Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13633 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13633 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FASCIANI SABRINA N. IL 08/05/1974
TRIASSI VITO N. IL 21/04/1957
ROSSI DIEGO N. IL 27/05/1981
avverso l’ordinanza n. 2410/2013 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
14/08/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. R o l2,-c41-b t-fLE[I

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Data Udienza: 15/01/2014

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N.39437/13-RUOLO N.28 C.C.P.(2435)

RITENUTO IN FATTO
1.FASCIANI Sabrina, TRIASSI Vito e ROSSI Diego impugnano innanzi a questa
Corte, i primi due per il tramite dei loro difensori, il terzo personalmente,
l’ordinanza del 14 agosto 2003, con la quale il Tribunale di Roma ha rigettato la
richiesta di riesame, da essi proposta ex art. 309 cod. proc. pen. avverso
l’ordinanza del G.I.P. in sede del 23 luglio 2013, di emissione nei loro confronti

FASCIANI Sabrina:
-del reato di cui al capo D) della rubrica (art. 416 bis cod. pen.: partecipazione
ad un’associazione di stampo mafioso, denominata “clan Fasciani”, capeggiata da
suo padre FASCIANI Carmine, nata e costituitasi autonomamente nel territorio
del litorale di Ostia e con interessi nel tessuto urbano della città di Roma, che
aveva conseguito in concreto, nell’ambiente nel quale esso operava, un’effettiva
capacità d’intimidazione ed una condizione di assoggettamento e di omertà
mediante l’accaparramento di esercizi commerciali, le estorsioni, l’usura, le
intestazioni fittizie tramite prestanome, la costituzione di società, il sostegno
economico agli associati detenuti);
-del reato di cui al capo O) della rubrica (art. 12 quinquies del d.l. n. 306 del
1992, convertito nella legge n. 356 del 1992: fittizia intestazione a suo nome di
una pizzeria-bar denominata “Il Porticciolo”, da ritenere nella sostanziale
disponibilità di suo padre FASCIANI Carmine)
-del reato di cui al capo 01) della rubrica (art. 12 quinques del d.l. n. 306 del
1992, convertito nella legge n. 356 del 1992: altro episodio di intestazione
fittizia di attività commerciale, gestita dalla s.r.l. “MALIBU BEACH”)
-del reato di cui al capo R) della rubrica (art. 12 quinquies del d.l. n. 306 del
1992, convertito nella legge n. 356 del 1992: aver fittiziamente gestito per conto
di suo padre FASCIANI Carmine un’attività di noleggio di videogiochi per il
tramite della s.r.l. “ROMANA VIDEOGIOCHI” fittiziamente intestata a LOBOZZO
Fabio);
-del reato di cui al capo Al) della rubrica (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990:
avere partecipato ad un’associazione criminosa, unitamente a FASCIANI
Carmine, FASCIANI Alessandro, ROSSI Diego e SIBIO Riccardo, intesa
all’importazione dalla Spagna a fini di spaccio di sostanze stupefacenti);
TRIASSI Vito:
-del reato di cui al capo A) della rubrica (partecipazione ad un’associazione
criminosa di stampo mafioso noto come “clan Triassi”, da ritenere quale
proiezione nel territorio laziale della mafia agrigentina ed in particolare del clan
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della misura cautelare della custodia in carcere, siccome gravemente indiziati:

”Caruana-Cuntrera”, essendo l’indagato uno dei luogotenenti del CUNTRERA: art.
416 bis cod. pen.);
ROSSI Diego:
-del reato di cui al capo Z) della rubrica (tentato omicidio, in concorso con altri,
di LILLI Remo, nei cui confronti erano stati sparati copi d’arma da fuoco: artt. 56,
575 cod. pen.);
-del reato di cui al capo D) della rubrica (art. 416 bis cod. pen.: partecipazione
ad un’associazione di stampo mafioso, denominata “clan Fasciani”, di cui era a

litorale di Ostia e con interessi nel tessuto urbano della città di Roma, che aveva
conseguito in concreto, nell’ambiente nel quale esso operava, un’effettiva
capacità d’intimidazione ed una condizione di assoggettamento e di omertà
mediante l’accaparramento di esercizi commerciali, le estorsioni, l’usura, le
intestazioni fittizie tramite prestanome, la costituzione di società, il sostegno
economico agli associati detenuti);
-del reato di cui al capo Al) della rubrica (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990:
partecipazione ad un’associazione criminosa, unitamente a FASCIANI Carmine,
FASCIANI Alessandro, e SIBIO Riccardo, intesa all’importazione dalla Spagna a
fini di spaccio di sostanze stupefacenti).

