Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13831 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 13831 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Ponzo Antonino, nato a Catania il 08/09/1961
2. Sconzo Giacomo, nato a Reggio Calabria il 29/08/1954
3. Litrico Carlo, nato a Catania il 16/09/1950
4. Pulvirenti Rosalba, nata a Catania il 01/07/1956
5. Di Mauro Salvatore Santo, nato a Catania il 01/09/1946
6. Cucchiara Orazio, nato a Milano il 16/11/1971

avverso la sentenza del 29/11/2011 della Corte di appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Oscar
Cedrangolo, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di Pulvirenti e Litrico
e la declaratoria di inammissibilità per i ricorsi di Ponzo, Sconzo, Di Mauro e
Cucchiara ;
uditi per gli imputati l’avv. Matteo Bonaccorsi, difensore degli imputati Ponzo,
Sconzo, Cucchiara e Di Mauro, e sostituto processuale dell’Avv. Vito Presti

Data Udienza: 05/12/2013

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nell’interesse degli imputati Litrico e Pulvirenti.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 29 ottobre 2004 il Tribunale di Catania ha
condannato alle pene di legge Antonino Ponzo, Giacomo Sconzo, Carlo Litrico,
Rosalba Pulvirenti, Salvatore Santo Di Mauro e Orazio Cucchiara, quali
responsabili del delitto di associazione per delinquere finalizzato alla

fede pubblica; ha inoltre riconosciuto la responsabilità del Cucchiara per il reato
di uso di sigillo contraffatto, in concorso con l’imputato – qui non ricorrente Davide Maniscalco; ha condannato tutti i predetti imputati, ciascuno per la parte
di sua pertinenza, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Unipol
Assicurazioni, S.A.I. e Toro Assicurazioni; ha dichiarato estinti per prescrizione
numerosi altri reati-fine di simulazione di reato, truffa aggravata e falsità in
scrittura privata.
1.1. Su impugnazione degli imputati la Corte d’Appello di Catania, con
sentenza pronunciata il 29 novembre 2011, ha annullato nei confronti di Rosalba
Pulvirenti le statuizioni civili e ha confermato nel resto, per quanto qui
d’interesse, la sentenza di primo grado; ha rilevato peraltro, nella motivazione,
che non spettava alle parti civili la rifusione delle spese di difesa in quanto la
prescrizione dei reati di truffa era maturata già in primo grado, mentre dal reato
associativo non poteva essere derivato alcun danno alle compagnie assicuratrici.
1.2. A motivazione della pronuncia di condanna i giudici di merito hanno
osservato che gli imputati, avvalendosi di una minima, ma adeguata, struttura
organizzativa e con fungibilità dei ruoli, si erano accordati per l’espletamento in
comune di una continuativa attività criminosa secondo il seguente modus
operandi: in taluni casi veniva esportato all’estero un autoveicolo di proprietà di
uno dei compartecipi, munito di documentazione contraffatta, simulando poi il
relativo furto; in altri casi l’esportazione e la falsa denuncia di furto riguardava
un’autovettura presa a noleggio, anch’essa dotata di documentazione
amministrativa falsificata. Nel primo caso il gruppo criminoso si giovava
dell’indennizzo assicurativo, mentre nel secondo caso lucrava il prezzo di vendita
del veicolo.

2. Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione per le ragioni di
seguito esposte.

3. Antonino Ponzo e Santo Salvatore Di Mauro, per il tramite del comune

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commissione di un numero indeterminato di reati contro il patrimonio e contro la

difensore, deducono congiuntamente tre motivi.
3.1. Col primo motivo i ricorrenti denunciano carenza di motivazione in
ordine all’elemento soggettivo del reato associativo. Sostengono che i singoli
episodi di esportazione di autovetture dimostrano, al più, come fra i compartecipi
fosse esistito un accordo meramente occasionale, circoscritto alla realizzazione di
uno o più illeciti determinati.
3.2. Col secondo motivo rilevano che l’ultimo elemento noto e contestato ai
ricorrenti si sarebbe consumato il 2 novembre 1996, per cui il reato dovrebbe

3.3. Col terzo motivo lamentano l’ingiustificato diniego delle attenuanti
generiche.

4. Giacomo Sconzo e Orazio Cucchiara, per il tramite del comune difensore,
affidano a tre motivi il ricorso congiunto.
4.1. Col primo motivo contestano a loro volta la sussistenza
dell’associazione criminosa; a tal fine osservano che, delle numerose condotte
illecite originariamente contestate, tre soltanto sarebbero state commesse in
concorso fra i componenti del sodalizio, mentre le altre si sarebbero compiute ad
opera di uno di essi in concorso con terzi estranei. Sostengono che la
motivazione della sentenza non permette di evidenziare la necessaria – sia pur
minima – struttura organizzativa, la condivisione degli utili e il reinvestimento di
essi per la sopravvivenza dell’associazione.
4.2. Col secondo motivo i ricorrenti contestano la propria partecipazione
all’associazione, osservando che nessuno dei due ha posto in essere alcuna
violazione di legge in concorso con i coimputati del reato associativo.
4.3. Col terzo motivo impugnano il diniego delle attenuanti generiche e la
quantificazione della pena.

5. Il ricorso proposto da Carlo Litrico, per il tramite del difensore, si articola
in nove motivi.
5.1. Col primo di essi il ricorrente rileva che, dovendosi ritenere cessata la
permanenza del reato associativo con l’arresto dei componenti, il dies a quo per
il computo della prescrizione dovrebbe farsi coincidere coi giorni
immediatamente antecedenti l’interrogatorio degli arrestati, avvenuto il 25
novembre 1996.
5.2. Col secondo motivo ripropone l’eccezione di nullità in conseguenza
dell’emissione di due ordinanze di integrazione probatoria emesse dal giudice di
primo grado, in carenza del presupposto della assoluta necessità.
5.3. Col terzo motivo rinnova l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni

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considerarsi prescritto col compimento del quindicesimo anno da tale data.

eteroaccusatorie rese nel processo da coimputati giudicati separatamente, per
omissione dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen..
5.4 Col quarto motivo denuncia violazione dell’art. 375 cod. proc. pen.,
contestando che l’interrogatorio reso davanti al g.i.p., ai fini cautelari, possa
considerarsi atto equipollente tale da sanare la nullità.
5.5. Col quinto motivo deduce carenza di motivazione in ordine alla
sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo.
5.6. Col sesto motivo lamenta l’immotivato rigetto dei motivi di appello coi

prescrizione – dalle imputazioni di simulazione di reato, truffa aggravata e falsità
in scrittura privata, di cui ai capi N), O) e P) dell’imputazione.
5.7. Col settimo motivo impugna la ratio decidendi con la quale la Corte
d’Appello ha giustificato il diniego della derubricazione da truffa aggravata ad
appropriazione indebita.
5.8. Con l’ottavo motivo si duole del diniego delle attenuanti generiche.
5.9. Col nono motivo impugna l’applicazione della misura di sicurezza della
libertà vigilata, per omesso accertamento della pericolosità sociale.

6. Il ricorso di Rosalba Grazia Pulvirenti, presentato personalmente, si
sviluppa in otto motivi, i primi cinque dei quali sono sovrapponibili a quelli
corrispondenti del ricorrente Litrico. Il sesto denuncia carenza motivazione ed
errata configurazione giuridica del fatto, ad impugnazione del proscioglimento
per prescrizione dall’imputazione di truffa, da derubricarsi a suo avviso in quella
di appropriazione indebita. Il settimo e l’ottavo motivo riproducono
rispettivamente i motivi ottavo e nono dedotti dal Litrico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con precedenza su ogni altra considerazione, corre l’obbligo di rilevare
l’intervenuta estinzione dei reati per i quali è intervenuta condanna in esito al
giudizio di merito: vale a dire per il delitto di associazione per delinquere (art.
416 cod. pen.), contestato a tutti gli odierni ricorrenti, e per quello di uso di
sigillo contraffatto (art. 468 cod. pen.), riguardante la posizione del solo Orazio
Cucchiara.
1.1. Ed invero, premesso che dal punto di vista del diritto intertemporale
deve considerarsi applicabile nel presente processo il sistema normativo che
regolava la prescrizione anteriormente alla legge 5 dicembre 2005, n. 251, la cui
entrata in vigore è posteriore alla conclusione del giudizio di primo grado (v. art.
10, comma 3, della legge citata), per ambedue i reati di cui si tratta il termine

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quali aveva chiesto di essere mandato assolto – anziché prosciolto per

prescrizionale ordinario è della durata di dieci anni, prolungabile fino ad un
massimo di quindici per effetto degli atti interruttivi. Alla stregua di tale
premessa il compimento del termine va collocato, per il delitto ex art. 416 cod.
pen. (con permanenza fino alla fine del 1996), alla data del 31 dicembre 2011;
mentre per il delitto ex art. 468 cod. pen., consumato il 22 novembre 1995, la
prescrizione si è compiuta il 22 novembre 2010.
1.2. Attesa l’ammissibilità dei ricorsi, tempestivamente proposti e basati almeno in parte – su motivi consentiti dall’art. 606 cod. proc. pen., corre

