Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13880 del 05/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 13880 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Davide D’Altri, nato a Forlimpopoli il 06/08/1966
2. Enrico Ghetti, nato a Ravenna il 27/05/1961
avverso la sentenza del 07/02/2013 della Corte d’appello di Bologna
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Vito
D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto del ricorso di D’Altri e l’inammissibilità
del ricorso Ghetti;
udito l’avv. Francesco Farolfi per D’Altri, che si è riportato al ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 07/02/2013 la Corte d’appello di Bologna ha
rideterminato la pena inflitta a Davide D’Altri e Enrico Ghetti con la pronuncia di
condanna emessa dal Tribunale di Ravenna il 14/10/2012, riguardanti l’acquisto
ad uso non personale di sostanza stupefacente.
2.1. La difesa dell’imputato D’Altri nel suo ricorso deduce violazione di
legge processuale, con riferimento alla ritenuta acquisibilità, ai sensi dell’art. 512
cod. proc. pen, delle dichiarazioni rese dal teste deceduto nel corso del giudizio,
evento rispetto al quale, sulla base sia dell’età avanzata, che dello stato di
malattia, la difesa aveva ritenuto prevedibile la non ripetibilità dell’atto, e
censurato la mancata assunzione della testimonianza in forme idonee a garantire
il contraddittorio. Su tali deduzioni la Corte di Bologna ha fornito risposte che si
valutano generiche.

Data Udienza: 05/03/2014

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 513 cod. proc.
pen. per l’intervenuta acquisizione delle medesime dichiarazioni accusatorie, da
persona che rivestiva la qualità di imputato di reato connesso; si sottolinea
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni sotto tale profilo, in quanto non precedute
dagli ammonimenti prescritti dalla legge, a garanzia della difesa del dichiarante,
mentre non risulta richiesto il consenso della difesa dell’odierno ricorrente per
l’acquisizione disposta. Si deduce che, anche in questo caso, il dato della

sopravvenuta irripetibilità andrebbe valutato con riferimento al tempo del
processo, il cui decorso rende sempre più facilmente verificabili situazioni di
impossibilità di ripetizione.
2.3. Richiamate le condizioni di fatto che avevano impedito l’assunzione
delle dichiarazioni di Padovani nel contraddittorio, si ritiene di poter in esse
individuare la volontà dell’interessato di sottrarsi al confronto, con conseguente
violazione dell’art. 526 comma 1 bis cod. proc. pen. nell’utilizzazione delle
affermazioni da questi formulate al di fuori del contraddittorio, risultando
rilevante, per valutare la scelta dell’interessato di sottrarsi al processo,
esclusivamente l’esame dell’effettiva condotta tenuta, che nella specie si era
espressa con la determinazione di farsi giudicare in contumacia nel
procedimento.
2.4. Sulla base dei medesimi elementi si deduce violazione dell’art. 111
Cost. nella parte in cui la sentenza impugnata ha valutato l’irripetibilità del
mezzo istruttorio, per effetto della morte sopraggiunta.
2.5.

Con ulteriore motivo si rileva violazione di legge, quanto

all’applicazione delle regole di valutazione della prova stabiliti dal’art 192 cod.
proc. pen., nella parte in cui la sentenza impugnata individua i pretesi riscontri
alle dichiarazioni dell’accusatore in elementi di fatto generici, o smentiti dalle
stesse affermazioni che dovrebbero riscontrare, come avvenuto, per l’individuata
intermediazione di un terzo nella consegna della droga, ritenuta non indefettibile
sulla base di considerazioni della Corte, la cui correttezza è smentita dal tenore
delle affermazioni rese dal teste sul punto.
2.6. Sui medesimi elementi si deduce la presenza di contraddittorietà
della motivazione.
3. Nell’interesse di Enrico Ghetti la difesa deduce con un primo motivo
mancanza ed illogicità della motivazione. Premesso il dato storico desumibile
dalla sentenza, che riteneva di aver individuato nel ricorrente una delle persone
di cui si avvalevano tali Donati e Morsiani per garantire la diffusione dello
stupefacente, si assume che tale identificazione si avvenuta esclusivamente in
base al nome di battesimo citato dai due venditori nelle loro conversazioni
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telefoniche, ritenuto rapportabile all’interessato solo perché questi era risultato
in contatto con un terzo referente dei due venditori. Tale analisi era stata svolta
senza considerare l’effettivo contenuto del citato colloquio, circostanza che
evidenziava la natura generica del riscontro.
Si rileva inoltre che, sulla base di servizio di osservazione, era stato
sorpreso l’interessato in contatto con Donati ed il terzo intermediario, ed in
proposito si avanzano dubbi sull’effettività del riconoscimento, perché effettuato