2.11 Tribunale ha ritenuto la sussistenza di validi indizi di colpevolezza in ordine a
tutti gli indagati sulla base delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia
CASSIA Sebastiano, nonché sulla rilevante mole di intercettazioni ambientali e
telefoniche disposte.

3.11 Tribunale ha altresì ritenuto la sussistenza di valide esigenze cautelari,
idonee a giustificare le misure cautelari inframurarie adottate nei confronti dei
tre indagati anzidetti, avendo fatto riferimento al reato associativo di stampo
mafioso, contestato a tutti e tre ed alla connessa presunzione di pericolosità, di
cui all’art. 275 terzo comma cod. proc. pen., non essendo emersi elementi dai
quali poter desumere che gli indagati avessero stabilmente rescisso i loro legami
con l’organizzazione criminosa di appartenenza.

4.FASCIANI Sabrina, con un unico ed articolato motivo, lamenta violazione di
legge e motivazione illogica e contraddittoria sia in ordine alla ritenuta
sussistenza di validi indizi di colpevolezza a suo carico, sia in ordine alla
sussistenza di esigenze cautelari, riferite ai reati a lei ascritti e cioè in ordine al
reato associativo in materia di stupefacenti, di cui al capi Al) della rubrica; in
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capo FASCIANI Carmine, nata e costituitasi autonomamente sul territorio del

ordine al reato associativo di stampo mafioso di cui al capo D) della rubrica,
nonché in ordine ad alcuni singoli reati-scopo.
Ha rilevato come il Tribunale del riesame aveva ritenuto inadeguati gli indizi di
colpevolezza ravvisati a suo carico per i reati-scopo di usura ed estorsione, a lei
contestati ai capi E), F) ed F1):
Contraddittoriamente pertanto il Tribunale aveva ritenuto che la conversazione
telefonica fra lei e suo padre FASCIANI Carmine, intercettata il 28 novembre
2012, seppure inadeguata per integrare un grave indizio di colpevolezza in

reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., ascrittole al capo D) della rubrica; non
erano stati indicati tuttavia gli elementi caratterizzanti il metodo mafioso, che
sarebbe stato da lei usato, essendosi il Tribunale limitato ad indicare, quale
indizio in tal senso, la conversazione telefonica anzidetta, che sarebbe stata
indicativa dell’esistenza di attività finanziarie e commerciali da lei trattate al di
fuori del circuito legale.
Non era quindi emerso il suo ruolo di promotrice ed organizzatrice
dell’associazione mafiosa di cui era stata ritenuta partecipe; neppure erano state
indicate le specifiche esigenze cautelari e gli indizi tali da giustificare in concreto
la misura cautelare disposta, avendo il Tribunale accorpato in poche righe le
posizioni di tutti i ricorrenti, sia appartenenti al clan mafioso Fasciani, sia
appartenenti al clan mafioso Triassi.

5.TRIASSI Vito con un unico ed articolato motivo lamenta erronea applicazione di
legge e motivazione carente e contraddittoria, in quanto la sua partecipazione
all’associazione mafiosa di cui al capo A) era stata desunta da ondivaghe
dichiarazioni di propalanti.
La sentenza della Corte d’assise di Agrigento del 28 marzo 1996, cui il Tribunale
del riesame di Roma aveva fatto riferimento, non aveva mai citato la sua
persona; nessun rilievo potevano avere le esternazioni di tale CALAFATO,
risalenti ad oltre 20 anni prima; neppure era condivisibile il riferimento alle
dichiarazioni del pentito PAGLIA Adriano, atteso che dalle sue propalazioni erano
stati originati due processi, uno per traffico di droga ed un altro per omicidio di
tale LEONE Nicola, per i quali nessuna condanna era stata emessa nei suoi
confronti; ugualmente inadeguate erano da ritenere le propalazioni di GAROFALO
Giovanni; inoltre le propalazioni di RIVA Raul e PAGLIA Adriano avevano dato
luogo ad un processo penale, nel corso del quale egli era stato mandato assolto
dalla Corte d’appello di Roma; ed in tale processo egli era stato accusato di avere
agevolato l’attività dell’associazione mafiosa facente capo alla famiglia CuntreraCaruana.
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ordine ai reati-scopo anzidetti, costituisse pur sempre indizio adeguato per il

Il Tribunale aveva poi valorizzato le dichiarazioni del pentito CASSIA Sebastiano,
il quale aveva tuttavia dichiarato che i TRIASSI non erano più operativi in Ostia,
salvo che per quanto riguardava il mercato delle armi; tuttavia l’ordinanza
custodiale era stata annullata dal Tribunale nella parte relativa al traffico delle
armi.
Pertanto le dichiarazioni del CASSIA erano da ritenere fallaci ed inattendibili,
siccome riferite a notizie apprese de relato e come tali prive di valenza indiziaria.
L’ordinanza impugnata non aveva poi esaminato quanto da lui riferito circa la

disgregazione della cosca mafiosa Caruana-Cuntrera ed era un vero e proprio
falso storico l’avere ritenuta la stessa ancora in vita.
Egli non aveva mai avuto contestazioni riferite ad ipotesi di favoreggiamento nei
confronti dell’ormai defunto CUNTRERA Paquale; ed era rimasto sfornito di ogni
indizio le accuse nei suoi confronti avallate dal provvedimento impugnato, circa i
contatti da lui tenuti nel 2007 con i CUNTRERA; non erano stati poi indicati
eventuali reati-fine da lui commessi e nessuna sentenza era stata emessa nei
suoi confronti riconducibile ad eventuali reati fine da lui commessi.
Il Tribunale non aveva pertanto indicato sulla base di quali indizi fosse
ravvisabile una sua capacità d’intimidazione non solo potenziale ma anche
effettiva ed attuale; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, peraltro
risalenti agli anni 1994, 1996 e 1998, e quindi legate a fatti remoti nel tempo,
non erano state valutate unitamente ad altri elementi di prova tali da averne
confermata l’attendibilità.

6.11 medesimo TRIASSI Vito, per il tramite del suo difensore, ha depositato il 16
dicembre 2013 ulteriore memoria difensiva, con la quale ha rilevato come il
collaborante CASSIA Sebastiano aveva riesumato vicende giudiziarie conclusesi
con sentenze di assoluzione o di non doversi procedere; le dichiarazioni fatte dal
pentito anzidetto erano riferite ad un periodo (2006-2007) nel quale i TRIASSI
erano stati ormai esclusi definitivamente dagli affari illeciti nella zona di Ostia.
L’ordinanza impugnata aveva poi fatto riferimento ad una sentenza della Corte
d’assise di Agrigento del 28 marzo 1996, nella quale nessuno dei TRIASSI era
stato imputato; alle dichiarazioni rese dal collaborante PAGLIA Adriano, era
seguita l’emissione a suo carico di un provvedimento di custodia cautelare in
carcere per omicidio; da detta accusa tuttavia egli era stato prosciolto nel corso
del processo instaurato; ed analogo esito negativo avevano avuto le propalazioni
dei collaboranti RIVA Raoul e PAGANO Oreste.
Pertanto l’ordinanza impugnata era fondata sulle sole dichiarazioni rese dal
collaborante CASSIA Sebastiano, riferite ad epoca più recente, nella quale non vi
era stata tuttavia alcuna operatività del clan TRIASSI, definitivamente ed

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irrevocabilmente estromesso da qualsiasi attività illecita in Ostia fin dal 2007, si
che detto collaborante aveva avvalorato un’inesistente sua condotta
partecipativa ad un’associazione mafiosa, erroneamente ritenuta tuttora
permanente; d’altra parte il Tribunale aveva annullato l’ordinanza custodiale del
G.I.P. per tutti gli altri indagati, presunti partecipi del sodalizio mafioso in
esame.
Non potevano pertanto ritenersi sussistenti concrete ed attuali esigenze cautelari
a suo carico, non essendo rinvenibile, nel caso in esame, un attendibile quadro

un effettivo e trasparente contraddittorio fra le parti.
Le dichiarazioni accusatorie provenienti da pentiti, per costituire indizi rilevanti,
presupponevano l’assoluto disinteresse della chiamata in correità ovvero in reità
e dovevano essere corroborate da riscontri esterni individualizzanti, idonei a
suffragarne l’attendibilità; il che nella specie non era avvenuto.

