Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13836 del 11/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 13836 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TAVECCHIO ALBERTO N. IL 02/06/1962
TAVECCHIO GIULIANO N. IL 13/04/1967
avverso la sentenza n. 4213/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
25/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 9′ iahr222».
V:3-e,6
che ha concluso perua Q c
rQ
Gt.2 el.4.0Z‘ oce
‘jA,9& eLk,’
cato
vu.k.
oLke
35,1

9,

à

.>•-*–t1/4A-t-A-0-

\,<-,• -2~ , fruo A=>)

Udito, per la parte civile, l ‘Avv
Uditi difensor Avv. k, Porwa.A,0
Avv.3 cook

VQ

ci–

Data Udienza: 11/12/2013

Propongono ricorso per cassazione, Tavecchio Alberto e Tavecchio Giuliano, avverso la
sentenza della Corte d’appello di Milano, in data 25 giugno 2012, con la quale è stata
parzialmente riformata quella di primo grado (pronunciata nel 2007) e, per quanto qui di
interesse, questa è stata confermata limitatamente all’affermazione di responsabilità per il
reato di furto pluriaggravato in concorso, contestato al capo A).
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili di essersi impossessati , a fine di profitto, di una
serie di documenti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari relativo ad un procedimento
penale iscritto, a loro carico, dalla Procura della Repubblica di Como.
Si trattava di un procedimento avviato in relazione alla contestazione di parziale contraffazione
di una memoria di replica, datata 26 settembre 2001, a firma dell’avvocato Luigi Vismara e
concernente una controversia civile nella quale gli imputati erano stati parti.
Ebbene, costituiva l’oggetto della contestazione sub A), nel presente procedimento, proprio
la illecita sottrazione di tale documento, presente, nel fascicolo citato, in copia conforme
(sottrazione che si assume avvenuta nella cancelleria dibattimentale, in vista dell’udienza del
27 ottobre 2003, fissata dinanzi al Tribunale di Como- sez. dist. di Erba-) nonché dell’originale
della corrispondenza con cui era stata richiesta la predetta copia conforme, dalla Procura della
Repubblica procedente, al Tribunale di Erba,
Invero, gli imputati erano stati ritenuti, all’esito del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale
di Como, responsabili anche del furto di altri documenti prodotti dalla parte civile, Vismara
Luigi, nel procedimento penale dinanzi al Tribunale di Erba del quale si è detto (in particolare,
dei fax che gli imputati avevano inviato all’avvocato Vismara il 7 settembre 2001): documenti
lasciati in visione degli imputati e del loro difensore, durante una pausa della udienza sopra
citata, e non più rinvenuti all’esito della stessa.
In relazione a tale ipotesi, contestata al capo C), la Corte d’appello ha, però, riformato la
sentenza, ritenendo non sufficiente la sola prova logica, costituita dal rilievo dell’interesse degli
imputati alla sottrazione degli atti. Ha pronunciato, perciò, assoluzione per tale capo.
Oltre a ciò, la Corte d’appello ha dichiarato prescritto il reato di cui al capo D) ossia quello,
continuato, di falso per soppressione (articolo 490 c.p.) dei documenti descritti ai capi A) e C).
Quanto al reato di cui al capo B) originariamente contestato(sostituzione di persona ex art.
494 cp), già il Tribunale lo aveva ritenuto assorbito nella aggravante della ipotesi di reato
contestato al capo A).
La vicenda è stata ricostruita, nelle sentenze di merito, come relativa agli sviluppi di una causa
possessoria, nella quale gli imputati erano parti, dinanzi al giudice civile di Erba.
Essi erano, poi, stati tratti a giudizio penale, dinanzi al Tribunale penale della stessa città, per
rispondere dell’accusa di avere falsificato la memoria conclusionale di replica redatta dal loro
difensore nella causa civile e la firma del medesimo avvocato, apposta per presa visione in
calce a un provvedimento del Presidente del Tribunale di Como, in data 3 agosto 2001.
Ma proprio la suddetta memoria di replica, che, dunque, costituiva il corpo del reato nel
procedimento penale dinanzi al Tribunale di Erba- non era stata più trovata nel fascicolo del
procedente Pubblico ministero di Como e si era,quindi, proceduto a carico degli imputati, per il
relativo reato di furto – oggetto del processo in esame- in quanto era stato accertato, tra
l’altro, che gli stessi avevano consultato il fascicolo processuale presso la segreteria del
pubblico ministero, presentandosi falsamente come i propri stessi difensori ed erano, altresì, i
soli interessati alla sparizione del documento.
1

Fatto e diritto

Gli imputati sono stati ritenuti anche responsabili della distruzione del predetto documento, pur
essendo, tale reato, poi dichiarato prescritto dalla Corte territoriale.

