Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13641 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13641 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
GALLACE Cosimo Damiano, nato ad Anzio il 18/02/1990,

avverso l’ordinanza in data 1° agosto 2013 del Tribunale del riesame di
Catanzaro nel proc. n. 876/2013.

Letti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
sentito il pubblico ministero presso questa Corte di cassazione, in persona del
sostituto procuratore generale, Roberto Aniello, il quale ha chiesto il rigetto del
ricorso,
sentito il difensore del ricorrente, avvocato Salvatore Staiano, il quale ha chiesto
raccoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen.,
con ordinanza deliberata il 10 agosto 2013, ha respinto la richiesta di riesame e

Data Udienza: 15/01/2014

confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari della sede, in data
25 giugno 2013, di applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare
in carcere nei confronti di Gallace Cosimo Damiano, sottoposto ad indagini per
aver fatto parte dell’associazione criminale di tipo mafioso

(‘ndrangheta),

denominata “locale di Guardavalle”, capeggiata da Gallace Vincenzo, costituita in
esito alla scissione di precedente più ampia associazione diretta dallo stesso

Il Tribunale ha ritenuto che i gravi indizi di colpevolezza a carico di Gallace
Cosimo Damiano, detto Cosinnino per distinguerlo dall’omonimo zio,
discendessero dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia: Belnome
Antonino, Todaro Vincenzo e Panaija Michael.
Il Belnome e il Panaija avevano riferito che il Gallace era membro
dell’associazione criminale con il grado di “sgarro” e aveva partecipato ad alcune
cerimonie di conferimento di cariche criminali in occasione di riunioni di
‘ndrangheta, a Placanica e Santa Cateriana dove erano avvenute le affiliazioni,
rispettivamente, del fratello del Panaija (come riferito dal Belnome) e di De Masi
Orlando (come riferito dal Panaija). Il Belnome aveva aggiunto che il giovane
Gallace svolgeva il compito di intermediario tra il padre, il capo Gallace Vincenzo,
e coloro che avevano necessità di conferire con lo stesso.
Il Todaro aveva riferito che il giovane Gallace era il fornitore di droga
(cocaina) di suo fratello, Todaro Giuseppe, e che, in un’occasione, si era
personalmente recato a Guardavalle per acquistare dal Gallace cocaina per conto
del proprio fratello, ma il Gallace aveva rifiutato la cessione della sostanza poiché
pretendeva la garanzia personale di Todaro Giuseppe. Al successivo accesso di
entrambi i fratelli Todaro, il Gallace aveva procurato loro il fornitore della
sostanza stupefacente, tale Salvatore, cognato di Taverniti Francesco.
Per il resto il Tribunale ha rinviato al contenuto dell’ordinanza cautelare
genetica, annotando che le interpretazioni alternative degli elementi indiziari
proposte dalla difesa restavano assorbite nell’apprezzamento complessivo di
ricorrenza della gravità indiziaria.
Le esigenze cautelari di speciale prevenzione sono state riconosciute sulla
base della presunzione relativa posta dall’art. 275, comma 3, secondo periodo,
cod. proc. pen., in mancanza di elementi che le escludessero, e l’adozione della
custodia cautelare in carcere si è imposta come unica misura idonea a
soddisfarle in applicazione della presunzione assoluta di cui all’art. 275, comma
3, cod. proc. pen., in relazione all’ipotizzato delitto previsto dall’art. 416-bis cod.
pen.

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CII( L—-

Gallace e da tale Novella.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Gallace tramite i difensori, avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino del foro
di Catanzaro, i quali deducono due motivi.
1.1. Il primo motivo denuncia inosservanza e/o erronea applicazione della
legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 273 e ss., 192 e 127 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen.