7.ROSSI Diego formula 3 doglianze:
I)-erronea applicazione della legge penale, inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità e motivazione contraddittoria ed illogica, in quanto, ai
sensi dell’art. 309 comma 5 cod. proc. pen., il G.I.P. avrebbe dovuto trasmettere
al Tribunale del riesame tutti gli atti da lui presentati ex art. 291 comma 1 cod.
proc. pen., nonché tutti gli elementi sopravvenuti a suo favore; ed ai sensi
dell’art. 309 comma 10 cod. proc. pen., in caso di trasmissione di detti elementi,
l’ordinanza cautelare impugnata avrebbe perso di efficacia; ora il suo difensore,
con istanza del 5 agosto 2013, aveva chiesto al P.M. la trasmissione al Tribunale
del riesame di tutti i supporti e le tracce foniche delle intercettazioni telefoniche
ed ambientali, per consentirne l’esame al Tribunale anzidetto; il che non era
stato effettuato dal P.M.; ed il G.I.P. si era limitato a riportare la richiesta di
misura del P.M., nella quale risultavano richiamati i vari allegati specifici, i quali
tuttavia non erano stati poi trasmessi; ed il Tribunale del riesame nessun
richiamo aveva fatto alle carenze ed omissioni illustrate dal suo difensore nel
corso dell’udienza del 14 agosto 2013; in particolare il suo difensore aveva
segnalato la mancanza dei verbali integrali dell’interrogatorio del pentito
CASSIA; la mancanza di indicazione dello status de libertate del collaboratore
anzidetto, necessaria per valutare la regolarità e validità del suo interrogatorio;
la mancanza di interi verbali, pur elencati dal P.M., in particolare del verbale in
data 26 luglio 2012, con conseguente limitazione del suo diritto di difesa e
perdita di efficacia della misura custodiale impugnata;
II)-erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale, nonché
motivazione carente, contraddittoria ed illogica, non essendo emersi a suo carico
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indiziario, tale da consentire, nell’instaurato procedimento cautelare incidentale,

gravi indizi di colpevolezza ed avendo l’ordinanza impugnata formulato un mero
teorema accusatorio, avendolo ritenuto partecipe a due diversi sodalizi senza i
necessari riscontri, con una motivazione inadeguata e priva di ogni analisi
specifica dei gravi, precisi e concordanti indizi di colpevolezza ritenuti a suo
carico.
Nessun elemento o condotta era stata indicata tale da far ritenere che egli si
fosse avvalso di una condizione di assoggettamento ad omertà, atteso che l’unico
elemento di accusa nei suoi confronti era stato costituito dalle dichiarazioni del

persone offese.
Il tentato omicidio, di cui al capo Z) era stato posto a suo carico sulla base di due
conversazioni telefoniche, alla prima delle quali egli neppure era stato presente.
Nella prima conversazione, svoltasi fra SIBIO Riccardo ed altra persona
all’interno di un’auto, il SIBIO, nel menzionare l’episodio di spari nei confronti di
tale Remo, aveva criticato l’opera di tale Diego, identificato nella sua persona in
modo del tutto apodittico.
Nella seconda conversazione, svoltasi fra di lui e FASCIANI Carmine, era stato
ricordato che la vittima aveva sputato sull’autovettura; il che avrebbe indotto il
FASCIANI a chiedere notizie su dove la vittima abitasse; da tale conversazione
non potevano desumersi gravi indizi di colpevolezza a suo carico per tentato
omicidio, non essendo stata neppure descritta la relativa condotta materiale; del
resto la parte offesa LILLI Remo, presente in udienza, non aveva menzionato
l’episodio dello sputo, sopra riportato.
Quanto poi al reato di partecipazione ad associazione mafiosa ascrittagli al capo
D) della rubrica, mancavano gli elementi atti a connotare in concreto la sua
partecipazione, il ruolo da lui ricoperto, la descrizione della condotta tenuta.
Neppure erano stati indicati indizi significativi in ordine al reato ascrittogli al
capo Al) della rubrica (partecipazione ad un’associazione intesa al traffico di
stupefacenti), non essendo stato indicato il ruolo da lui svolto; inoltre in sede di
perquisizione nulla gli era stato sequestrato e neppure erano state rinvenute
armi a disposizione di tutti, ma solo due armi riferite a due indagati.
Il provvedimento impugnato neppure aveva indicato un’ipotetica attualità della
misura cautelare emessa nei suoi confronti, non essendo state valutate le
esigenze relative e la possibilità di applicargli eventuali misure cautelari meno
gravose;
III)-erronea applicazione della legge penale e processuale e motivazione
contraddittoria ed illogica; invero il Tribunale del riesame aveva liquidato in
poche righe la sua tesi difensiva circa l’insussistenza di riscontri idonei a
supportare le tesi accusatorie, non potendo essere fondata una contestazione di
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pentito CASSIA Sebastiano e non erano state neppure escusse le asserite

tentato omicidio sul solo riferimento a tale “Diego” fatta dal coimputato SIBIO.
Inoltre la mera conoscenza da parte sua di un viaggio fatto in Spagna non
poteva comportare la sussistenza a suo carico del reato di cui all’art. 74 del
d.P.R. n. 309 del 1990; nessun delitto fine gli era stato mai contestato; nessun
quantitativo di stupefacente gli era stato mai sequestrato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.E’ infondato l’unico articolato motivo di ricorso, con il quale FASCIANI Sabrina

in quanto non sarebbero emersi a suo carico validi indizi di colpevolezza per i
reati ascrittile al capo D) della rubrica (art. 416 bis cod. pen.: partecipazione ad
un’associazione di stampo mafioso denominata “clan Fasciani”); al capo Al della
rubrica (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990: partecipazione ad un’associazione
intesa all’importazione di stupefacenti dalla Spagna a fini di spaccio), nonché ai
capi 0), 01) ed R) della rubrica, consistiti in tre episodi di intestazione fittizia a
suo nome di attività commerciali, da ritenere invece nell’effettiva disponibilità di
suo padre FASCIANI Carmine, inteso come il capo indiscusso del clan mafioso di
cui al capo D) della rubrica.
E’ altresì infondato il ricorso proposto dalla medesima nella parte in cui lamenta
motivazione inadeguata circa la sussistenza di valide esigenze cautelari, idonee a
giustificare la misura cautelare adottata.

2.Giova preliminarmente osservare che, in ordine all’applicazione dell’art. 273
cod. proc. pen., per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli
elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce
tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, pur
non essendo di per sé idonei a provare oltre ogni dubbio la responsabilità
dell’indagato ai fini della pronuncia

di una sentenza di condanna, tuttavia

consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo
delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel
frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (principio ampiamente
consolidato; tra le tante: Cass., Sez. VI, 06/07/2004, n.35671).

3.Fatte tali premesse, si osserva che le censure proposte dalla ricorrente innanzi
a questa Corte non sono proponibili nella presente sede di legittimità, essendo
esse riferite al merito.
Questa Corte invero, in considerazione della giurisdizione di legittimità svolta,
può solo verificare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni,
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario emerso a carico
7

censura l’ordinanza emessa nei suoi confronti dal Tribunale del riesame di Roma,

della ricorrente, si da ritenere adeguata la misura cautelare oggetto
dell’impugnazione.
Pertanto il metodo di valutazione è quello indicato dall’art. 606 primo comma
lettera e) cod. proc. pen., riferibile alla motivazione dell’atto impugnato, onde
accertare che essa non sia né manifestamente illogica, né contraddittoria (cfr.,
in termini, Cass. SS. UU. 22.3.2000 n. 11; Cass. 4″ 8.6.07 n. 22500).

4.11 provvedimento emesso dal Tribunale del riesame di Roma, impugnato nella

apprezzato la consistenza degli indizi fino a quel momento emersi a carico della
ricorrente e, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome esente
da illogicità e contraddizioni, li ha ritenuti idonei a fondare, a carico del
ricorrente, le imputazioni di Cui sopra.

5.1 gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Roma a carico della ricorrente per detti
reati sono consistiti:
-nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia CASSIA Sebastiano,
ritenute circostanziate relativamente al loro contenuto, conformi al vero, non
dettate da coartazione ovvero da sentimenti di odio, vendetta od inimicizia.
Il CASSIA ha riferito del sistema di controllo delle attività commerciali ubicate
nel territorio di Ostia posto in essere da FASCIANI Carmine e doti suoi sodali, fra i
quali in prima persona le figlie FASCIANI Azzurra e l’odierna ricorrente FASCIANI
Sabrina; ha altresì riferito del diretto interessamento di tale ultima anche nella
collaterale attività associativa rivolta ad importare sostanze stupefacenti dalla
Spagna;
-negli indizi emersi con riferimento alle ipotesi di intestazione fittizie di aziende
commerciali a lei contestate ai capi 0), 01 ed R) della rubrica e desunti da varie
intercettazioni telefoniche, dalle quali era emerso il rilevante ruolo svolto
dall’odierna ricorrente di principale collaboratrice di suo padre FASCIANI Carmine
nell’attività di acquisizione e di controllo di varie aziende commerciali ubicate nel
territorio di Ostia; è stata indicata come significativa la telefonata del 7
settembre 2012 intercorsa fra l’odierna indagata e suo padre FASCIANI Carmine,
nel corso della quale i due avevano discusso della ripartizione delle attività
commerciali della zona fra di lei, sua madre e la sorella Azzurra, attività
commerciali rispetto alle quali FASCIANI Carmine aveva accuratamente evitato di
apparire quale formale titolare; che non si trattasse poi di attività commerciali
lecite poteva desumersi dall’allarmante quadro delle attività usurarie ed estorsive
che andava mano a mano delineandosi a carico di FASCIANI Carmine e del
sodalizio che a lui faceva capo.
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presente sede, siccome adottato allo stato degli atti, ha correttamente

L’ordinanza impugnata ha fatto poi riferimento, quanto all’episodio di fittizia
intestazione di cui al capo R) della rubrica, concernente il settore della
commercializzazione dei videogiochi, ad un’intercettazione ambientale del
novembre 2012, intercorsa fra FASCIANI Carmine ed il sodale DI SALVO Gabriele
alla presenza dell’odierna indagata, nonché ad un’intercettazione telefonica del
marzo 2013, intercorsa fra quest’ultima ed il titolare della s.r.l. “ROMANA
VIDEOGIOCHI”, fittiziamente intestata a LOBOZZO Fabio, dalla quale era emerso
il rilevante ruolo svolto dall’indagata nella effettiva conduzione e titolarità del

-nelle intercettazioni telefoniche del 16 gennaio 2013, intercorse fra l’odierna
ricorrente ed il coimputato SIBIO Riccardo, nonché fra l’odierna ricorrente e
ROSSI Diego, riferibili al reato associativo in materia di stupefacenti di cui al
capo Al) della rubrica, dalle quali era desumibile come la stessa fosse ben al
corrente che vi era un carico di stupefacente in viaggio dalla Spagna in Italia.

6.Congrua ed adeguata è pertanto la motivazione, con la quale il Tribunale di
Roma ha ritenuto il quadro indiziario emerso a carico della ricorrente così
significativo da consentire l’emissione della misura cautelare della custodia in
carcere, avendo gli elementi di fatto di cui sopra, valutati sia singolarmente che
nel loro insieme, la rilevanza indiziaria ritenuta dai giudici di merito (cfr., in
termini, Cass. 6^ 26.4.06 n. 22256).

7.Le argomentazioni svolte dalla ricorrente per inficiare la consistenza degli
indizi sopra elencati non sono inidonee ad incrinare la coerente ed attendibile
valutazione fattane dai giudici di merito.
La ricorrente ha in realtà proposto chiavi di lettura alternative degli indizi, sopra
descritti, in tal modo svolgendo un’operazione inibita nella presente sede di
legittimità siccome riferita al merito; con particolare riferimento al reato
associativo ascrittole al capo D) della rubrica, si osserva che la stretta contiguità
operativa e d’intenti riscontrata fra la ricorrente e suo padre, ritenuto il capo
della cosca mafiosa di appartenenza, costituisce elemento idoneo a far ritenere
che la stessa abbia condiviso i metodi violenti ed illegali utilizzati da suo padre e
dalla cosca che a lui faceva capo per affermare la propria egemonia sul territorio
di Ostia, controllato da detta cosca.

8.L’ordinanza impugnata ha altresì adeguatamente motivato circa la sussistenza
di valide esigenze cautelari, idonee a giustificare la misura inframuraria adottata.
L’ordinanza ha invero rilevato come l’art. 275 c.p.p., dettato in tema di criteri di
scelta delle misure cautelari da applicare, così come modificato, al terzo comma,
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settore commerciale anzidetto, pur formalmente facente capo a terzi;

dall’art. 2 del decreto legge 23.2.09 n. 11, convertito con modificazioni nella
legge 23.4.09 n. 38, comprende anche il reato di partecipazione ad associazione
mafiosa, contestato all’odierna ricorrente, fra quelli per i quali sussiste la
presunzione di adeguatezza della misura cautelare inframuraria, presunzione
superabile solo se la ricorrente provi la completa insussistenza di esigenze
cautelari nei suoi confronti; il che la ricorrente non ha certamente fatto nella
specie in esame.
Il criterio fissato dal legislatore è dunque riferito alla completa inesistenza di

diversamente la misura cautelare da irrogare, qualora pure ritenesse le
esigenze cautelari in qualche modo ridotte o diminuite.