Il reato contenuto in tale capo concerneva la presunta soppressione sia dei documenti
che si assumevano sottratti secondo l’imputazione sub A), sia dei documenti oggetto di
analoga condotta descritta al capo C).
Tuttavia, posto che per tale ultimo reato era intervenuta assoluzione, ad analoga
conclusione si sarebbe dovuti giungere in relazione alla parte della imputazione cui al
capo D), che aveva, quale presupposto di fatto, l’accertamento del furto di cui al capo
C). Escluso quest’ultimo, in altri termini, non poteva dichiararsi la prescrizione per il
fatto di reato conseguente , ma si sarebbe dovuta pronunciare la assoluzione.
In secondo luogo, a pagina 14 dei motivi di ricorso, segnalano anche che, comunque, il
reato di falso per soppressione non sarebbe configurabile dal momento che, nel capo di
imputazione, è stato formulato con riferimento non già ad un originale ma ad una
semplice copia di un atto, pacificamente riproducibile come infatti è avvenuto,
addirittura ad opera del pubblico ministero ( v. sent. cass. 13 luglio 1989): una copia di
documento, oltretutto, falsificato, così come si deduce dalla lettura del capo di
imputazione.
2) la inosservanza dell’articolo 624 c.p. in relazione alla contestazione sub A).
La affermazione di responsabilità per il furto dei documenti in questione era
contraddetta dall’accertamento, in atti, che i documenti asseritamente sottratti erano,
in realtà, presenti nel fascicolo anche dopo la data del presunto reato.
Oltre a ciò, la difesa sostiene che il furto dei documenti in esame, proprio perché corpi
di reato, avrebbe dovuto essere qualificato ai sensi dell’articolo 351 c.p.: una norma
ben più adatta al caso di specie, nel quale la prova del dolo specifico mancava del tutto.
Si osserva, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe, con un espediente semantico,
sostenuto il concorso tra i reati di furto (con “distruzione” del documento) e quello di
falso per “soppressione”.
In realtà, il reato di falso per soppressione si sarebbe consumato, istantaneamente,
nella cancelleria presso la quale il documento è stato fatto sparire e non è consentito
ipotizzare, dunque, un’ipotesi separata -e concorrente -di furto finalizzato alla
successiva distruzione.
In conclusione il difensore chiede l’applicazione della giurisprudenza (sentenza n. 7125
del 1980) secondo cui l’accertamento dell’elemento psicologico è quello che consente di
distinguere se si sia in presenza di furto o di falso per occultamento, posto che, soltanto
nel secondo caso, il fine che muove l’agente è quello della eliminazione dell’efficacia
probatoria del documento.
Nel caso di specie, dunque, proprio la finalità dell’agire avrebbe dovuto determinare la
assoluzione dal reato di furto e non certo l’applicazione dell’istituto del concorso fra le
norme.
Il difensore ritiene che nel caso di specie avrebbe dovuto, in realtà, trovare applicazione
la norma dell’articolo 351 cp, non potendosi ipotizzare il più grave trattamento
derivante dalla fattispecie di furto sol perché potrebbe esservi stato uno iato temporale
fra la sottrazione del documento e la sua distruzione.
La menzionata norma è di natura speciale rispetto a quella di furto, contenendo, in più,
l’elemento della particolare custodia del bene.

2

Deducono
1) l’inosservanza dell’articolo 157 c.p.p. ( rectius, c.p.) in relazione al capo D).