di notte, all’interno di un automezzo, circostanza che aumentava la possibilità di
errore, anche involontario, per superare la quale la Corte aveva svolto
osservazione illogiche. Inoltre, nel corso di tale osservazione, non era stato
notato alcuno specifico comportamento riconducibile al Ghezzi, a cui, a tutto
concedere, poteva attribuirsi in quel contesto una condotta di connivenza.
3.2. Si rileva inoltre violazione di legge con riferimento all’applicazione
dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, fondata sulla presenza di
pluralità di cessioni, da sola non indicativa di quantitativi elevati, e con
riferimento ad un quantitativo di 90 gr di sostanza stupefacente, che non risulta
mai movimentato dal diretto interessato, nè essere stato sottoposto ad analisi.
3.3. Analoghi vizi vengono evidenziati quanto all’argomentazione posta a
sostegno della decisione di non concedere le attenuanti generiche, e di
quantificazione dell’aumento per la continuazione, in quanto la Corte territoriale,
dopo aver ammesso la necessità di contenere la pena per la doverosa
considerazione dello stato di tossicodipendenza dell’interessato, si era poi
limitata a determinarla nella nuova misura minima prevista a seguito della
novella normativa del 2006, senza operare una riduzione per effetto delle
riconosciute circostanze soggettive.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto nell’interesse di D’Altri è infondato, e quello
nell’interesse di Ghetti è inammissibile per genericità.

2.1. Quanto ai rilievi procedurali proposti nell’interesse di D’Altri deve
rilevarsi che costituiscono la riproposizione di quanto già espresso nel corso del
giudizio di merito, con eccezioni respinte sulla base di rilievi in fatto, in ordine
alle modalità di escussione, tempi del procedimento, ed effettiva citazione per
l’assunzione della prova dell’interessato, che non vengono contestati nel loro
svolgimento, ma semplicemente ignorati.
In particolare, non risulta contestato che il dichiarante Padovani, il quale
aveva affermato di rifornirsi con regolarità da D’Altri dello stupefacente che
questi acquistava da tale Donati, era coimputato del medesimo procedimento e

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sia deceduto oltre quattro anni dopo l’interrogatorio acquisto nel corso delle
indagini; tale indiscussa circostanza di fatto, esclude che potesse rapportarsi a
quella fase la prevedibilità dell’impossibilità di ripetizione dell’atto, dimostrando
la mancanza di evidenti condizioni oggettive di prevedibilità dell’evento morte in
tempi ravvicinati.
Sul punto si è ripetutamente affermato da parte di questa Corte che l’età
avanzata (Sez. 3, n. 44051 del 10/11/2011 – dep. 28/11/2011, Pijola Lombardo

