv. 249466; Sez. 6, n. 66 del 2/12/2009, Condello, rv 245343). Orbene, si ricava nella specie dalla stessa epigrafe del ricorso in esame che sin dal primo grado l'imputato era assistito dallo stesso odierno difensore di fiducia, Avv. Domenico Nicolas Balzano. Esiste dunque quel «fatto concreto e specifico», rappresentato dalla nomina del difensore di fiducia, che, in difetto di un'esplicita comunicazione dell'avvenuta interruzione di ogni rapporto tra difensore e assistito - interruzione anzi evidentemente da escludere attesa la prosecuzione del mandato anche per il presente giudizio di cassazione -, contraddice la presunta inconsapevolezza del contumace, sia sul punto della pendenza del procedimento e della sentenza pronunciata, sia sul punto dei mezzi di impugnazione esperiti. 5. I restanti - ancorché numerosi, ma spesso sovrapponibili e ripetitivi motivi di ricorso, sono parimenti manifestamente infondati. In tale parte il ricorso, con tutta evidenza, si risolve nella reiterazione di difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di appello, oltre che nella prospettazione di una serie di censure in punto di fatto della sentenza impugnata, afferenti esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. È il caso poi di rammentare che la sentenza impugnata va necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, 9 specifico» di per sè idoneo a provare la conoscenza, da parte dell'imputato, del derivandone che i giudici di merito hanno spiegato, in maniera adeguata e logica, l'espresso convincimento della penale responsabilità dell'imputato in ordine al tragico evento, compiutamente esaminando tutte le prospettazioni difensive reiteratamente proposte e confutando ciascuna di esse ovvero anche evidenziandone la non decisività sulla base di argomenti puntuali e logicamente coerenti con le acquisizioni istruttorie: argomenti sopra sintetizzati ai quali è nt sufficiente fa rimando per evidenziare come in esse sia già contenuta esauriente risposta a tutte le doglianze qui inammissibilmente riproposte. ravvisandosi alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il ragionamento seguito. Passando, alla luce di tali rilievi di carattere generale, all'esame puntuale dei singoli motivi di ricorso è agevole osservare quanto segue in estrema sintesi. 5.1. La valutazione dei danni riportati dai due natanti e la ricostruzione sulla base di essi dei punti d'urto della dinamica del sinistro costituiscono valutazioni di merito incensurabili in quanto operate secondo criteri intrinsecamente coerenti e validi sul piano logico, essendo per converso manifestamente infondata la censura in proposito dedotta di travisamento della prova. È agevole al riguardo rilevare che nella specie quel che viene dedotto (con il secondo motivo) in realtà non è propriamente un travisamento della prova (posto che i giudici di merito utilizzano una prova, ossia i rilievi tecnici eseguiti dalla commissione d'inchiesta incaricata dalla capitaneria e dai carabinieri, i cui risultati sono incontestatamente proprio quelli acquisiti a fondamento della decisione impugnata, sicché in altre parole la prova utilizzata non dice cose diverse da quelle che il giudice ad essa attribuisce) ma costituisce nient'altro che un presunto travisamento del fatto il quale come tale, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, lett. e), cod. proc. pen. dalla I. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (v. Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006, Lobriglio, Rv. 234559). Nè vizio di travisamento di prova può ravvisarsi, come pure dedotto dal ricorrente, nell'omessa valutazione da parte dei giudici di merito della dichiarazione resa dal venditore del natante nell'occorso condotto dal Loffredo ovvero della certificazione resa da società specializzata circa la natura e consistenza dei danni, atteso che un tale vizio, per essere deducibile in cassazione, postula l'esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i 10 La ricostruzione del fatto risulta dunque incensurabile in questa sede, non risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (v. Sez. 4, n. 14732 dell'1/3/2011, Molinario, Rv. 250133), trattandosi altrimenti di un'attività valutativa che - tanto più quando come nella specie richiede la selezione tra fonti e risultanze di segno opposto resta imprescindibilmente riservata al potere discrezionale del giudice di merito, modalità del suo esercizio si dà illustrazione esauriente e logicamente coerente, non richiedendosi per contro una specifica dettagliata confutazione delle prove ritenute non attendibili o irrilevanti. 5.2. Ciò posto, anche le considerazioni svolte nel terzo e nel quarto motivo di ricorso si rivelano, da un lato, generiche e comunque manifestamente infondate nella parte in cui con esse si assume che nella sentenza impugnata risulterebbero incomprensibili l'individuazione del punto d'urto e la conseguente ricostruzione della dinamica (ci lok essendo con ogni evidenza smentito da una semplice lettura della sentenza d'appello nella quale, richiamandosi peraltro quella di primo grado, si fa riferimento a un "profondo squarcio nella vetroresina sotto l'alloggio dell'ancora a prua") e, dall'altro, certamente inammissibili nella misura in cui chiaramente tendono a una nuova valutazione delle prove e ad una diversa ricostruzione del fatto, come detto certamente precluse in sede di legittimità. 