Sostiene poi, a pagina 20 dei motivi, che la Corte territoriale avrebbe effettuato una
valutazione del tutto impropria in ordine alle modalità e all’esito della perquisizione
domiciliare, in realtà soltanto negativo: una perquisizione che si dice impedita dalla
bruciatura di documenti compromettenti senza che tale affermazione possa essere in
alcun modo corroborata.
Ma anche dal punto di vista logico, l’accusa di furto non reggerebbe, essendo relativa a
semplici fotocopie di documenti facilmente rimpiazzabili e, per giunta, previa un’asserita
sostituzione di persona (gli imputati si sarebbero spacciati per i propri avvocati)
smentita ancora una volta dalla logica, se si considera che l’accesso agli atti è un diritto
anche della parte e non solo dell’avvocato.
A pagina 23 dei motivi si contesta la logicità della motivazione con la quale è stato
svalutato l’accertamento che le cellule agganciate dei telefoni cellulari degli imputati, il
famoso 25 ottobre, sarebbero diverse da quelle del Tribunale di Como: non si
comprende perché i giudici del merito, più linearmente, non abbiano tratto da tale
accertamento, la conclusione che gli imputati non potevano essere nel luogo di
commissione del reato, alla data di questo.
A pagina 26, la difesa rievoca il risultato, ad essa favorevole, della perizia disposta dal
giudice di primo grado, sulle tracce audio registrate dai computer degli imputati.
A pagina 30 dei motivi la difesa rievoca la deposizione del teste Rinaldi, citata in
sentenza, osservando che da questa si ricaverebbe che la documentazione oggetto del
furto di cui al capo A non è quella della cui acquisizione egli si sarebbe occupato e per la
quale è stato chiamato a deporre come teste: in altri termini, le dichiarazioni del teste
Rinaldi sarebbero state erroneamente citate in sentenza come prove a carico degli
imputati.
A pagina 37 dei motivi, il difensore dei ricorrenti sottopone alla Cassazione la
valutazione di un fax dell’avvocato Vismara in data 14 maggio 2002 che fornirebbe la
prova della insussistenza del furto, atteso che la famosa memoria di replica avrebbe
dovuto essere ricercata nel fascicolo d’ufficio e non nel fascicolo di parte in grado
d’appello.
Sostiene ancora , sulla base di articolate argomentazioni, che dal fascicolo del pubblico
ministero, sarebbe stata sottratta non già la copia della memoria di Vismara ma l’intero
3

Poi il difensore, a pagina 16 dei motivi, sostiene che il predetto sfasamento temporale
non è stato neppure provato, posto che la tesi dell’essere avvenuta, la distruzione del
documento, mediante bruciatura in casa degli imputati, è rimasta priva di
dimostrazione.
3) la prescrizione del fatto sub A), riqualificato ai sensi dell’articolo 351 c.p.
4) il vizio della motivazione in riferimento alla affermata responsabilità per il furto sub A).
Sostiene il difensore che, con memoria difensiva depositata il 7 gennaio 2010 (f.11681169 del fascicolo), l’imputato Giuliano Tavecchio aveva prodotto la copia autentica,
rilasciata il 31 ottobre 2003, della richiesta di documenti presentata , il 7 dicembre
2001, al Tribunale di Erba : ossia proprio della “corrispondenza” che si assume
trafugata il 25 ottobre 2003, secondo la contestazione sub A).
Non avrebbe potuto essere rilasciata, cioè, copia autentica di un documento che si
assume, all’epoca, già trafugato.

73

fascicolo della causa civile, evenienza gravissima ma ignorata dal pubblico ministero
che, del tutto illogicamente, aveva omesso di sequestrare l’originale del corpo di reato.
A pagina 48 dei motivi, rievoca la deposizione della Di Canio per contestare che essa
abbia riconosciuto gli imputati Tavecchio in cancelleria e per sostenere che il fascicolo in
questione è stato visionato per oltre un anno, prima della data del reato in
contestazione, da un numero indeterminato di soggetti.