e altri, Rv. 251615), o la presenza di condizioni di malattia non sono di per sé
sole dimostrative dell’oggettiva impossibilità di ripetizione, risultando del tutto
imprevedibile il decorso degli eventi umani, e nella specie tale valutazione risulta
sorretta da adeguata valutazione della concreta situazione di fatto, ove il
decesso dell’interessato risulta sopraggiunto molti anni dopo l’acquisizione delle
prime dichiarazioni, circostanza che dimostra l’impossibilità, sulla base dei dati in
possesso dell’autorità procedente, di valutarne l’irripetibilità nei tempi ordinari
per disporne l’assunzione in contraddittorio.
Sul punto il giudice di merito risulta aver operato la propria determinazione
in maniera congrua ed adeguata alle circostanze di fatto esposte, che non
risultano contraddette nella loro aderenza al reale dal ricorrente, analisi avente
ad oggetto la prognosi postuma che gli è rimessa, la cui correttezza può essere
valutata in questa sede con esclusivo riferimento allo sviluppo argomentativo
(Sez. 1, n. 45862 del 17/10/2011 – dep. 07/12/2011, P.G., Abbate e altri, Rv.
251581), che nel ricorso non viene contestato, ma ignorato, con la riproposizione
delle medesime allegazioni già esposte nel grado di merito.
2.2. Risulta manifestamente infondata l’eccezione di violazione dell’art. 513
cod. proc. pen. nella parte in cui si contesta l’acquisizione delle dichiarazioni del
coimputato, in assenza di consenso della parte raggiunta dalle accuse, in quanto
la previsione è limitata alla fattispecie di cui al comma 1 della norma indicata,
laddove, per le circostanze di fatto richiamate, nel caso di specie sono state
acquisite le affermazioni svolte per impossibilità di ripetizione dell’atto, ipotesi
contemplata dall’art. 513 comma 2 cod. proc. pen., che non prevede analoghe
forme di limitazione all’utilizzo delle dichiarazioni.
Ad illustrazione del motivo di ricorso la difesa pone la contestazione della
ricorrenza della situazione di irripetibilità dell’atto, per il mancato compimento
delle attività volte ad assicurare la presenza del dichiarante al processo, che
risultano superate in fatto sulla base di quanto qui di seguito specificato.
Analogamente infondata, e ripetitiva del medesimo rilievo formulato in
grado d’appello, risulta l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni di
Padovani, in quanto acquisite in assenza degli ammonimenti di cui all’art. 64 cod.
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proc. pen., poiché è pacifico che la disciplina introdotta dalla I. 21 marzo 2001 n.
63 che prevede tale sanzione processuale sia inapplicabile nella specie, ove il
procedimento alla data di entrata in vigore della disposizione pendeva già in
dibattimento, situazione che escludeva ai sensi del’art. 26 della disposizione
richiamata, la ripetizione dell’atto a cura del P.m. per l’esecuzione degli
adempimenti previsti dalla nuova disciplina (da ultimo per tutte Sez. 2, n. 24211
del 15/05/2013 – dep. 04/06/2013, Pelle, Rv. 255710).

2.3. Ricordata la circostanza che Padovani è stato coimputato nel medesimo
procedimento fino al momento dell’accertamento del suo decesso, la difesa
reitera l’equiparazione tra la scelta da questi svolta di essere giudicato in
contumacia, con la manifestazione di volontà di sottrarsi al contraddittorio, già
superata, con valutazione coerente, dal giudice d’appello.
Nella sentenza impugnata risulta precisato in fatto che l’interessato è stato
citato per rendere le sue dichiarazioni per un’unica udienza, ed in occasione di
tale citazione si accertò la morte del dichiarante. Il dato storico, riguardante la
mancanza di precedenti citazioni, cui l’interessato si sarebbe sottratto, non è
contraddetto nel ricorso, ove si richiamano genericamente pretese richieste di
traduzione dell’interessato nel processo nella sua qualità di imputato, le cui
modalità di sviluppo temporale, anche in correlazione con la morte sopraggiunta,
non è dato cogliere.
Il mancato accertamento delle condizioni di fatto richiamate denota
l’impossibilità di ritenere dimostrata nel concreto la volontà di sottrarsi al
contraddittorio da parte del coimputato, poiché la scelta processuale di non
comparire, in mancanza di una citazione per rendere l’esame, che si ricorda
essere intervenuta esclusivamente nell’occasione che condusse, a seguito della
citazione, alla verificazione del decesso, può rapportarsi esclusivamente a
valutazione difensive personali, in conformità a quanto correttamente ritenuto in
argomento nella sentenza impugnata, soprattutto ove si consideri che in
occasione di tali mancate comparizioni ben poteva sfuggire all’interessato la
necessità di rendere le dichiarazioni sull’altrui posizione, adempimento non
evocato nella convocazione.
Né a tal fine risulta pertinente il richiamo operato dal ricorrente al dettato di
questa Corte, nella sua più autorevole espressione, contenuto nella sentenza
delle Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010 – dep. 14/07/2011, D. F., Rv. 250198,
poiché il riferimento alla sufficienza della prova della volontarietà dell’assenza in
essa contenuto è rapportato alla posizione processuale del teste, laddove nella
specie, si vuole conferire significato di volontà di sottrarsi al confronto ad una
condotta -scelta di farsi giudicare in contumacia- che ha un significato
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autonomo, pienamente riconosciuto nel nostro ordinamento, e rapportabile in via
prioritaria alla condizione di imputato rivestita dall’interessato, che solo con la
citazione per rendere l’esame poteva assumere, in difetto di comparizione, un
significato riconducibile a quello richiamato nella disposizione invocata. È bene
rimarcare che la decisione citata prevede espressamente l’impossibilità di
un’equazione tra assenza del teste e sua volontà di rendere le dichiarazioni ove
“vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione” in

