Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13643 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13643 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI SALVO GIOVANNI N. IL 08/04/1971
avverso l’ordinanza n. 529/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
10/10/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/soati.te le conclusioni del PG Dott. C 4134Q IEL E 1142.70

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 20/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 10.10.2012 la Corte d’appello di Milano, in funzione di

giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta dal condannato Giovanni Di
Salvo tesa ad ottenere :
a) il riconoscimento del vincolo della continuazione in executivis, ex artt. 81 cpv.
Cod. pen. e 671 Cod. proc. pen., tra tutti i reati di cui alle separate sentenze
definitive in data 20.02.2009 del Gup di Palermo (confermata dalla sentenza

05.01.2011 della Corte d’appello della sede) per reati ex artt. 110 Cod. pen., 73 e
74 DPR 309/90; 19.02.2010 del Gup di Milano (parzialmente riformata dalla
sentenza 03.02.2011 della Corte d’appello di Milano) per reati ex art. 110 Cod. pen.
e 73 DPR 309/90; 16.11.2007 del Tribunale di Palermo (parzialmente riformata
dalla sentenza 04.02.2010 della locale Corte d’appello) per reati ex art. 110 e 629
Cod. pen.;
b) la revoca della sentenza di condanna 03.02.1011 della Corte d’appello di
Milano in relazione al capo E) dell’imputazione sull’asserito presupposto che fosse in
tutto coincidente con il fatto di cui al capo G) della sentenza di condanna
05.01.2011 della Corte d’appello di Palermo.Rilevava invero la Corte milanese a fondamento della sua decisione di rigetto :
a) quanto all’istanza ex art. 671 Cod. proc. pen., di applicazione della disciplina
della continuazione, che la stessa non potesse essere accolta posto che si trattava
di fatti disparati (in materia di droga ed estorsione), collocati nello spazio in modo
non omogeneo (Nord e Sud Italia) e diffusi in un arco temporale esteso (dal 2004 al
2006), non potendo avere rilevanza il fatto che si trattasse di attività criminosa
svolta in favore della stessa consorteria (famiglia mafiosa di Palermo Centro);
b) quanto all’istanza ex art. 669 Cod. proc. pen., di revoca di condanna per
asserito bis in idem, che non vi fosse prova che si trattasse del medesimo fatto
(acquisto di kg. 7 di cocaina a Milano, rivenduta a Palermo), sia per il lasso di
tempo intercorso tra acquisto e cessione (fine 2004, inizi 2005), sia per la pluralità
di partite di droga trattate nel periodo.2.

Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto

condannato che motivava l’impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di
motivazione, argomentando -in sintesi- nei seguenti termini : a] quanto al rigetto
dell’istanza di riconoscimento della continuazione, la Corte milanese aveva disatteso
chiari elementi sintomatici, quali l’omogeneità dei reati e la breve distanza
temporale, nonché il contesto associativo che aveva determinato la perpetrazione
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degli stessi; doveva peraltro essere considerata la valutazione già operata in sede
di cognizione; difetto di motivazione su tali punti; b] quanto al rigetto dell’istanza di
revoca della sentenza per duplicato di condanna, il giudice dell’esecuzione non
aveva valutato i plurimi elementi emersi in sede di accertamento dei fatti che
evidenziavano come la partita di droga venduta a Palermo fosse la stessa
acquistata a Milano; si trattava dunque di due successivi momenti della stessa
condotta di reato; anche su tali punti si doveva lamentare vizio di motivazione
illogica e carente.-

3. Il Procuratore generale presso questa Corte depositava quindi articolata
requisitoria con la quale richiedeva rigetto del ricorso per infondatezza di ogni
deduzione.4. Con atto depositato il 04.02.2014 la difesa del ricorrente proponeva motivi
aggiunti con i quali si ribadivano le tesi e le richieste già avanzate nei motivi
principali.Considerato in diritto
1. Il ricorso è solo parzialmente fondato, nei limiti di cui alla seguente
motivazione.2. In via di priorità logico-giuridica va affrontata dapprima l’impugnazione
relativa al rigetto dell’istanza di revoca di condanna per prospettato bis in idem.r-kaTivd
Il _pirriarpse non è fondato. Va premesso che il concetto di coincidenza del fatto, ai
fini di cui all’art. 669 Cod. proc. pen., è stato delineato da questa Corte di
legittimità nella sua massima espressione nomofilattica nei seguenti termini, con
giurisprudenza ormai consolidata sul punto : cfr. Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 in
data 28.06.2005, Rv. 231799, P.G. in proc. Donati ed altro :

“Ai fini della

preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste
quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato,
considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e
con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona”. L’applicazione di tale
principio generale al reato di cui all’art. 73 DPR 309/90 deve tener conto, peraltro,
del fatto che tale norma prevede più condotte e forme alternative di commissione
per le quali l’assorbimento è escluso ove non abbiano lo stesso oggetto o vi sia
apprezzabile soluzione di continuità spazio-temporale. Con precisione e rigore
questa Corte ha affermato pertanto che “in tema di stupefacenti, la detenzione
illecita di stupefacenti costituisce un’autonoma ipotesi di reato, con la conseguenza
che l’acquisto a fine di vendita e la consecutiva vendita di tutto o parte del

