Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13859 del 05/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13859 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.M. presso il Tribunale di Chieti
nel proc. c/o
Caporale Franco, nato a Perano 1’8.4.37
indagato art. 256 D.Lgs. 152/06

avverso la ordinanza del Tribunale per il Riesame di Chieti del 2.7.13

Sentita, in udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M. nella persona del P.G. dr. Vito D’Ambrosio, che ha chiesto l’annullamento
con rinvio del provvedimento impugnato ;
Sentito il difensore della società avv. Ersilia Caporale, che ha insistito per il rigetto del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Il provvedimento oggetto di
gravame è quello con cui il Tribunale per il Riesame ha annullato il decreto di sequestro
preventivo per equivalente, fino alla concorrenza della somma di 800.000 C, che era stato

Data Udienza: 05/02/2014

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il P.M. procedente ha proposto ricorso
deducendo: violazione di legge per non avere il Tribunale integrato e modificato la motivazione
del decreto di sequestro e violazione di legge per travisamento del fatto.
Detto in estrema sintesi, il ragionamento del ricorrente muove dal rilievo che il
Tribunale per il Riesame, pur ribadendo la sussistenza del fumus commissi delicti, ha escluso la
ricorrenza dei presupposti per la misura cautelare di cui si discute in quanto essa non aveva ad
oggetto il profitto del reato, bensì, la somma preventivata per la bonifica dell’area.
Dopo un riepilogo delle vicende giudiziarie, richiamati i principi giurisprudenziali a
proposito della nozione di “profitto” confiscabile, il ricorrente evidenzia che è ormai acquisto
(SU. 3.7.96, Chabni, n. 9149; S.U. 24.5.04, Focarelli, n. 29951; S.U. 26654/08, Rv. 239924; S.U. 38691/09, Rv. 244189, Caruso) il
concetto che il profitto del reato deve essere identificato con “il vantaggio economico ricavato
in via immediata e diretta” e che “presuppone l’accertamento della sua diretta derivazione
causale dalla condotta dell’agente”. Si ricorda, quindi, che è stata anche affermata la
legittimità della confisca per equivalente di beni di valore corrispondente all’imposta evasa (n.
40828/05) e che – con specifico riferimento all’illecito traffico di rifiuti – il profitto ingiusto non
deve assumere necessariamente carattere patrimoniale, potendo essere costituito anche da
vantaggi di altra natura (nell’occasione la Corte aveva configurato il reato in un caso in cui risultava
realizzato un risparmio nei costi di produzione ed un rafforzamento nella posizione apicale all’interno
dell’azienda da parte degli imputati, individuando in ciò un conseguente vantaggio personale immediato e
futuro). Il tutto, in linea con l’opinione che la finalità sanzionatoria si realizza attraverso

l’eliminazione dell’ingiustificato arricchimento derivante dalla commissione del reato.
Tutto ciò precisato, il ricorrente si dichiara d’accordo con il Tribunale quando afferma
che il sequestro sarebbe stato illegittimo se, effettivamente – come esso Tribunale afferma — la
somma sottoposta a vincolo avesse rappresentato l’equivalente dell’importo necessario alla
bonifica e non il profitto.
Il punto è – si obietta – che il sequestro era stato disposto dal G.i.p. sulla base di ben
altre ragioni, e cioè, individuando il profitto nel “risparmio nel costo non sostenuto dalla società
per il legittimo e doveroso smaltimento dei rifiuti”.
Tale valore era stato individuato dal P.M. – che lo aveva illustrato nella propria richiesta
di sequestro – attraverso l’ottenimento, da parte della Polizia provinciale di un «preventivo per
lo smaltimento di scorie saline stabilimento ex Sudeco… fatto pervenire dalla ditta Cericola
S.r.l. di Lanciano» sì da avere, in tal modo, quantificato il profitto sulla base di quel preventivo
nei seguenti termini: 2.800 C per operazioni preliminari; 7.400 C per rimozione e stoccaggio
terreno contaminato; 1600 C per campionamento ed analisi; 518.800 per smaltimento rifiuti.
Evidenziato che le voci suddette riguardano le complessive operazioni di smaltimento e
non quelle di bonifica il ricorrente sottolinea che il G.i.p. aveva concesso il sequestro per
equivalente proprio sulla base del predetto preventivo facendo, nel proprio provvedimento,
espresso riferimento, nella quantificazione dell’importo, al “risparmio delle spese connesse al
regolare smaltimento dei rifiuti”.
Di conseguenza, il Tribunale – quand’anche il concetto non fosse stato chiaro – aveva
tutti gli elementi per confermare il sequestro in relazione alla somma indicata da considerare
“profitto” e non “costo di bonifica”; ciò, in quanto è pacifico che il Tribunale per il Riesame può
confermare, modificare o annullare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da
quelle in esso contenute.
Diversamente, il provvedimento impugnato deve considerarsi viziato da travisamento
del fatto perché il preventivo della ditta Cericola è chiaramente riferito al costo da sostenere
per il solo smaltimento, non anche per la bonifica dell’area.

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disposto sui beni immobili della S.r.l. Duca degli Abruzzi, di cui l’indagato, ricorrente, Caporale,
è legale rappresentante.
La ditta è responsabile, in via amministrativa, ex art. 25 undecies d.lgs 231/01 di
un’area, di circa 800 mq, sita in Atessa ove, secondo l’accusa, è stata realizzata una discarica
non autorizzata. Ed infatti, la contestazione mossa a ricorrente è di aver violato l’art. 256
comma 1 lett. b) d.lgs 152/06 perché, nella suddetta area, è stata depositata in maniera
incontrollata una gran quantità di rifiuti, pericolosi e non, interrati in gran parte e la cui
presenza è stata accertata dall’ARTA di Chieti, in base alle indagini, dalla verifica del
superamento della soglia di contaminazione in acque sotterranee.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.
Con memoria depositata il 29.1.14, il ricorrente, replicando al ricorso del P.M., ne
a) una declaratoria di inammissibilità sul rilievo che egli era stato acquiescente rispetto
alla pregressa ordinanza del tribunale del riesame che aveva annullato il decreto precedente
tanto che, proprio alla luce di quel provvedimento, egli aveva richiesto un nuovo preventivo
per quantificare il profitto derivante dallo smaltimento dei rifiuti e non connesso con i costi
della bonifica.
Di conseguenza, si deve ritenere la carenza di interesse;
b) una declaratoria di inammissibilità perché il P.M. ha impugnato due ordinanze con lo
stesso atto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
La questione che il P.M. ricorrente ha portato all’attenzione di questa S.C. con pluralità
di argomenti può essere semplificata avendo presente che è aspetto non controverso la
sussistenza del fumus commissi delicti. In altri termini, esistono elementi indiziari per
sostenere che la ditta facente capo all’odierno ricorrente abbia posto in essere una discarica
non autorizzata.
I problemi si pongono sul piano cautelare.
Il Tribunale ha negato la legittimità del sequestro preventivo disposto dal G.i.p.
osservando che, mentre la cautela di impedire l’aggravamento delle conseguenze del reato è
conseguita dal sequestro preventivo dell’area, quella conseguibile con il sequestro per
equivalente dei beni immobili della Duca degli Abruzzi S.r.l. non può essere avallata nella
specie in quanto riguarda una somma che corrisponde al costo preventivato per la bonifica e
non a quello che avrebbe dovuto essere affrontato per il legittimo smaltimento. Si afferma,
infatti, che – come risulta dal preventivo predisposto dalla ditta Angelo Antonio S.r.l. – le
«spese necessarie per la bonifica del sito» sono state determinate in 531.448,94 € (somma, per
l’appunto sottoposta a sequestro) visto che il provvedimento ablativo del G.i.p. riguardava il
sequestro preventivo dei beni immobili nella disponibilità della società Duca degli Abruzzi S.r.l.,
fino alla concorrenza di 800 €, «a garanzia delle spese preventivate per la bonifica».
Da quanto premesso – che, in sostanza, costituisce la motivazione del provvedimento impugnato nella
sua quasi integralità — avendo presenti le opposte ragioni del P.M. ricorrente sopra illustrate,
appare alquanto evidente il travisamento (tradottosi, come si vedrà, in errore di diritto) nel quale è
incorso il Tribunale per il Riesame.
Una cosa, infatti, è l’obiettivo cui la misura cautelare invocata tendeva (vale a dire,
altra
garantire la sussistenza dei mezzi per la bonifica dell’area, onde non aggravare le conseguenze del reato)
cosa è la natura della somma di cui è stato disposto il sequestro per equivalente.
Come bene ricorda il ricorrente – v. sopra – la giurisprudenza di questa S.C. si è già
espressa con chiarezza nell’affermare che il “profitto” che può essere oggetto del c.d.
sequestro per equivalente è un vantaggio direttamente derivante dall’azione dell’agente e che
non deve neppure, necessariamente, avere natura patrimoniale.
Nella specie, però, non vi è dubbio che il Caporale, non avendo affrontato le spese per
un corretto smaltimento dei rifiuti, ha conseguito un profitto, per l’impresa da lui gestita, pari
all’ammontare dei costi non sostenuti, somma che non coincide affatto con le ulteriori spese
che dovrà affrontare per la bonifica successiva dell’area.
Il Tribunale fa riferimento al preventivo della ditta Angelo Antonio S.r.l.. Anche se, a
detta dello stesso ricorrente ( v. nota 18 a f. 9 del ricorso) pare che, nell’indicazione di tale nominativo,
i giudici di merito siano stati indotti in errore dall’errata indicazione del G.i.p. (in quanto, al
contrario il preventivo è stato commissionato dal P.M. alla Polizia Provinciale), sta di fatto che l’errata
attribuzione (ad una ditta piuttosto che ad un’altra) del preventivo non ne muta i contenuti e rassicura
del fatto che il preventivo di cui parla il P.M., e quello del Tribunale, sono il medesimo.
Ne consegue che, dal momento che tale documento, posto alla base del provvedimento
impugnato, era certamente a conoscenza del Tribunale per il Riesame, non avrebbe potuto
3

chiede:

equivocare tra le somme preventivate per la bonifica e quelle che avrebbero dovuto essere spese – e, di fatto, lucrate
– per effettuare un corretto smaltimento dei rifiuti) conclude il proprio ragionamento osservando che «il

reato di omessa bonifica, sanzionato ex art. 257 d.lgs 152/06, presuppone in via preliminare,
l’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento».
Affermazione, quest’ultima, del tutto inconferente con il caso in esame e le
contestazioni ivi mosse.
Si impone, quindi, un annullamento del provvedimento impugnato con rinvio degli atti
al Tribunale di Chieti perché rivaluti il caso alla luce dei rilievi fin qui mossi.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti.

Così deciso il 5 febbraio 2014
Il Presidente

sfuggire che la voce principale di detto preventivo
(pari a 504.000 C) era denominata
“smaltimento rifiuti” (che è cosa chiaramente diversa dalla bonifica).
Ditalché, ha ragione il ricorrente quando osserva che, a tutto concedere, gli elementi sui
quali si basava il provvedimento impugnato erano tali che rientrava nei poteri del Tribunale per
il Riesame, ex art. 309, comma 9 c.p.p., confermare il sequestro anche sulla base di ragioni
diverse da quelle indicate dal G.i.p..
L’errore di diritto nel quale è incorso il Tribunale appare ancora più evidente riflettendo
sul fatto che il Caporale è accusato: a) della violazione dell’art. 256, comma
lett. 111 d.lgs
152/06 perché, detto in estrema sintesi, quale amministratore della Duca degli Abruzzi S.r.l.
abbandonava in modo incontrollato, su un’area di mq. 800 e li immetteva nella acque
sotterranee contaminandole, rifiuti di varia natura, sia speciale e pericolosa che non pericolosa
(meglio precisati in rubrica); b) della violazione dell’art. 256, comma 2, secondo periodo, d.lgs
152/06, per avere realizzato una discarica abusiva.
A fronte di tale chiara contestazione il confuso argomentare del Tribunale (oltre ad

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