5.3. Non possono non svolgersi analoghi rilievi anche con riferimento ai motivi quinto, sesto, settimo e dal decimo all'undecimo, tutti dedicati, in estrema sintesi, ai temi della dedotta esistenza di un'onda anomala, della correttezza della manovra eseguita nella fase immediatamente antecedente l'incidente, delle violazioni addebitabili alla stessa vittima e della rilevanza causale ad esse attribuibile. Anche in tal caso, invero, lungi dal prospettarsi l'esistenza di dati istruttori obiettivamente e manifestamente univoci capaci di disarticolare il ragionamento probatorio seguito dai giudici di merito, si fa riferimento da parte della difesa del ricorrente a fonti dichiarative al più suscettibili di fondare una valutazione in termini di mera plausibilità delle circostanze dedotte (ci si riferisce in particolare alla ipotizzata onda anomala), come tale certamente inidonea a palesare anche un vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione per il solo fatto che essa invece aderisce ad una ricostruzione alternativa almeno 11 insindacabile se, come detto e come certamente accade nella specie, delle altrettanto plausibile. Questa peraltro, oltre a dar conto in modo logico e coerente delle ragioni che conducono - alla luce delle acquisizioni istruttorie - a una diversa ricostruzione causale, evidenzia comunque che la condotta colposa del prevenuto e la sua rilevanza causale rispetto al sinistro non potrebbero considerarsi escluse anche ipotizzando la fondatezza delle prospettazioni difensive in esame, restando comunque addebitabile all'imputato la grave imprudenza rappresentata dal non essersi messo in condizioni di sicurezza nella navigazione tali da prevenire il dunque prevedibile nelle descritte condizioni meteorologiche e marine. Rilievo quest'ultimo che evidentemente priva di incidenza alcuna anche la questione se, una volta divenuto evidente l'approssimarsi dell'impatto, fosse o meno una manovra corretta ed esigibile mettere il motore «indietro tutta» ovvero se possa invece considerarsi incensurabile la diversa manovra di emergenza posta in essere dall'imputato: quale che sia la risposta da darsi al quesito, e fermo restando che quella data dai giudici di merito risulta conforme alle norme del citato regolamento (vds. in particolare l'art. 16, secondo il quale «una nave che deve lasciar libera la rotta ad un'altra deve, per quanto è possibile, manovrare in modo deciso e tempestivo per ottemperare a tale obbligo e lasciare ben libera la rotta»), resterebbe comunque impregiudicato l'addebito all'imputato di aver in precedenza adottato una condotta di guida ovvero eseguito manovre imprudenti, tali da metterlo nelle condizioni di trovarsi nelle contingenze predette. Analogamente è a dirsi per quanto riguarda la condotta di guida della vittima. Da un lato, l'assunto secondo cui questi procedette non già a un mero rallentamento della guida ma a un vero e proprio arresto, non consentito dalle regole marinare, risulta ancora una volta affidato a una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, ovvero a un diverso giudizio di attendibilità delle contrapposte deposizioni, come tale inidoneo a palesare un vizio di manifesta illogicità della motivazione ma piuttosto integrante inammissibile contestazione di merito. Dall'altro, deve anche in tal caso rammentarsi che l'irregolarità della condotta della vittima risulta in realtà considerata nel giudizio di condanna (in particolare nella motivazione della sentenza di primo grado) e nondimeno ritenuta del tutto ragionevolmente quale mera concausa dell'evento, come tale inidonea ad escludere la responsabilità del conducente del natante investitore. Con tale parte della motivazione il ricorrente omette totalmente di confrontarsi, assumendo, implicitamente e apoditticamente, che il dedotto formarsi di un'onda anomala ovvero la pure dedotta condotta colposa della 12 dedotto fenomeno, in realtà a detta dello stesso ricorrente ben possibile e stessa vittima avrebbero invece dovuto considerarsi come fattori causali esclusivi e imprevedibili. 5.4. Anche i residui motivi - ottavo, nono e tredicesimo - si risolvono nella contestazione della valutazione delle prove da parte dei giudici di merito: contestazione in parte generica e in altra parte inammissibile, poiché fondata su opinabili opzioni in punto di maggiore o minore attendibilità dell'una o dell'altra dichiarazione e, per le ragioni dette, inidonea a evidenziare una incompatibilità possano ritenersi obiettivi e univoci in senso contrario ovvero comunque dotati di decisività. Quanto poi all'assunto secondo cui il ragionamento probatorio seguito dai giudici di merito sarebbe basato su meri indizi privi dei requisiti richiesti dall'art. 192 cod. proc. pen. appare evidente che - in mancanza di precisazione del motivo per cui i vari elementi istruttori raccolti (in particolare, come detto: fatti narrati dai testimoni e natura, collocazione e consistenza dei danni rilevati sui natanti) debbano ritenersi dotati di debole valenza indiziaria ovvero dei motivi per cui il collegamento inferenziale operato dal giudice a quo debba ritenersi debole sul piano logico per l'esistenza di altre plausibili spiegazioni ovvero non assistito da regole scientifiche o esperienziali valide - lo stesso in null'altro si risolve se non in una generica contestazione del convincimento espresso o, tutt'al più, nella mera sintetica riproposizione delle medesime prospettazioni difensive già svolte nei precedenti motivi e della cui manifesta infondatezza già s'è detto. 5.4.1. Tanto deve dirsi anche della dedotta violazione della regola di giudizio dell'oltre il ragionevole dubbio. Questa invero rappresenta nient'altro che, a contrario, la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata spiegazione causale. Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa dell'imputato ed evento con «elevato grado di credibilità razionale», in quanto non permanga un «dubbio ragionevole» (ossia, non meramente congetturale) che l'evento possa essere stato determinato da una causa diversa. Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta dall'art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del 13 del convincimento espresso nelle sentenze di merito con dati istruttori che comma 1 dell'art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio». Secondo l'opinione prevalente in giurisprudenza, infatti, tale novella non ha avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi funzione di controllo del giudice dì legittimità che rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l'impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche in tal senso Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507). 6. Ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. 7. Ne discende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 27/02/2014 sulla responsabilità dell'imputato. La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla

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