efficacia assorbente nei confronti delle censure riguardanti il trattamento
sanzionatorio.
1.3. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 129, comma 2,
cod. proc. pen.: è infatti principio di indiscussa acquisizione quello per cui, in
presenza di una causa estintiva del reato, il proscioglimento nel merito deve
essere privilegiato solo quando la prova dell’insussistenza del fatto, della sua
irrilevanza penale o della estraneità dell’imputato alla sua commissione si stagli
in tutta evidenza – vale a dire in modo incontrovertibile – sulla base degli stessi
elementi e delle medesime valutazioni poste a base della sentenza impugnata
(Sez. 4, n. 33309 del 08/07/2008, Rizzato, Rv. 241961; Sez. 1, n. 8074 del
29/05/1998, Gian, Rv. 211764); a maggior ragione ciò è a dirsi nel giudizio di
cassazione, nel quale il controllo sul provvedimento impugnato incontra i limiti di
deducibilità del vizio di motivazione (Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, Capuzzo,
Rv. 240955).
Nel caso di cui ci si occupa non può affermarsi che a favore di alcuno degli
imputati militino ragioni immediatamente rivelatrici dell’esistenza dei presupposti
per l’applicazione del citato art. 129, comma 2, cod. proc. pen.; tanto non
emerge dalla sentenza impugnata, che anzi racchiude un accertamento di
responsabilità a carico di tutti e sei gli odierni ricorrenti; né dai motivi dedotti a
sostegno dei ricorsi, i quali non prospettano una certa e indiscutibile
insussistenza degli elementi costitutivi dei reati rispettivamente ascritti, ma si
limitano a denunciare vizi inerenti alla motivazione, il cui eventuale accoglimento
potrebbe soltanto condurre ad un annullamento con rinvio, peraltro impedito
dall’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione.
Analogamente è a dirsi delle censure che si riferiscono a pretese violazioni di
norme procedurali, parimenti recessive rispetto alla declaratoria della
prescrizione.

2. Considerazioni non dissimili sono da farsi relativamente ai reati per i quali
già il Tribunale ha ritenuto di dover emettere sentenza di proscioglimento per la

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l’obbligo di prendere atto dell’avvenuta maturazione della causa estintiva, con

medesima causa estintiva, verificatasi già in prime cure. Non hanno ragion
d’essere, invero, le doglianze elevate in proposito dai ricorrenti Litrico e
Pulvirenti, col rimproverare alla Corte distrettuale di avere inadeguatamente
motivato il rigetto della richiesta di assoluzione nel merito, da essi avanzata coi
rispettivi motivi di appello; vale la pena di ribadire una volta di più che, in
presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare
sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. solo nei casi in cui
le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e

modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi in
proposito appartiene più al concetto di «constatazione» che a quello di
«apprezzamento». Infatti il secondo comma del citato art. 129, là dove si
esprime in termini di «evidenza», presuppone la manifestazione di una verità
processuale così chiara e obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione,
concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per
l’assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Sez. 6,
n. 31463 del 08/06/2004, Dolce, Rv. 229275).
Alla stregua di tale principio si rivela del tutto congruo il rilievo sul quale la
Corte d’Appello ha fondato la conferma del proscioglimento per prescrizione,
riscontrando nella ricostruzione dei fatti – già esposta nelle pagine precedenti di
quella sentenza – la responsabilità del Litrico in ordine ai reati contestatigli ai
capi N), O), P) e 24), così come della Pulvirenti in ordine ai reati contestatile ai
capi S, T, U, 12, 13 e 14: e ha dato conto, altresì, del proprio convincimento
circa la correttezza della qualificazione ex art. 640 cod. pen. – e non dell’art. 646
dello stesso codice – per i fatti contestati come truffa.

3. Quanto fin qui argomentato esaurisce il thema decidendum di cui questa
Corte è investita, sebbene con la sentenza di primo grado il Tribunale abbia
preso determinazioni anche in ordine agli interessi civili. Ed invero, avendo la
Corte d’Appello – pur tacendo sul punto nel dispositivo – chiarito in motivazione
che nulla compete alle parti civili in relazione al reato di associazione per
delinquere, non essendone derivato alcun danno patrimoniale o morale, mentre
per i reati di truffa l’estinzione avvenuta già in primo grado ha impedito
l’applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., non rimane alcuno spazio per una
pronuncia in tal senso neppure in questa sede.

P.Q.M.

d

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere i reati per cui è

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la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in

intervenuta condanna estinti per prescrizione; rigetta per il resto i ricorsi di
Litrico C. e Pulvirenti R.

Così deciso il 05/12/2013.

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