9.E’ invece fondato l’unico articolato motivo di ricorso, con il quale TRIASSI Vito
lamenta l’insussistenza di indizi sufficienti per ritenerlo partecipe del reato di cui
al capo A) della rubrica, concernente la sua partecipazione all’associazione di
stampo mafiosa nota come “clan Triassi”, intesa quale proiezione sul territorio
laziale della mafia agrigentina ed in particolare del clan “Caruana-Cuntrera”.

10.Si osserva invero che il compendio indiziario ritenuto a carico del TRIASSI è
costituito essenzialmente dalle dichiarazioni rese dal pentito CASSIA Sebastiano;
e la stessa ordinanza impugnata (cfr. pagg. 93 e segg.) ha ammesso che, dalle
propalazione del pentito anzidetto, non emergeva un’attuale operatività del clan
Triassi sul territorio laziale e che, inoltre, il suo perdurante vincolo associativo
con “cosa nostra” pur sussistente, era da ritenere quiescente, nel senso che
avrebbe potuto riprendere effettività ed attualità qualora si fossero modificati gli
equilibri fra le compagini associative criminose presenti sul territorio.

11.Non si condivide la motivazione addotta sul punto dall’ordinanza impugnata,
atteso che il reato di associazione di stampo mafioso intanto può essere
penalmente perseguito in quanto sia attribuibile a soggetti appartenenti ad
un’associazione criminosa, la quale sia proprio in quel momento in grado di
condizionare in modo effettivo e penalmente rilevante la vita delle persone che
vivono sul territorio controllato, non potendo avere alcuna valenza penale
un’associazione criminosa di stampo mafioso allo stato quiescente e non
concretamente operativa.
12.Sono altresì fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con il quale ROSSI
Diego lamenta l’insussistenza a suo carico di validi indizi di colpevolezza in
ordine ai tre reati ascrittigli e precisamente del reato di cui al capo Z) della
10

esigenze cautelari, in tal modo non consentendo all’interprete di graduare

rubrica (tentato omicidio, in concorso con altri, di LILLI Remo); del reato di cui al
capo D) della rubrica (partecipazione all’associazione di stampo mafioso
denominata “clan Fasciani”), nonché del reato di cui al capo Al) della rubrica
(partecipazione ad un’associazione criminosa intesa all’importazione di
stupefacenti dalla Spagna per la successiva distribuzione sul territorio laziale).

13.L’ordinanza impugnata ha esaminato il compendio indiziario emerso a carico
del ROSSI circa la sua partecipazione al tentato omicidio di LILLI Remo alle pagg.

utilizzato nella presente sede cautelare.
Esso invero è basato su di una conversazione ambientale captata a bordo
dell’auto in uso a SIBIO Riccardo il 15 maggio 2013 ed avente ad oggetto un
colloquio fra detto SIBIO ed un suo accompagnatore, con il quale si era fatto
riferimento al ferimento del LILLI; detta conversazione è stata collegata
dall’ordinanza impugnata ad una precedente intercettazione ambientale del 1
novembre 2012, avvenuta presso l’Aurelia Hospital fra FASCIANI Carmine, ivi
ricoverato, l’odierno ricorrente, FASCIANI Alessandro e BARTOLI Silvia, moglie di
FASCIANI Carmine, nel corso della quale si era fatto riferimento al medesimo
ferimento del LILLI, che si sarebbe reso responsabile di uno sgarbo fatto a
FASCIANI Carmine, si che quest’ultimo avrebbe ordinato una spedizione punitiva
nei suoi confronti per punirlo; l’attentato non aveva avuto l’esito programmato,
in quanto il ROSSI non avrebbe permesso a chi stava sparando di fermarsi.
Null’altro è stato riferito in ordine al tentato omicidio in esame, non essendo
state indicate né le precise modalità con cui lo stesso si era verificato, né il ruolo
in concreto svolto dall’odierno ricorrente.
Ritiene pertanto il Collegio che il compendio indiziario in esame sia inadeguato a
fondare la misura cautelare inframuraria impugnata.

14.Inadeguato è altresì il compendio indiziario posto a carico del ROSSI con
riferimento al delitto di partecipazione ad un’associazione criminosa intesa
all’importazione di stupefacenti dalla Spagna in Italia.
Anche con riferimento a detto reato manca ogni precisa annotazione in ordine al
ruolo concreto da lui svolto nel sodalizio anzidetto; a pag. 69 dell’ordinanza
impugnata è stato fatto un accenno alla sua persona, contenuto in una missiva
inviata da FASCIANI Alessandro a suo zio FASCIANI Carmine, nel corso della
quale il ricorrente è stata indicata come persona poco affidabile e quindi da
tenere ai margini, in quanto si sarebbe illecitamente impossessato di C 5.000,00,
provento del traffico di stupefacente.
11

43 e segg.; il compendio indiziario descritto appare tuttavia inidoneo ad essere

Tuttavia né in tale occasione, né alla successiva pag. 75 l’ordinanza impugnata
fornisce dati appaganti circa il suo effettivo ruolo svolto nell’ambito della
compagine associativa anzidetta.