5) il vizio della motivazione con riferimento alla circostanza aggravante dell’articolo 625
numero due c.p.: una circostanza ritenuta sussistente alla luce di un fatto -l’essersi, gli
imputati, qualificati come avvocati- non solo oggettivamente smentita dalla deposizione
della teste Di Canio ma anche smentita dalla logica, posto che la legge (articolo 76 disp.
att. cpc) consente alle parti di accedere personalmente fascicolo di causa;
6) la violazione dell’articolo 530 comma due c.p. p.;
7) La violazione della norma di rito sulla rinnovazione dibattimentale;
8) la nullità del processo di primo grado dal momento che, all’udienza del 7 gennaio 2010,
gli imputati erano risultati privi di un difensore e, quello nominato dal Tribunale, aveva
diritto al termine difesa sensi dell’articolo 108 comma due c.p. p.: un termine invece
negato sull’erroneo presupposto che, quello nominato, fosse un mero sostituto
processuale ai sensi dell’articolo 97 comma quarto c.p.;
Ulteriore nullità sarebbe derivata dal fatto che l’udienza del 18 gennaio 2010 è stata
celebrata nonostante che gli imputati avessero chiesto il differimento a causa di
impedimento assoluto a comparire, essendo – uno dei due- imputato e -l’altrotestimone in un concomitante processo: un impedimento che, secondo la
giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 14207 del 2009) avrebbe dovuto essere
riconosciuto, a prescindere dalla tempestiva comunicazione.
I ricorsi sono fondati nei termini che si indicheranno.
Prendendo le mosse dall’ottavo motivo, concernente la pretesa nullità degli atti, deve
osservarsi che si tratta della mera riproposizione di identico motivo di ricorso, al quale la Corte
d’appello aveva già dato esaustiva risposta.
I ricorrenti, in particolare, non superano l’obiezione della Corte secondo cui, alla data del 7
gennaio 2010, essi risultavano assistiti, ciascuno, da un difensore di fiducia, nessuno dei quali
era però presente, senza aver addotto un legittimo impedimento.
L’avvocato Policicchio risulta dunque nominata di ufficio, del tutto correttamente, ai sensi
dell’articolo 97 comma quarto cpp e, in relazione a tale nomina di sostituto del titolare, è noto
che la giurisprudenza di legittimità, nella sua assoluta prevalenza, non riconosce il diritto a
concessione di un termine difesa che invece spetta a quello nominato a causa della cessazione
definitiva dall’ufficio del precedente difensore, per rinuncia, revoca, incompatibilità o
abbandono (Sez. 2, Sentenza n. 26298 del 05/06/2007 Ud. (dep. 06/07/2007 ) Rv. 237152;
Conformi: N. 6015 del 1999 Rv. 213381, N. 11870 del 2004 Rv. 230099, N. 5605 del 2007 Rv.
236123). Non è neppure superato il rilievo che il detto difensore di ufficio ha, di fatto,
beneficiato di un termine congruo per preparare la difesa 4fel ha poi assistito gli imputati
all’udienza del 18 gennaio 2010, presentando le proprie conclusioni.
4

Infine, si sostiene la illogicità della motivazione con la quale da un lato è stata decisa la
assoluzione del furto sub C) e, dall’altro, sulla base degli stessi elementi è stata invece
confermata la condanna per furto sub A);