credibilità dei dichiaranti e dell’attendibilità del loro narrato alla luce dei
parametri, soggettivi ed oggettivi, enunciati da consolidata giurisprudenza di
legittimità.
E ciò nonostante la difesa avesse evidenziato e documentato, nel corso
dell’udienza del riesame, che l’affidabilità del chiamante, Todaro Vincenzo, era
inficiata dalle dichiarazioni (riscontrate) di altri due collaboratori di giustizia, tali
Natale e Carbè, circa i “pizzini” trasmessi all’esterno dal detenuto, Todaro, per
concordare accuse nei confronti di terzi e versioni a copertura delle sue
responsabilità, nascondendo agli inquirenti di essere sottoposto ad indagini per i
reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in altro procedimento.
Le propalazioni del Todaro, comunque, non sarebbero significative
dell’appartenenza del Gallace al sodalizio mafioso, poiché il collaboratore si era
limitato a riferire di aver avuto con l’indagato rapporti inerenti all’acquisto di
cocaina, senza nulla dichiarare in merito alla pretesa militanza del Gallace in
associazione di tipo mafioso.
Il Tribunale, inoltre, avrebbe ignorato i verbali di interrogatorio in data
16/04/2010 e 23/06/2010 resi dal Todaro, pur segnalati dalla difesa, nei quali il
collaboratore, invitato a riconoscere fotograficamente il Gallace, lo aveva
addirittura scambiato con altra persona, tale “Cristian il Siciliano”.
Analogamente sarebbe stato omesso il vaglio critico delle dichiarazioni del
Belnome in merito alla pretesa partecipazione del Gallace alla cerimonia di
affiliazione mafiosa del fratello dei Panaija Michael, poiché quest’ultimo aveva
invece escluso che il fratello fosse membro della ‘ndrangheta.
E acriticamente sarebbero state avallate le propalazioni del Panaija circa
l’appartenenza del Gallace all’associazione con la dote di “sgarro”, nonostante la
segnalata necessità di sottoporre a rigorosa verifica l’attendibilità del predetto
collaboratore le cui dichiarazioni erano state successive al deposito di quelle rese
dal Belnome con piena possibilità, dunque, del primo di conoscere e allinearsi
alle dichiarazioni del secondo.

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Il Tribunale avrebbe completamente eluso la pur necessaria analisi della

Il giudice del riesame avrebbe anche ignorato la sentenza prodotta dalla
difesa, emessa dalla Corte di assise di Milano nei confronti di Panaija e di altri
sedici imputati, nella quale il Panaija era stato ritenuto totalmente inaffidabile e
non meritevole dei benefici previsti dalla legge per coloro che collaborano con la
giustizia.
In ogni caso, la convergenza di dichiarazioni accusatorie che si limitino a

un’associazione criminale di tipo mafioso, senza indicare specifici comportamenti
ovvero fatti concreti che siano significativi del consapevole e continuativo
apporto dell’accusato al perseguimento degli interessi del sodalizio, assumerebbe
rilievo come mero elemento indiziario ma non potrebbe assurgere alla soglia di
gravità indiziaria necessaria per l’applicazione della misura coercitiva, come da
citata giurisprudenza di legittimità.
1.2. Il secondo motivo del ricorso lamenta inosservanza e/o erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener
conto nell’applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.
b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 180 dello stesso codice e all’art. 6,
comma 14, della legge n. 45 del 2001 (modifiche alle norme per la protezione di
coloro che collaborano con la giustizia), che ha sostituito l’articolo 13 del
decreto-legge 15/01/1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge
15/03/1991, n. 82.
In violazione della predetta disposizione non sarebbe stata garantita la
riservatezza dei collaboratori e la genuinità della loro dichiarazioni, risultando nel
verbale di interrogatorio del Panajia del 16 aprile 2012, davanti al pubblico
ministero distrettuale, la contestazione allo stesso di dichiarazioni differenti sul
medesimo fatto rese dal Belnome; e, nel verbale del 28 maggio 2012, analoga
contestazione al Belnome per dichiarazioni contrarie al narrato dal Panaija,
allorché per quest’ultimo non era ancora scaduto il termine di 180 giorni per
riferire quanto a sua conoscenza.
Solo successivamente il Panajia avrebbe accusato persone che inizialmente
aveva dichiarato di non conoscere, convergendo col Belnome circa la dote di
“sgarro” conferita al Gallace.
Secondo il ricorrente, pertanto, i verbali delle dichiarazioni dei predetti
collaboratori avrebbero dovuto essere sanzionati con l’inutilizzabilità per
violazione della disciplina dettata dalla legge n. 45 del 2001, ma il Tribunale del
riesame aveva omesso qualsiasi risposta anche a tale eccezione difensiva.

cl
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riferire genericamente l’appartenenza di un determinato soggetto ad

3. Con memoria depositata il 9 gennaio 2014 il difensore ha insistito nella
richiesta di accoglimento del primo motivo, integralmente riproposto,
menzionando a suffragio della sua tesi circa la violazione dei canoni normativi di
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, due recenti sentenze di questa Corte
di annullamento di altrettanti provvedimenti

de libertate del Tribunale di

Catanzaro nell’ambito di diverso procedimento (n. 43901 del 2013 e n. 43569

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, sebbene formulato come violazione di legge e
non, più correttamente, come vizio della motivazione, è fondato e assorbe
l’esame del secondo.
Effettivamente il Tribunale del riesame ha omesso di valutare l’attendibilità
intrinseca soggettiva e oggettiva dei chiamanti in correità, nonostante le
specifiche deduzioni e produzioni difensive nell’udienza tenutasi il 10 agosto 2013
davanti allo stesso Tribunale; e l’operato rinvio del giudice del riesame al
contenuto dell’ordinanza cautelare genetica non vale a soddisfare l’obbligo della
motivazione, quando esso sia formulato in termini del tutto generici che neppure
indicano il tema di riferimento e all’esito di udienza in cui il difensore della
persona sottoposta alle indagini abbia prodotto documenti e allegato circostanze
idonee ad inficiare l’affidabilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva dei chiamanti
in correità o in reità (in senso conforme: Sez. 2, n. 44378 del 25/11/2010,
dep. 16/12/2010, Schiavulli, Rv. 248946; Sez. 1, n. 43464 del 1/10/2004, dep.
5/11/2004, Perazzolo, Rv. 231022).
Nel caso di specie, la produzione della sentenza della Corte di assise di
Milano del 4 febbraio 2013, depositata il 23 aprile 2013, che non ha riconosciuto
l’attendibilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie del Panaija, rese dopo il
deposito di quelle del Belnome e dal primo non ignorate, e gli altri rilievi mossi
dal difensore in tema di inidoneità delle propalazioni del Panaija a fungere da
riscontro individualizzante della chiamata in correità del Gallace da parte del
Belnome; così come il diverso contenuto delle dichiarazioni di Todaro Vincenzo
non costituenti conferma della partecipazione del Gallace all’omonima
associazione di tipo mafioso, poiché il Todaro si era limitato a riferire di essersi
rivolto all’indagato per una fornitura di droga nell’interesse del proprio fratello,
Todaro Giuseppe, senza nulla rivelare in merito alla presunta militanza mafiosa
del giovane Gallace; ebbene i predetti elementi, di sicura rilevanza al fine di
apprezzare la gravità indiziaria a norma dell’art. 273, comma 1-bis, cod. proc.
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del 2013).

pen., che espressamente richiama le disposizioni dell’art. 192, comma 3, dello
stesso codice, con la conseguente necessità di riscontri esterni anche
individualizzanti delle dichiarazioni eteroaccusatorie, non hanno trovato alcun
spazio motivazionale nell’ordinanza impugnata che si è limitata ad elencare le
fonti di prova e i loro contenuti, senza sottoporle a vaglio critico nel profilo
soggettivo e oggettivo suindicato, liquidando sbrigativamente le obiezioni

generico richiamo al contenuto dell’ordinanza cautelare genetica e al loro preteso
assorbimento in un apprezzamento complessivo di gravità indiziaria solo
assertivamente indicato come “operato” da parte dello stesso Tribunale.

2. Si impone, quindi, per mancanza della motivazione nei termini di cui
sopra, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame, ai
sensi dell’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., allo stesso Tribunale di
Catanzaro che provvederà uniformandosi all’obbligo motivazionale richiamato
nella presente sentenza.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Catanzaro.

Così deciso, in Roma, il 15 gennaio 2014.

difensive, peraltro accompagnate da produzioni documentali neppure citate, col

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