Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 139 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 139 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MONACO JOANDERSON N. IL 20/08/1985
avverso l’ordin.nza n. 4980/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
04/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
iette/sentite le conclusioni del PG Dott. tlz
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víd e ,f2;2, dit;
aJote.,2
‘ 49N 4,19b

Udii i difensor

Data Udienza: 05/12/2012

,

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza del 4 luglio 2012 il Tribunale del riesame di Napoli
respingeva l’istanza di riesame, proposta dall’indagato Joanderson Monaco avverso
l’ordinanza del G.I.P. dello stesso Tribunale che in data 24 giugno 2012 lo aveva
indiziato del delitto di favoreggiamento personale aggravato ai sensi dell’art. 7 d.l.
152/91 per avere, in concorso con altri, aiutato Paolo Magnetti, affiliato al clan Di
Lauro e successivamente al clan Amato-Pagano, operante nel territorio di
Secondigliano e zone limitrofe, colpito da provvedimenti custodiali, ad eludere le
investigazioni dell’ Autorità ed a sottrarsi alla cattura, avendone anche agevolato
la fuga all’atto dell’ingresso degli agenti del comm.to P.S. di Secondigliano, fatto
accertato il 22 giugno 2012.
Il Tribunale fondava la propria decisione sulla ritenuta acquisizione di gravi
indizi di reità in ordine al delitto contestato, ad eccezione che per la circostanza
aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/91, desunti dalle circostanze dell’arresto
dell’indagato, avvenuto mentre lo stesso, unitamente al latitante Paolo Magnetti,
in pantofole e pigiama, al Mele ed al Di Pinto, si era trovato lungo le scale
dell’edificio accanto a quello ove era situata l’abitazione di Vincenzo Esposito, -ove
il Magnetti sino a poco prima aveva trovato rifugio e che aveva appena
abbandonato quando era stata percepita la presenza degli operatori di polizia-,
nel tentativo condiviso di raggiungere la porta che dà accesso al tetto dell’edificio
per lasciare i luoghi e consentirgli di sottrarsi alla cattura. Riteneva quindi prive di
credibilità le dichiarazioni rese dagli indagati, protestatisi estranei al tentativo di
fuga del Magnetti, in quanto gli stessi con costui erano stati fermati in prossimità
della porta che immette sul tetto dello stabile ove vive il Monaco, il che smentiva
che essi fossero diretti alla sua abitazione e rende inverosimile avessero per caso
incontrato il latitante lungo le scale, anche per non avere avuto motivi personali
per sottrarsi al controllo di polizia.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale ravvisava il pericolo di
recidivazione ed il pericolo di fuga in considerazione delle modalità dei fatti,
rivelatrici di personalità fortemente trasgressiva ed in contrasto con i dettami
dell’autorità e delle circostanze del tentativo di eludere la cattura.
2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il Monaco a mezzo
del suo difensore, il quale lamenta mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del quadro indiziario per non
avere il Tribunale chiarito come si sarebbe concretizzata la protezione della fuga

1

sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente

del Magnetti ed avere erroneamente ritenuto che egli non avesse altro motivo per
cercare di sottrarsi al controllo della polizia giudiziaria senza considerare che
proprio in quello stabile era situato un deposito di merce contraffatta, che era
intenzionato a cedere ai coindagati Di Pinto e Mele.

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1.L’ordinanza impugnata con motivazione sintetica, ma chiara, completa e
priva di vizi logici o giuridici ha analizzato il compendio indiziario, fondato su un
dato di eloquente ed inequivoca valenza dimostrativa, ossia l’avvenuto
rinvenimento dell’indagato, assieme al latitante Magnetti, che nel frangente
indossava pigiama e pantofole, al Di Pinto ed al Mele nei pressi della porta che dal
vano scale conduceva al tetto dell’edificio attiguo al palazzo ove era ubicata
l’abitazione di Vincenzo Esposito, nella quale il Magnetti aveva trovato rifugio
durante la latitanza. Inoltre, il rinvenimento dei quattro fuggitivi era avvenuto
immediatamente dopo l’accertamento condotto presso detto alloggio, ossia dopo
che il personale di polizia, ottenuta con un certo ritardo dall’Esposito l’apertura
della porta di casa dopo avere avvertito più voci all’interno e constatata l’assenza
di altre persone, aveva seguito la presumibile via di fuga degli occupanti dalla
porta retrostante dell’appartamento, che immetteva

sul terrazzino e da qui,

tramite una porta in ferro con apertura elettrica, nell’edificio adiacente; fatto
accesso a tale palazzo, allettati dai rumori di persone che si movevano
frettolosamente, gli agenti avevano scoperto il gruppo degli indagati mentre stava
salendo la rampa di scale dal secondo piano e li aveva raggiunti all’ultimo piano,
ove avevano dovuto trattenersi per la chiusura a chiave della porta di accesso al
tetto. La sequenza degli eventi è stata descritta dal Tribunale per dar conto della
fuga intrapresa dal Magnetti non da solo, ma accompagnato dal Monaco e
compagni, che lo avevano condotto lungo il percorso nel tentativo di eludere la
pattuglia della Polizia e quindi per consentirgli di sfuggire alla cattura; del resto gli
agenti avevano percepito le voci di più soggetti sin dall’esterno dell’abitazione
dell’Esposito e le avevano seguite anche nel palazzo accanto durante la fuga verso
il tetto, tragitto che il Monaco doveva ben conoscere, essendo residente in
quell’edificio ed essendo legato all’Esposito ed alla convivente del latitante da
vincoli di stretta parentela.
2.0Itre a ciò il Tribunale ha valutato le giustificazioni fornite dagli indagati,
ritenendole prive di qualsiasi credibilità e verosimiglianza, dal momento che
2

Considerato in diritto

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
891ffla,

n-tL. 2Q13

quando il gruppo dei quattro fuggitivi era stato raggiunto costoro non si erano
trovati all’esterno dell’abitazione del Monaco, perché ivi diretti, ma nei pressi della
porta che conduceva al tetto, prescelto quale via di fuga per il latitante. Per
contro, le ragioni del loro precipitoso tentativo di sottrarsi al confronto con le forze
dell’ordine non sono plausibili, né riscontrate, dal momento che del presunto
“deposito” di merce contraffatta, al di là delle interessate affermazioni degli
risulta opposta per cercare di smentire le circostanze dell’arresto, in sé dotate di
elevato valore indiziante. Pertanto, l’analisi condotta dal Tribunale, frutto della
lettura coordinata dagli elementi di conoscenza disponibili, rende dotata di
adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito
della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato
grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità del
Monaco in ordine al delitto a lui contestato, sicché l’ordinanza impugnata supera il
vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve limitarsi alla
verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che
presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art.
273 c.p.p. per l’emissione e il mantenimento dei provvedimenti restrittivi della
libertà personale, senza poter coinvolgere l’intrinseca consistenza delle valutazioni
riservate al giudice di merito.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa insiti nella
proposizione di siffatta impugnazione, manifestamente infondata, di una somma in
favore della Cassa delle Ammende nella misura che si stima equo determinare in
Euro 1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro mille alla Cassa delle Ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore
dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

indagati, non è stata rinvenuta alcuna evidenza oggettiva, sicchè la sua esistenza

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