5

Per quanto, poi, concerne il mancato rinvio per impedimento, addotto dagli imputati per
l’udienza del 18 gennaio 2010, va rilevato, ugualmente, il carattere meramente ripetitivo
dell’eccezione, già risolta adeguatamente dalla Corte territoriale.
Ed invero, con l’asseverare la bontà del bilanciamento tra gli impedimenti concomitanti,
operato dal Tribunale, la Corte territoriale si è, in sostanza, allineata alla costante
giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di impedimento a comparire
dell’imputato, la definizione della “assoluta impossibilità di comparire” non può coincidere con
una scelta completamente libera dell’imputato citato, nella stessa data, in due diversi
procedimenti: imputato che, pur legittimamente operando una scelta completamente libera,
potrebbe anche soltanto tutelare interessi opportunistici personali e compromettere il regolare
svolgimento di altri processi ed i diritti che devono essere garantiti ai coimputati (Sez. 4,
Sentenza n. 32924 del 14/05/2004 Ud. (dep. 29/07/2004 ) Rv. 229108).
D’altra parte, è rimessa al giudice la valutazione non solo della gravità e del carattere assoluto
dello stesso, ma anche della sua attualità (Sez. 5, Sentenza n. 43373 del 06/10/2005 Ud.
(dep. 30/11/2005 ) Rv. 233079).
E nella specie, tale valutazione risulta compiuta in modo coerente e rispettoso delle finalità
della previsione normativa.
Il settimo motivo è inammissibile per la assoluta genericità della sua formulazione.
Il quarto motivo ( e il conseguente sesto motivo) è integralmente inammissibile perché
articolato sulla base di considerazioni di fatto e sottoponendo direttamente alla Corte di
cassazione, per una sua autonoma e rinnovata valutazione, gli elementi di prova che
costituiscono materia di esclusiva cognizione ed apprezzamento da parte del giudice del
merito.
Certamente non è compito della Cassazione quello di conoscere singoli atti del processo ovvero
il contenuto di deposizioni testimoniali.
Si dimentica, nel ricorso, di considerare che, come sottolineato anche dalle Sezioni unite della
Cassazione, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente
preclusa la possibilità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a
quella compiuta nei precedenti gradi (Sez. U, Sentenza n. 12 del 31/05/2000 Ud. (dep.
23/06/2000) Rv. 216260).
D’altro canto, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e)
cod. proc. pen., è quella “manifesta”, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”,
in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa
volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U,
Sentenza n. 47289 del 24/09/2003 Ud. (dep. 10/12/2003 ) Rv. 226074).
Infine, con riferimento alla introduzione del vizio del travisamento della prova a seguito della
riforma dell’art. 606 lett. e) ad opera della I. n. 46 del 2006 – vizio peraltro nemmeno
espressamente denunciato- si è affermato che in forza della regola della “autosufficienza” del
ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il
travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto
mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal
testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo
apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 4, Sentenza n. 37982 del 26/06/2008 Ud. (dep.
03/10/2008 ) Rv. 241023; Sez. 1, Sentenza n. 6112 del 22/01/2009 Ud. (dep. 12/02/2009 )
Rv. 243225).
E, nella specie, è indubbio che tale onere sia stato disatteso posto che i documenti così come le
deposizioni ritenuti ingiustamente ignorati o non esattamente valutati, sono citati per brani,
peraltro sparsi in molteplici parti del ricorso, e in maniera tale da non permettere, alla

Fondato è, invece, il primo motivo di ricorso, dovendosi ammettere che il riconoscimento
della insufficienza della prova della riferibilità del furto sub C) agli imputati, ha comportato un
accertamento di merito completo, destinato a riflettersi , escludendola negli stessi termini,
sulla prova del presupposto di fatto del reato di falso per soppressione che, sul primo, fondava
la propria esistenza.
In altri termini, il reato di furto sub C) è stato oggetto di assoluzione per mancanza di una
prova “piena”(così pag. 10).
Ne consegue che la parte della contestazione di falso per soppressione, contenuta nel capo D),
limitatamente ai documenti oggetto della contestazione di furto sub C), meritava di divenire
oggetto di pronuncia proscioglitiva nel merito, con la stessa formula, dovendosi escludere che,
per esso, la sopravvenuta prescrizione abbia impedito il completarsi dell’accertamento di
merito (v. in senso analogo, Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. (dep.
15/09/2009) Rv. 244273).
L’ulteriore profilo del primo motivo di ricorso, tendente al riconoscimento della insussistenza
del fatto-reato, rimane, per la specifica condotta in quistione, assorbito .
Solo in parte fondato è, infine, il secondo motivo di ricorso.
La prima questione posta, relativa cioè alla asserita presenza in atti della prova documentale
che dimostrerebbe la esistenza, nel fascicolo, della copia che si assume trafugata, in data
successiva a quella del contestato furto, non è ricevibile perché la Cassazione non è
certamente il giudice della prova e non può esserle sottoposto, per una autonoma valutazione,
un elemento con presunta attitudine dimostrativa.
La questione, poi, della possibilità di qualificare, il fatto già contestato come furto, secondo,
invece, il paradigma normativo dell’art. 351 cp, non è stata sottoposta al giudice dell’appello.
Essa deve dunque ritenersi inammissibile, secondo il disposto dell’art. 606 comma 3 cpp, che
tale sanzione prevede per le “violazioni di legge non dedotte nei motivi di appello”.
Ma anche a volere considerare i poteri officiosi della Cassazione in tema di riqualificazione
giuridica del fatto, che le parti stesse sembrano sollecitare con lo specifico motivo di ricorso,e
che anche il Procuratore Generale di udienza ha implicitamente evocato, va rilevato che non ne
ricorrono i presupposti di operatività.
L’art. 351 cp, infatti, contiene una clausola di riserva che la rende operativa solo “qualora il
fatto non costituisca più grave delitto” e, nella specie, proprio tale ultima ipotesi ricorre,
essendo stato contestato ed addebitato il delitto di furto pluriaggravato, per il quale è prevista
una pena edittale massima di dieci anni a fronte di quella di cinque anni prevista dall’art. 351
cit.
6

