Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 139 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 139 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI NAPOLI
nei confronti di:
NAPOLI GIUSEPPE N. IL 13/07/1985
avverso l’ordinanza n. 2246/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
15/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 16/10/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 15 aprile 2013 il tribunale del riesame di Napoli, in accoglimento
dell’appello proposto da Napoli Giuseppe avverso il provvedimento della corte d’appello di
Napoli che aveva rigettato l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase,
disponeva la scarcerazione dell’imputato. Riteneva il tribunale che non potevano essere
condivisi gli argomenti svolti dal giudice collegiale in ordine alla possibilità di aggiungere, nel
computo dei termini di fase, nel giudizio di appello, ope legis, il periodo di sei mesi di cui

verbali delle udienze svolta dinnanzi alla corte d’appello doveva escludersi che alcuna ulteriore
sospensione fosse stata pronunciata nel giudizio d’appello, ai sensi dell’articolo 304 comma 1
lett. b) codice procedura penale, con la conseguenza che non poteva trovare applicazione nel
caso di specie la disposizione di cui all’articolo 304 comma 7 secondo la quale, nel computo dei
termini di cui al comma 6, vale a dire nel computo del doppio del termine di fase, non si
teneva conto dei periodi di sospensione di cui al comma 1 lett. b) della stessa disposizione
normativa, fatto salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della cautelare.
Riteneva pertanto che i termini di fase fossero decorsi alla data del 19 dicembre 2012, essendo
spirato invano in detta data il termine di due anni dalla pronuncia della sentenza di primo
grado
Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli deducendo
che l’ordinanza impugnata è incorsa in violazione di legge. Ritiene che l’imputato è stato
condannato in relazione a delitto che prevede, con riguardo alla sua pena edittale un termine
di fase pari ad un anno e sei mesi. Termine che una volta sospeso, come nel caso in esame ,
raddoppia fino a tre anni. Al riguardo rileva che il tribunale non ha tenuto conto della
giurisprudenza della suprema corte in virtù della quale, ai fini del calcolo dei termini di fase
occorre tenere conto nel giudizio di appello e in quello di cassazione, della pena edittale
prevista per il reato per il quale l’imputato è stato condannato e non della sanzione in concreto
irrogata. Richiama sul punto le sentenze: sezione 6° numero 8734 del 12 dicembre 2007,
sezione 1° numero 3638 del 17 dicembre 2009 ancora sezione 6°numero 27408 del
16.6.2010. Viene altresì sottolineato che nel periodo di due anni, rappresentato dal termine di
un anno della sentenza di condanna, raddoppiato ex articolo 304 comma due codice procedura
penale a seguito del provvedimento di sospensione dei termini di fase emesso dalla corte
d’appello di Napoli, vanno sommati ulteriori sei mesi di cui ai termini della lett. d) dell’articolo
303 codice di procedura penale. Richiama sul punto l’indirizzo espresso da questa corte
(sezione 5° penale) con la sentenza numero 30759 del 2012.

Il ricorso è infondato.
Deve preliminarmente osservarsi che il codice prevede varie tipologie di termini di durata delle
misure cautelari personali. Da un lato vi sono i termini massimi intermedi o di fase ricollegati a

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all’articolo 303 comma 1 sub 3 bis codice procedura penale. Rilevava che dalla lettura dei

determinate fasi o gradi del procedimento ( art. 303 c.p.p.), da un altro lato vi è il termine
massimo complessivo fino alla sentenza irrevocabile (art. 303 co 4 c.p.p.). I termini massimi
intermedi hanno la caratteristica di essere autonomi tra loro, cioè di operare solo in quella
determinata fase o grado del procedimento. Una volta conclusa la fase o grado anteriore inizia
a decorrere il successivo termine intermedio. Per ciascuna delle tre diverse fasi previste
antecedentemente alla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado operano termini
diversificati in ragione del massimo edittale della pena per il reato in relazione al quale è stata
applicata la misura. Per il giudizio di appello e di cassazione il termine di fase è invece

