Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1375 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1375 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARIFA TARIFA FRANCISCO N. IL 22/12/1963
avverso l’ordinanza n. 2390/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
29/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere pptt. ELASABETTS
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Data Udienza: 27/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 giugno 2015, il Tribunale di Napoli, in sede di appello
cautelare, ha confermato l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione della
misura cautelare della custodia in carcere per Tarifa Tarifa Francisco, emessa dal
Tribunale di Napoli, XI Sez.penale, in data 9 aprile 2015, in relazione al
procedimento a carico del predetto imputato per i reati di cui agli artt. 74, c. 2 e
80, c. 2 e 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 in relazione alla sostanza stupefacente
tipo hashish, fatti aggravati dalla finalità di agevolazione dell’associazione di tipo

esigenze cautelari

e l’adeguatezza della detenzione carceraria rispetto al

pericolo di recidivanza.
2. Avverso la decisione il ricorrente, tramite il difensore, ha proposto ricorso per
cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata, per il seguente
motivo: 1) Erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta
illogicità della motivazione in relazione all’art. 274 c.p.p., atteso che la custodia
carceraria ha natura residuale e richiede esigenze cautelari di carattere
eccezionale, che non sussistono attesa l’incensuratezza dell’imputato, il quale si
è reso disponibile a dichiarare quanto a sua conoscenza chiarendo la sua
posizione; inoltre le motivazione che la difesa aveva offerto anche in riferimento
agli indizi di colpevolezza e pericolo di fuga avrebbero dovuto indurre il giudice
cautelare ad una diversa valutazione dei fatti; da ultimo si è evidenziato che la
ONLUS con sede a Milano aveva dato la disponibilità ad ospitare l’imputato in
regime di arresti domiciliari.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso presentato, oltre che generico, risulta inammissibile, in quanto mira
ad una rivalutazione della situazione cautelare del ricorrente, piuttosto che a
censurare la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa l’ordinanza
impugnata. Va infatti premesso che in materia di misure cautelari l’ambito del
controllo di legittimità attiene alla verifica che l’ordinanza impugnata contenga
l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la
decisione e sia immune da illogicità evidenti, ossia il controllo riguarda la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento
(ex multis, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050
del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104), senza entrare nel merito della
ricostruzione dei fatti, né valutare l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o
concludenza dei dati probatori, ovvero considerare le caratteristiche soggettive
delle persone indagate, compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e
delle misure ritenute adeguate: questi accertamenti rientrano nel compito
esclusivo e insindacabile dei giudici della cautela.

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camorristico denominata clan Polverino, confermando la sussistenza delle

2. Orbene l’ordinanza impugnata non risulta affatto aver violato disposizioni di
legge ed è fornita di esaustiva e congrua motivazione in ordine alle ragioni che
impongono di confermare il rigetto della richiesta di sostituzione della misura
cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. In
particolare, la pronuncia è rispettosa del dettato di cui all’art. 275 c. 3 c.p.p.
quanto all’apprezzamento delle concrete ed attuali esigenze cautelari, in
riferimento al pericolo di condotte recidivanti (l’unico prospettato al Tribunale
con la prima istanza di modifica dello status cautelare dell’imputato).

della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale
disposizione nella parte in cui, nel prevedere che, allorquando sussistano gravi
indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74,
debba essere applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che vengano
acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa
salva, altresì, l’ipotesi in cui vi siano risultanze specifiche, relative al caso
concreto, dalle quali emerga che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte
con altre misure. Del pari la giurisprudenza della Corte EDU ha ribadito che
l’assenza di elementi in grado di attestare un concreto rischio di ordine cautelare
impedisce di giustificare la detenzione cautelare in carcere dell’accusato.
Pertanto, se non emerge alcuna risultanza che possa essere idonea ad escludere
che il soggetto possa continuare a fornire il suo contributo al gruppo associativo
con il quale ha operato, persiste la presunzione di pericolosità. Tale valutazione,
al riguardo, è riservata al giudice del merito della cautela e le relative
determinazioni sono insindacabili in sede di legittimità ove siano supportate da
adeguata motivazione.
4. Nel caso di specie, il Tribunale ha confermato il negativo giudizio prognostico,
quale si evince sia dalla gravità dei fatti (inserimento nell’organizzazione dedita
al narcotraffico e ruolo di trasportatore, unitamente al coimputato Mingorance, di
ingenti quantitativi di hashish da Barcellona in Italia), sia dalla personalità
dell’imputato, nonostante la sua incensuratezza ed ha confermato l’intensità e
l’attualità del pericolo di recidiva specifica; inoltre i giudici dell’appello cautelare
hanno sottolineato il fatto che la difesa non abbia dedotto elementi diversi in
ordine alla eventuale disgregazione dell’organizzazione criminale o altre
circostanze idonee a modificare tale valutazione, che vede la custodia cautelare
in carcere quale misura indispensabile a garantire le menzionate esigenze
preventive, considerato anche il fatto che non sono stati forniti dati informativi
sulla menzionata struttura che avrebbe voluto dare ospitalità all’imputato in caso
di concessione di arresti domiciliari.

3. Deve infatti essere osservato che, come è noto, la sentenza n. 231 del 2011

Di conseguenza il ricorso è inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Copia del presente
provvedimento deve inoltre essere trasmessa al Direttore dell’Istituto
penitenziario competente.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 Disp. Att.
c.p.p.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2015.

spese del procedimento e della somma di euro mille in favore della Cassa delle

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