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quantitativo acquistato integrano distinte condotte di reato; né, a tal fine, rileva la
brevità del tempo intercorso tra le stesse, in quanto ciò non esclude che ciascun
fatto cagioni autonomi eventi di pericolo, determinati da più azioni sorrette da
autonome volizioni, ancorché poste in essere in esecuzione di un unico disegno
criminoso” (così Cass. Pen. Sez. 5 0 , n. 4529 in data 10.11.2010, Rv. 249252,
Malkoc e altri). Con la stessa precisione è stato quindi riaffermato che : “l’assenza
di contiguità temporale tra le condotte di detenzione e cessione di sostanza
stupefacente impedisce l’assorbimento dell’una condotta nell’altra, con la

conseguenza che le due condotte danno luogo a più violazioni della stessa
disposizione di legge e quindi a distinti reati, eventualmente legati dal vincolo della
continuazione criminosa, ed ambedue previsti dalla norma a più fattispecie tra loro
alternative di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990”. (Fattispecie in cui uno stesso
soggetto aveva ceduto a terzi la sostanza stupefacente almeno due giorni dopo da
quando aveva iniziato a detenerla; così Cass. Pen. Sez. 4 0 , n. 22588 in data
07.04.2005, Rv. 232094, Volpi ed altro).- Ciò posto, è evidente che il ricorso non
può essere accolto. Ed invero, al di là della prospettata identità della sostanza
prima acquistata a Milano e poi ceduta a Palermo (le deduzioni difensive non
superando la circostanza accertata in sede di cognizione che plurimi furono gli
acquisti e le detenzioni all’epoca, in capo al ricorrente, sì da ingenerare un coacervo
non distinguibile), resta il dato insuperabile che tra l’acquisto e la cessione non vi fu
-né il Di Salvo giunge a sostenerlo- una contiguità temporale così immediata da
poter ingenerare l’assorbimento delle condotte che restano quindi autonome e
distinte, a nulla rilevando -a tal fine- che siano state commesse con gli stessi correi
o nell’ambito di uno stesso contesto criminale. L’assenza di contiguità temporale,
nella fattispecie avvalorata anche dalla notevole distanza geografica, è valutazione
in fatto logica e coerente, sviluppata secondo corretti parametri giurisprudenziali,
che sfugge alla possibile censura da parte di questa Corte di legittimità.
L’autonomia delle due condotte (acquisto e successiva cessione) impedisce quindi di
poter ritenere l’identità del fatto, in senso storico naturalistico, ai sensi dell’art. 669
Cod. proc. pen.- Il ricorso va dunque rigettato sul punto.3.

Il ricorso è invece parzialmente fondato quanto al diniego della

continuazione.In tale ambito, peraltro, non può essere accolto il ricorso con riferimento alla
condanna (Tribunale di Palermo 16.11.2007, parzialmente riformata dalla locale
Corte d’appello il 04.02.2010) per fatti di estorsione commessi in tale città nel
Febbraio del 2006. E’ evidente, invero, la mancanza di omogeneità tra tali condotte
e quelle concernenti gli stupefacenti di cui alle altre sentenze di condanna. Nessuna
prova, né elemento sintomatico, viene in evidenza per dimostrare che all’inizio delle
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attività relative agli stupefacenti, in capo al Di Salvo, nel 2004, costui avesse
prefigurato, almeno nelle linee essenziali, ma sufficientemente specifiche, i
successivi reati di estorsione di cui alla sentenza predetta. L’argomento difensivo
(v. ff. 9 e 10 dell’atto di ricorso) secondo cui il ricorrente non è mai stato
condannato per reato associativo di tipo mafioso non aiuta certo la parallela
argomentazione secondo cui elemento catalizzatore sarebbe proprio quello di aver
commesso i vari fatti (sia di estorsione che in materia di droga) in funzione degli
interessi economici della famiglia mafiosa di riferimento. Sul punto, peraltro, è del

giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non vi è automatica sussistenza di
vincolo di continuazione tra reati commessi in ambito associativo (a prescindere da
eventuale condanna per tale ultimo reato), eterogeneo essendo il concetto di
strumentalità di alcuni fatti alle esigenze della consorteria rispetto all’istituto della
continuazione rettamente inteso.Il ricorso deve trovare accoglimento, di contro, quanto alle due sentenze in
materia di stupefacenti. A quanto sopra già sopra affermato, con riferimento alle
deduzioni ex art. 669 Cod. proc. pen., deve aggiungersi la considerazione che le
valutazioni rese in sede di cognizione dai vari giudici, che non possono essere
disattese dal giudice dell’esecuzione, propongono già continuazioni interne che
delineano un quadro di principio (almeno temporale) nel quale esaminare le
specifiche deduzioni difensive. La motivazione dell’impugnata ordinanza che rileva,
pur nell’omogeneità delle condotte, la diffusione spazio-temporale delle condotte
stesse quale dato ostativo, ha mancato dunque di confrontarsi con tale elemento di
comprensione eventualmente unitaria che si cementa anche nel ritenuto reato ex
art. 74 DPR 309/90. Si impone dunque annullamento per vizio di motivazione sullo
specifico punto e rinvio per nuovo esame che tenga conto dei rilievi qui formulati.P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al diniego della continuazione in
ordine ai reati di cui agli artt. 73 e 74 DPR 309/90 oggetto delle sentenze
05.01.2011 della Corte d’appello di Palermo e 03.02.2011 della Corte d’appello di
Milano e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte d’appello di Milano.- Rigetta il
ricorso nel resto.Così deciso in Roma il 20 Febbraio 2014 II Consigliere estensore

Il Presidente

tutto corretta la motivazione dell’impugnata ordinanza, conforme alla

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