Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13890 del 07/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13890 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposti da:

NOSENZO ROBERTO, nato a Torino il 01/03/1964;

avverso la sentenza n. 1621/2014 della CORTE di APPELLO di MILANO,
del 29/05/2014;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 7/1/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. MARILIA DI NARDO,
che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile avv. Gian Michele Gentile che ha
chiesto il rigetto del ricorso, la conferma della sentenza impugnata e
la condanna del ricorrente alla refusione delle spese e compensi delle
difesa di parte civile.
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Data Udienza: 07/01/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23/07/2013, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice per
l’udienza preliminare del Tribunale di Monza dichiarava Nosenzo Roberto colpevole dei reati in
quella sede ascrittigli: al Nosenzo, a Khatchadourian Rostom Vahan ed a Nania Pierre erano
stati contestati i reati di cui agli artt. 56, 629, 628, 582, 110 e 81 cpv. cod. pen., per avere i
medesimi, in concorso tra loro, compiuto con violenza e minaccia atti idonei diretti in modo
non equivoco a costringere Weiser Thomas a consegnare loro 45.000 euro per procurarsi un
ingiusto profitto con pari danno per il Wieser, non riuscendo nell’intento per la resistenza di

propria auto a Milano, il 17/2/2012, con la promessa che lo avrebbe accompagnato, poi
lasciandolo raggiungere da solo l’associazione Hamc Red White Nomads, ove Sibernagl
Andreas, il Nosenzo, Hector Kromer ed altre persone – secondo l’imputazione – dopo averlo
minacciato di morte, lo avevano preso a calci e pugni causandogli lesioni, contusioni ed
ematomi per tutto il corpo, giudicate guaribili in giorni quindici, il Nosenzo aveva impugnato
una pistola e, dopo aver fatto vedere che caricava un proiettile nel tamburo ed averlo
rinchiuso, gli aveva puntato la pistola premendo il grilletto a vuoto per tre volte,
impossessandosi, dopo averlo perquisito ed aver perquisito anche l’auto, dei suoi telefoni
cellulari, dei documenti personali e della macchina, che fotocopiavano, trattenendo i cellulari e
costringendolo, sempre sotto la minaccia di gravi ritorsioni a lui ed alla moglie, a consegnare
loro 200 euro per ripulire il locale dal sangue, facendogli recapitare poi presso l’abitazione il
successivo 21/2/2012 i cellulari unitamente al biglietto del Rabensteiner. La sentenza
assolveva Khatchadourian Rostom Vahan da tali reati, e condannava, invece, il Nosenzo ed il
Nania, dichiarati colpevoli di tutti i reati loro contestati, alla pena di anni due e mesi otto di
reclusione ed euro 1000,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei danni in favore della
parte civile, ed al pagamento in favore di questa di una provvisionale di 20.000,00 euro.
2. Con sentenza del 29/05/2014 la Corte di Appello di Milano riformava tale pronuncia
solo nei confronti di Nania Pierre, che assolveva dai reati ascrittigli, confermando invece la
sentenza impugnata relativamente alla posizione di Nosenzo Roberto.
3. Avverso tale sentenza, ed avverso “tutte le ordinanze comunque pronunciate nel citato
procedimento penale”, ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del Nosenzo, sollevando
i seguenti motivi di impugnazione:
3.1 nullità della sentenza e delle ordinanze per difetto, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, nonché per inosservanza delle norme penali e processuali, in
relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di nullità della richiesta e del decreto di
giudizio immediato, formulata con la stessa richiesta di rito abbreviato, e comunque di
inutilizzabilità dei verbali di interrogatorio dei coimputati Sibernagl e Rabemnsteiner, redatti in
lingua tedesca dinanzi all’autorità giudiziaria di Bolzano, inizialmente competente per
territorio, non tradotti in lingua italiana in violazione degli artt. 18 e 18 bis DPR 574/88, con

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questo; in particolare, per avere Helmut Rabemnsteiner indotto il Wieser a recarsi con la

conseguente nullità assoluta ex art. 179 cod. proc. pen., non sanabile con la tardiva
traduzione disposta dal GUP del Tribunale di Monza;
3.2 nullità della sentenza per violazione di legge ovvero per inosservanza di norme penali
e processuali e per difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione al riconoscimento della penale responsabilità del ricorrente in ordine ai reati a lui
ascritti, specie con riferimento alla riconosciuta attendibilità delle dichiarazioni della p.o.
Wieser, ritenute prive di contraddizioni pur attribuendosi al predetto difficoltà nel coinvolgere
la persona per la quale aveva agito e che lo aveva smentito in ordine all’iniziativa del

3.3 nullità della sentenza per violazione di legge ovvero per inosservanza di norme penali
e processuali e per difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine
al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti, nonché in
ordine alla quantificazione della pena;
3.4 nullità della sentenza per violazione di legge ovvero per inosservanza di norme penali
e processuali e per difetto, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine
alla quantificazione della provvisionale e delle spese liquidate in favore della parte civile in
primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato
3.1. Deve ritenersi infondata, in particolare, la censura mossa dal ricorrente in ordine alla
mancata tempestiva traduzione in lingua italiana degli atti del procedimento redatti in lingua
tedesca dinanzi all’autorità giudiziaria di Bolzano, inizialmente competente per territorio,
nell’asserita violazione degli artt. 18 e 18 bis del D.P.R. 574/88, censura con la quale si
sostiene l’insufficienza della traduzione disposta con integrazione probatoria di ufficio dal
Giudice per l’udienza preliminare: l’art. 18 del D.P.R. 574/88, invero, nel prescrivere
l’immediata traduzione dell’interrogatorio o dell’esame dell’imputato e delle altre parti private,
da svolgersi nella lingua da questi prescelta, si riferisce alle attività del “processo”, e non già
agli atti, compresi gli interrogatori, delle indagini preliminari, come tali disciplinati dai
precedenti artt. 14 e 15, sicché non può trovare applicazione, nel caso di specie, il comma 3
lett. a) dello stesso art. 18, che prevede rimmediata” traduzione dell’atto compiuto in lingua
straniera, né può riconoscersi alcuna nullità dell’atto, come rilevato dal Giudice per l’udienza
preliminare, ma solo la necessità di traduzione alla quale ben poteva provvedere lo stesso
giudice con integrazione probatoria ex officio.
Del resto, questa Corte di legittimità ha già avuto modo di rilevare che l’obbligo di usare la
lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento davanti all’autorità giudiziaria
che procede, mentre per quelli già formati, che vengono acquisiti al processo, si applica la
disciplina dettata dagli artt. 143, comma secondo, e 242, comma primo, cod. proc. pen., con la

conferimento dell’incarico di recupero del credito ed al pagamento della somma di 200 euro;

conseguenza che la loro traduzione è obbligatoria solo se l’utilizzazione di essi possa
pregiudicare i diritti di difesa dell’imputato e sempre che quest’ultimo abbia eccepito il concreto
pregiudizio derivante dalla mancata commutazione linguistica (sez. 5 n. 32352 del 7/3/2014,
rv. 261936). La traduzione degli atti disposta con integrazione probatoria ex officio nel corso
del giudizio abbreviato, pertanto, risulta aver soddisfatto tale onere di traduzione.
Peraltro, anche eventuali omissioni al riguardo non possono essere eccepite da chi, come
nel caso di specie, abbia chiesto definirsi il processo con il rito abbreviato. In linea generale,
infatti, va rilevato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’omessa

regime intermedio che non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in
quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell’art. 183
c.p.p. (sez. U. n. 39298 del 26/9/20016 rv. 234835; sez. 6 n. 44844 del 1/10/2007 rv.
238030; sez. 1 n. 19948 del 5/5/2010 rv. 247566; sez. 2 n. 19483 del 16/4/2013 rv.
256040). Il suddetto principio conserva la sua validità anche a seguito dell’emanazione del
D.Lgs. n. 32 del 2014 che, in ordine alle conseguenze della mancata traduzione degli atti
processuali, non ha apportato alcuna novità (sez. 2 n. 18781 del 9/4/2014 rv. 259523).
2. Il secondo motivo di impugnazione è manifestamente infondato, atteso che la
valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa è una valutazione
tipicamente di merito e, come tale, sottratta al sindacato di legittimità di questa Corte, quando
priva di vizi logici. Nel caso di specie, tale valutazione è stata fondata dalla Corte territoriale
sul progressivo superamento, da parte di Weiser Thomas, della comprensibile iniziale ritrosia a
coinvolgere la persona per la quale lavorava, e perfino sui sostanziali riscontri che tali
dichiarazioni hanno ricevuto dalle dichiarazioni di Hirsch Giacomuzzi, sicché nessun vizio logico
può essere attribuito alla ricostruzione dei fatti operata nell’impugnata sentenza, laddove
attribuisce modesto rilievo alla discrasie tra le dichiarazioni dei predetti due in ordine a chi
abbia preso l’iniziativa del conferimento dell’incarico del recupero del credito, e su chi abbia
materialmente anticipato la somma di ventimila euro, a fronte del rilievo che diecimila di questi
risultano finiti proprio nella disponibilità del ricorrente e, soprattutto, a fronte di quella che la
sentenza impugnata ha definito una “impressionante” sequenza di riscontri eterogenei tra loro
che hanno esaltato la valenza probatoria di quelle dichiarazioni la cui attendibilità viene invece
contestata dal ricorrente.
3.3. Il terzo motivo di impugnazione è inammissibile, atteso che la graduazione della
pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti
ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne
discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione di congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico (sez. 5 n. 5582 del 30/9/2013, Rv. 259142), ciò che, nel caso di specie,
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traduzione di un atto nella lingua nota all’imputato determina una nullità di ordine generale a

non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per le circostanze, è necessaria soltanto
se la pena sia di gran lunga superiore alla media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo
“pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato
o alla capacità a delinquere (sez. 2 n. 36245 del 26/6/2009, rv. 245596).
Allo stesso modo, anche le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al

siano sorrette da sufficiente motivazione (sez. U. n. 10713 del 25/2/2010 rv. 245931): nel
caso di specie, il fondamento di tali statuizioni è stato illustrato senza vizi logici, con
riferimento alla gravità dei fatti, al ruolo di maggior spicco del Nosenzo rispetto a quello dei
coimputati che hanno beneficiato di un diverso bilanciamento, ed alla mancanza di segni di
ravvedimento, resipiscenza o anche solo semplicemente di rammarico per la condotta tenuta,
da parte del ricorrente.
4. Inammissibile, infine, deve ritenersi anche l’ultimo motivo di impugnazione, atteso che
in sede di impugnazione il giudice non è obbligato a motivare in ordine al mancato
accoglimento di istanze che appaiano improponibili per la loro genericità (sez. 2, n. 49007 del
16/9/2014 rv. 261423), sicché non vi era alcun obbligo di motivare in ordine ad una
contestazione così generica quale quella che, senza alcuno specifico riferimento a singole voci
tariffarie, si limitava a definire nell’atto di appello, “abnorme in quanto ingiustificata dai regimi
tariffari in vigore” la liquidazione delle spese effettuata dal giudice di prime cure.
Analogamente, è inammissibile anche la censura inerente la quantificazione della
provvisionale, in quanto si tratta di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e
non necessariamente motivata (sez. 3 n. 18663 del 27/1/2015, rv. 263486).
5. Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese del grado
sostenute dalla parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
alla rifusione in favore della parte civile Wieser Thomas delle spese sostenute nel presente
grado di giudizio, che liquida in euro quattromila, oltre spese forfettarie nella misura del 15%,
C.P.A. e I.V.A.

Così deciso nella camera di consiglio del 7 gennaio 2016
Il Consigliere estensore

Il Presidente

sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e

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