15.Anche con riferimento al delitto di partecipazione all’associazione di stampo
mafioso nota come clan Fasciani l’ordinanza impugnata non ha allo stato
illustrato elementi indiziari idonei a giustificare la misura cautelare impugnata.
Invero la condotta partecipativa ad un’associazione di stampo mafioso, pur

sempre, sotto il profilo oggettivo, l’individuazione di un concreto contributo,
apprezzabile sul piano causale, che l’indagato o l’imputato abbia dato
all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione medesima; nonché, sotto il
profilo soggettivo, che sia desumibile dai fatti la c.d. “affectio societatis”, intesa
come consapevolezza di appartenenza al sodalizio mafioso e come permanente
disponibilità del soggetto ad adoperarsi per l’attuazione del programma del
sodalizio; ed è stato in tale ultima ottica in particolare affermato (cfr. Cass.
SS.UU. 12/7/05, Mannino) che la condotta partecipativa è riferibile solo a colui
che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto
organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno “status” di
appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale da lui svolto, in esplicazione del
quale egli prenda parte attiva al fenomeno associativo, si che non è sufficiente
l’essersi egli messo genericamente a disposizione del sodalizio per il
perseguimento dei comuni fini criminosi, essendo altresì richiesto che, in vista
del perseguimento di tali fini, egli abbia posto in essere azioni concretamente
valutabili in tal senso.

16.Alla luce dei suddetti principi, la motivazione addotta dall’ordinanza
impugnata per ritenere idonei a giustificare l’ordinanza custodiale impugnata gli
indizi ravvisati a carico di ROSSI Diego per ritenerlo intraneo alla cosca mafiosa
indicata in premesse, non appare adeguata, anche nei limiti del giudizio
probabilistico richiesto nella presente fase cautelare.

17.11 Tribunale si è invero limitato a desumere gli indizi a suo carico riportandosi
a quelli, già in precedenza esaminati, relativi al tentato omicidio contestatogli al
capo Z) della rubrica e da ritenere tutt’altro che chiari ed univoci, ritenendoli
dimostratici della forza intimidatrice del clan Fasciani e della condizione di
assoggettamento e di omertà in cu era tenuta la popolazione del litorale di Ostia;
ma trattasi di materiale indiziario inidoneo a provare specifici comportamenti
ovvero fatti concreti significativi, tali da potere essere valutati come indicativi di
12

potendo assumere le più diverse forme ed i contenuti più svariati, richiede pur

un consapevole apporto dato dal ROSSI al perseguimento degli interessi del
sodalizio criminoso di cui è stato ritenuto intraneo.
Gli elementi ravvisati dal Tribunale del riesame, seppur logicamente valorizzabili
quali sintomi di un coinvolgimento del ROSSI in attività illecite, costituenti gli
eventuali reati fine del sodalizio mafioso ipotizzato, non possono essere ritenuti
come il contributo certo da lui offerto all’associazione mafiosa indicata in
imputazione.

che il Tribunale del riesame non abbia preso in considerazione la
documentazione prodotta in sua difesa.

19.Conclusivamente il ricorso proposto da TRIASSI Vito e ROSSI Diego va
accolto, con conseguente annullamento delle determinazioni adottate nei loro
confronti dal Tribunale del riesame di Roma e rinvio degli atti a detto Tribunale
affinché, in piena autonomia di giudizio, esamini nuovamente le richieste di
riesame dai medesimi proposte, colmando le riscontrate carenze motivazionali.
Il ricorso proposto da FASCIANI Sabrina va invece respinto, con sua condanna al
pagamento delle spese processuali.

20.Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 comma 1 ter delle
disposizioni di attuazione cod. proc. pen.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle posizioni di TRIASSI Vito e
ROSSI Diego e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Rigetta il ricorso di FASCIANI Sabrina, che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.
Così deciso il 15 gennaio 2014.

18.Va ritenuto assorbito il primo motivo di ricorso, con il quale il ROSSI lamenta

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