Cassazione, la “visualizzazione” virtuale dell’intera prova asseritamente travisata e la
valutazione della rilevanza della questione posta.
Peraltro, come ancora evidenzia la Corte di legittimità (Sez. 2, Ordinanza n. 19547 del
18/05/2006 Cc. (dep. 07/06/2006 ) Rv. 233772), il prospettato travisamento del fatto in
tanto potrebbe essere oggetto dello scrutinio di legittimità, in quanto il ricorrente deduca e
dimostri di avere rappresentato al giudice del merito gli elementi dai quali avrebbe potuto
rilevarsi il denunciato travisamento, cosicché il giudice di legittimità possa desumere dal testo
del provvedimento, o dalle specifiche, ed a tal fine autosufficienti, indicazioni processuali
offerte dal ricorrente, se e come quegli elementi siano stati valutati.
E anche sotto tale profilo, appare evidente, dalla lettura del ricorso, che le prove per cosi dire
travisate, sono sottoposte direttamente alla Cassazione, senza viceversa indicare se e in quali
modi le stesse questioni, una per una, fossero state sottoposte, con la dovuta specificità, al
giudice dell’appello, tanto da determinare la eventuale carenza della motivazione da quello
resa.

7

Meritevole di considerazione è, piuttosto, la questione della asserita impossibilità, nel caso di
specie, del concorso materiale tra il delitto di furto e quello di falso per soppressione, con
conseguente necessità di rilevare l’assorbimento del primo nel secondo.
Essa risulta risolta, nella sentenza impugnata, in termini non condivisibili.
Il giudice dell’appello ha mostrato, invero, di volersi uniformare alla giurisprudenza di questa
Corte (Sez. 5, Sentenza n. 851 del 12/12/2005 Ud. (dep. 12/01/2006 ) Rv. 233757) secondo
cui, quando la distruzione di un documento viene commessa “dopo” e separatamente rispetto
alla sottrazione dello stesso, è configurabile un concorso materiale di reati, essendo distinte e
diverse le due condotte di furto e falso per soppressione.
Il presupposto di fatto su cui si è sviluppato il ragionamento in diritto, contenuto in sentenza, è
stato, infatti, che, nel caso di specie, le condotte di furto e di falso per soppressione
sarebbero rimaste distinte e separate.
Il motivo di ricorso è stato invece basato sulla denuncia dell’errore consistito nel non avere, i
giudici, tenuto nel debito conto anche la opposta ricostruzione storica della vicenda, pure
emergente in via logico-deduttiva, dalle prove raccolte: e cioè quella dell’essere stata, la
soppressione della memoria e degli altri atti di corrispondenza, contestuale e non distinguibile
dal preteso furto.
Una condotta , quella degli imputati, da considerarsi, cioè, unitaria e quindi tale da ricadere nel
paradigma del reato di furto o, in alternativa, in quello di falso per soppressione, in base
all’esito dell’accertamento sull’atteggiamento psicologico .
Ed infatti, nella motivazione della sentenza n. 851 del 2005, sopra citata, la Cassazione ha \
precisato che del tutto peculiare è il caso della condotta sostanzialmente unitaria: in siffatta
ipotesi, è decisiva l’ indagine sul fine perseguito dall’agente, dimodochè deve escludersi il reato
di furto quando l’unico scopo della azione sia la eliminazione della prova di un diritto.
Ebbene, è indubbio che la sentenza impugnata abbia incentrato il focus dell’accertamento
pienamente accreditato, essenzialmente, oltre che sull’interesse all’asportazione del
documento, riconducibile agli imputati, altresì, quanto agli elementi oggettivi, sul
comportamento del tutto ambiguo che gli stessi avrebbero tenuto, presso la cancelleria del
Tribunale, quando avevano richiesto di consultare il fascicolo processuale nel quale avrebbe