proposito, rafforzando la necessità di verificare nel caso concreto la presenza di
situazioni di fatto cui conferire un significato univoco al comportamento omissivo
tenuto.
Nel caso di specie non è possibile, per definizione, operare tale
equiparazione, poiché la contestuale presenza del diritto di difesa del dichiarante
esclude la possibilità di attribuire senso univoco alla scelta, svolta in epoca
precedente alla citazione per l’audizione, di rimanere contumace.
2.3.

L’accertamento in fatto richiamato, riguardante l’impossibilità di

ripetizione delle dichiarazioni, rende evidente l’infondatezza dell’eccezione di
violazione del principio del contraddittorio costituzionalmente previsto, poiché
non risulta dimostrata, per le situazioni di fatto esposte, la volontà
dell’interessato di sottrarsi al contraddittorio, mentre è emersa la condizione di
fatto dell’oggettiva impossibilità di ripetizione, che giustifica l’eccezione di cui
all’art. 111 comma 5 Cost.
2.4. Del tutto generiche e di merito risultano le eccezioni svolte quanto alla
valutazione di specifici riscontri alle accuse di Padovani, che, in forza della
sentenza, risultano tratti da plurimi elementi, quali la specifica conoscenza degli
autori dell’illecito traffico, identificati con dovizia di elementi attinenti ai
nominativi, al possesso di determinate autovetture, all’indicazioni dei luoghi di
incontro e delle abitazioni, confermati dalla presenza di contatti telefonici dal
contenuto indefinito che rimandava alla pregressa presenza di accordi, neppure
evocabili telefonicamente, e non esclusi dalla dimostrazione della presenza di
ulteriori fonti di approvvigionamento da parte del D’Altri. Sotto quest’ultimo
profilo la difesa fonda il suo rilievo di incoerenza dei riscontri genericamente
evocando l’incompatibilità di tale dato, emergente dai controlli, con quanto
riferito da Padovani, omettendo l’allegazione al ricorso o l’indicazione specifica
delle affermazioni di segno contrario rese dal dichiarante, incompatibili con tale
ricostruzione, così svolgendo un rilievo del tutto privo di specificità, con motivo
che non si sottrae alla contestazione di assenza di autosufficienza.
2.5. Quest’ultima deduzione in rito, attinente alla mancata allegazione
concreta delle dichiarazioni rese da Padovani, che si assumono
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irragionevolmente contrastate dalle valutazioni della prova svolte dal giudicante,
priva di sostegno l’ulteriore motivo di ricorso riguardante la contraddittorietà
della motivazione, dimostrandone l’inammissibilità.
3.1. Il ricorso proposto nell’interesse di Ghezzi è inammissibile, poiché in
esso vengono riproposte le medesime osservazioni di merito già respinte con
argomentazione completa e coerente nella sentenza impugnata.

dall’impossibilità di ricondurre l’Enrico, risultato in contatto con i cedenti la
sostanza stupefacente, all’odierno ricorrente, e di dedurre dalle condotte
esaminate la compartecipazione di tale persona nell’illecito.
Sotto entrambi i profili la Corte di merito risulta aver adeguatamente
motivato l’esclusione di qualsiasi incertezza, richiamando, quanto
all’identificazione operata, la constatata correlazione del nominativo con
l’effettiva presenza del ricorrente, riconosciuto dagli agenti nell’occasione di un
incontro che precedette un controllo di p.g. In particolare, nel contestare il
merito del riconoscimento operato dagli agenti, oltre a formulare generiche
contestazioni di fatto, nel ricorso si ignora il rilevante dato di conferma della
correttezza di tale riconoscimento, desumibile dalle telefonate successive, nelle
quali i correi, parlando del rischio subito a seguito dell’intervento degli agenti,
riferiscono proprio ad Enrico tale scampato pericolo, così confermando che la
persona che si accompagnava al Ciani, notata dai verbalizzanti, si chiamava
esattamente come quella da questi riconosciuta.
La presenza del Ghetti risulta correlata al trattamento della droga svolto
nella specifica occasione richiamata, situazione nella quale proprio il riferimento
alla sua persona ne esclude la presenza occasionale, astrattamente riconducibile
alla figura della connivenza.
Sul punto il ricorso, nulla osservando in senso opposto, si limita a riproporre
i rilievi contenuti in atto di appello senza segnalare specifiche contraddizioni nella
valutazione, o omissioni che incidano sulla completezza e congruità della
decisione impugnata.
3.2. Analoga genericità raggiunge la contestazione riguardante l’applicabilità
del comma 5 della disposizione incriminatrice, poiché, se è vero che plurimi sono
gli indicatori della minima entità del fatto, è del tutto pacifico che sia sufficiente
l’individuazione di un unico elemento negativo tra quelli richiamati dalla
disposizione per escludere tale inquadramento giuridico (da ultimo in senso
conforme Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013 – dep. 26/09/2013, Tayb, Rv.
256610). Sul punto, dovendosi svolgere un esame del fatto concreto, in questa
sede può solo valutarsi la completezza e logicità della motivazione, che nella
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In particolare, la contestazione muove in una duplice direzione, costituita

specie che deve valutata positivamente, nella parte in cui considera non solo i
quantitativi trattati nelle specifiche situazioni -pari rispettivamente a 90 e 500
gr- ma anche la distanza temporale ravvicinata nelle quali le cessioni risultano
realizzate, elemento da cui viene tratto un giudizio di non rapportabilità della
condotta all’ipotesi minore, in linea con le ricostruzioni interpretative seguite
costantemente da questa Corte.
Per di più la contestazione sul punto risulta generica, nella parte in cui

lamenta la sottovalutazione degli ulteriori indicatori richiamati nella disposizione
di cui all’art. 73 comma 5 I.cit., ma ne omette la concreta individuazione nella
fattispecie.
3.3. Analogamente risulta congrua la motivazione del giudice di secondo
grado sulla determinazione della pena e la decisione di escludere il sollecitato
riconoscimento di applicazione delle attenuanti generiche; la riduzione della
sanzione riconosciuta in secondo grado, per effetto della rimodulazione della
pena minima determinata a seguito della legge di conversione 21 febbraio 2006
n. 49 del d. I. 30 dicembre 2005 n. 272, risulta essere stata rapportata al nuovo
minimo, pur non essendo tale quantificazione obbligata in ragione del
mutamento normativo, in considerazione dei plurimi elementi di fatto valutati
comparativamente, che hanno indotto a non concedere le attenuanti generiche,
per la contestuale presenza di precedenti specifici non modesti,
comparativamente valutati con le condizioni personali dell’interessato, con
argomentazione che appare completa e congrua, ed immune dai vizi logici
evidenziati in ricorso.
In particolare, non contrasta con la valutazione richiamata la conferma della
determinazione nella misura di mesi sei dell’aumento per la continuazione, già
formulata in primo grado, quantificazione di cui, per la sua ridotta entità, non
emerge nelle sentenze di merito alcuna diretta correlazione con il minimo
edittale previsto per la fattispecie, ma che risulta effetto di analisi della specifica
gravità dell’azione valutata, commessa in continuazione.
3.4. All’accertamento di inammissibilità del ricorso consegue la condanna di
Ghezzi al pagamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa
delle ammende, oltre che al pagamento delle spese processuali, queste ultime
dovute anche dal D’Altri, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del D’Altri e dichiara inammissibile il ricorso del Ghetti, che
condanna al pagamento della somma di C 1.000 in favore della Cassa delle
ammende.
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Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 05/03/2013.

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