in primo grado confermata in appello (c.d. doppia conforme) o di ricorso per cassazione
proposto esclusivamente dal pubblico ministero, in cui (articolo 303 comma 1lett. D) ultimo
periodo) si applica il termine di durata massima complessivo di cui al comma 4 dell’articolo 303
codice procedura penale che fa riferimento nuovamente alla pena edittale.
Per la fase del giudizio ordinario di primo grado il numero 3 bis della lettera B del comma uno
dell’articolo 303 prevede un aumento fino a sei mesi dei termini ivi previsti qualora si proceda
per i delitti di cui all’articolo 407 comma 2 lett a) codice procedura penale. Come affermato da
questo giudice di legittimità, il dettato normativo attinente lo “status libertatis”, in difetto di
esplicita deroga, è tassativo e non può essere oggetto, di interpretazione analogica estensiva,
con la conseguenza che i termini tracciati dall’art. 303 co. I n. 3 bis, con il richiamo al c.d.
“recupero” di cui alla 2^ e u. p. di tale comma, proprio per l’eccezionalità di esso, non può
“estendersi” a quanto disposto dalla successiva lett. b bis) nella quale, in riferimento al giudizio
abbreviato, non vi è cenno alcuno, nemmeno indiretto, a tale sistema di “recupero”. Non può
essere considerato pertinente il richiamo all’art. 304 co. I lett. C bis, posto che detta
normativa, pur attinente il giudizio abbreviato, si riferisce alla “sospensione” dei termini di
durata massima della custodia cautelare e non già alla “proroga” di tali termini, di ben diversa
natura, portata e funzione ( Cass Sez. 6° n. 12907 del 2003 Rv. 224157).
Deve aggiungersi che la sospensione della custodia cautelare disciplinata dall’articolo 304
codice di procedura penale opera sia sui termini di fase che sui termini di durata complessiva,
entro però ben determinati limiti. La durata della custodia cautelare nelle singole fasi non può
comunque superare il doppio dei termini ivi previsti, da calcolare senza tenere conto
dell’aumento di sei mesi di cui all’articolo 303 comma uno lettera b) numero 3-bis . Ai fini del
limite massimo del termine di fase non si computano i periodi di sospensione di cui alla lettera
B del comma uno dell’articolo 304. Quanto all’incidenza sui termini di durata massima la
custodia cautelare, per effetto della sospensione, non potrà comunque superare detti termini
aumentati della metà, ovvero se più favorevole, i due terzi del massimo della pena temporanea
prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza .
Ciò detto deve rilevarsi che nel caso in esame nessuna rilevanza hanno le doglianze sollevate
dal ricorrente e il richiamo alla sentenza Ali Sualaiman dell’11.7.2012 sez. 5 Penale che ha
affermato che, in caso di sospensione dei termini di custodia cautelare, nel computo del doppio
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diversificato in ragione della pena in concreto irrogata, ad eccezione delle ipotesi di condanna

di quello di fase, inteso come termine massimo dall’art. 304 comma 6 cod. proc. pen., non si
debba tenere conto del recupero, nei limiti dei sei mesi, del residuo delle fasi precedenti
autorizzato dall’art. 303, comma 1, lett. b) n. 3-bis dello stesso codice ponendosi
consapevolmente in contrasto con il contrario ed unanime orientamento di questa Corte,
secondo il quale, argomentando dal tenore letterale del sesto comma dell’art. 304, il termine di
durata massima della custodia cautelare non potrebbe essere aumentato fino a sei mesi
sommandovi il residuo recuperato nella fase dibattimentale da quelle precedenti, poiché, per
un verso, l’avverbio “comunque” utilizzato dalla disposizione sottolineerebbe il carattere di
limite insuperabile del “doppio” termine di custodia e, per altro verso, la collocazione dell’inciso
“senza tenere conto dell’ulteriore aumento previsto dall’art. 303, comma primo, lett. b)
numero 3 bis” subito dopo l’enunciazione della “regola” in tema di durata massima della
custodia, escluderebbe invece l’adozione di ogni criterio di computo che riduca la portata della
stessa (così Sez. 1, n. 34545 del 11 aprile 2007 – dep. 12 settembre 2007, P.M. in proc. Greco,
rv 237680; in senso identico da ultima Sez. 6 n. 38671 del 7 ottobre 2011 – dep. 25 ottobre
2011, Amasiatu, rv 250847 ed in precedenza tra le tante Sez. 1 n. 26794 del 15 maggio 2003
– dep. 19 giugno 2003, P.M. in proc. Pirrone, rv 225006; Sez. 1 n. 8094 del 9 gennaio 2002 dep. 27 febbraio 2002, Gulino, rv 221326;
Il processo a carico del Napoli si è concluso in primo grado con sentenza di condanna emessa
all’esito del giudizio abbreviato (sentenza del GUP di Napoli del 2012.2010), con conseguente
inapplicabilità dell’art. 303 co. I n. 3 bis, previsto solo per la fase dibattimentale.
Così come non ha pregio l’ulteriore assunto del ricorrente, secondo cui, deve trovare
applicazione la lett. D) dell’art. 303 c.p.p. perché tale disposizione riguarda la fase susseguente
al giudizio di appello.
Nel caso in esame il termine massimo di 2 anni previsto per il grado di appello è spirato il 19
dicembre 2012, prima della condanna in appello intervenuta il 12.3.2013. Correttamente il
tribunale ha perciò fatto riferimento alla pena irrogata e non a quella prevista dalla legge per il
reato.
Il ricorso deve pertanto essere respinto

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deliberato in Roma il 16.10.2013

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