dovuto trovarsi la documentazione, poi non più rinvenuta.
Quella appena descritta viene indicata, dai giudici, come la circostanza in cui sarebbe avvenuto
il trafugamento ed anche l’occultamento dei documenti, descritti tanto nel capo A), quanto nel
capo D).
Viceversa, la attestazione dell’avere, gli imputati, dato alle fiamme del materiale cartaceo, in
occasione della successiva perquisizione subita, è stata effettuata , dai giudici, per segnalare
un possibile indicatore della loro malafede nei confronti degli inquirenti, ma senza potere in
alcun modo sostenere , in termini probatoriamente accettabili, che tale comportamento avesse
avuto ad oggetto proprio i documenti descritti al capo A) come oggetto di furto .
Se, dunque, tale segmento della azione è irrilevante ai fini del ragionamento probatorio dei
giudici a quibus, deve anche rilevarsi che , nella contestualità del comportamento da valutare
ai fini della operatività o dell’art. 624 o dell’art. 490 cp, è fondamentale verificare se, tra gli
accertamenti compiuti in sentenza, ve ne siano di idonei a fare chiarezza sull’elemento
psicologico che lo ha assistito.
Infatti, proprio la giurisprudenza citata dai ricorrenti osserva che quando “vi sia contestualità
cronologica tra sottrazione e distruzione e l’azione sia stata compiuta all’unico scopo di
eliminare la prova del diritto, il concorso non è ipotizzatale e la sottrazione deve essere
considerata come un antefatto non punibile, destinato ad essere assorbito nella condotta
unitaria finalisticamente individuata dallo scopo unico che animava ab initio la volontà e

3

Quanto al quinto motivo, va parimenti rilevato che la questione resta assorbita dalla
decisione assunta.
PQM
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla declaratoria di prescrizione del
reato sub D) relativa ai documenti descritti al capo C), per non avere, gli imputati, commesso il
fatto. Dichiara assorbito il fatto di cui al capo A) nella residua parte del capo D), già dichiarato
prescritto. Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma I’ll dicembre 2013
il Cons. est.
Il
idente

coscienza dell’agente, e che caratterizza la fattispecie criminosa di cui all’art. 490” (v. anche
Cass., sez. 2^, 25 ottobre 1965, Lanoce, Cass., Sez. 6^, 18 maggio 1973, Melacci).
Orbene, tenuto conto della complessiva ricostruzione dei fatti, appare indubbio che i giudici- al
di là delle formule meramente assertive- abbiano ritenuto che i documenti sono stati fatti
sparire, in un unico contesto, proprio ed esclusivamente in ragione della loro funzione
probatoria del reato contestato, trattandosi del “corpo ” dei contestati reati di contraffazione.
Occultandoli, si sarebbe ottenuto, quantomeno, il risultato di interferire sulla corretta
costituzione del fascicolo processuale , mancando la prova fondamentale acquisita dal PM.
Non può dirsi, in altri termini, che abbiano individuato una finalità della azione diversa rispetto
a quella appena indicata e riconducibile alla finalità di profitto, caratterizzante il paradigma del
reato di furto.
Una finalità, quest’ultima, che, per quanto non circoscrivibile alla nozione di vantaggio di
natura patrimoniale, avrebbe dovuto, nel caso di specie, comunque atteggiarsi come vantaggio
non patrimoniale diverso da quello sopra descritto e costituente elemento tipizzante la
fattispecie di falso già ritenuta.
In assenza totale di tale accertamento, la unicità del fine , da individuarsi nella volontà di
eliminare la capacità probatoria del documento sottratto, comporta la affermazione del
necessario assorbimento del furto nel falso, già peraltro dichiarato prescritto.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA