Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13599 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13599 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NEGRO ANTONIO, nato il 15/06/1963
avverso la sentenza n. 8830/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI del
14/12/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 17/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giovanni
D’Angelo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
preso atto che nessuno è comparso per il ricorrente.

Data Udienza: 17/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 2 dicembre 2010 il G.u.p. del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere ha dichiarato Negro Antonio e Della Medaglia Michele colpevoli in
concorso del reato di cui agli artt. 56, 423 e 425 n. 2 cod. pen., così riqualificato
il reato originariamente contestato di incendio aggravato ai danni del locale
commerciale denominato “Red bar” (capo a), e del reato di cui all’art. 4 legge n.

motivo, un palo di ferro di circa un metro (capo b), e li ha condannati,
riconosciuta l’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno equivalente
all’aggravante di cui all’art. 425, comma 2, cod. pen, ridotta la pena per il
tentativo, applicato al solo Della Medaglia l’aumento per la recidiva contestata e
unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena, ridotta per il rito,
rispettivamente di anni tre e giorni venti di reclusione e di anni quattro e giorni
venti di reclusione.

2. La Corte di appello di Napoli con sentenza del 14 dicembre 2011, in
riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena nei confronti di Negro
Antonio ad anni due, mesi otto e giorni venti di reclusione e nei confronti di Della
Medaglia Michele ad anni tre, mesi sette e giorni dieci di reclusione.
2.1. La Corte condivideva la sussumibilità del fatto, come ricostruito in
primo grado alla stregua delle risultanze dibattimentali e non contestato, nella
ipotesi delittuosa ritenuta dal primo Giudice, escludendo che i fatti integrassero
l’ipotesi delittuosa del danneggiamento seguito da incendio, come richiesto negli
interposti atti di appello.
A tal fine, la Corte, richiamato il parametro indicato dall’art. 56 cod. pen. per
la configurabilità del tentativo, riteneva che, secondo il criterio della prognosi
postuma fondato su un giudizio di idoneità alla realizzazione di uno specifico
evento, la configurabilità del tentativo di incendio supponeva la idoneità
dell’azione commessa a pervenire univocamente al risultato, rimanendo,
pertanto, irrilevante ogni considerazione riferita alla mancanza di fiamme dotate
di determinate caratteristiche.
Nel caso di specie, la situazione riscontrata dai verbalizzanti al loro arrivo
aveva segnato il punto massimo della condotta delittuosa: forzatura della
saracinesca in maniera da far entrare nel locale il tubo che aveva consentito di
riversarvi all’interno in modo diffuso il contenuto di due taniche da cinque litri di
olio e gasolio, appiccamento del fuoco a un cestino contenente carta nei pressi
della saracinesca, allontanamento veloce degli imputati.

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110 del 1975 per avere portato fuori dalla loro abitazione, senza giustificato

Tale condotta era certamente finalizzata a determinare un vero e proprio
incendio diffuso in tutto il locale con possibilità per i suoi autori di allontanarsi
con sicurezza ostacolando i soccorritori per la forzatura della saracinesca, come
era stato attestato dal contenuto delle conversazioni intercettate nella sala
colloqui del carcere ove era detenuto Della Medaglia, che riconducevano l’azione
a questioni economiche connesse all’esercizio commerciale, che doveva essere
integralmente distrutto.
Non vi era, quindi, spazio per una qualificazione del fatto in termini di

diretta alla distruzione del bene, mentre l’intervento dei Vigili del fuoco si era
posto come fattore esterno e non voluto dagli agenti, idoneo a evitare la
realizzazione dell’evento dagli stessi perseguito.
2.2. Quanto al reato di cui al capo b), non poteva essere riconosciuta la
scriminante del giustificato motivo del porto del palo di ferro per essere il suo
porto funzionale alla commissione di un’azione delittuosa.
2.3. Il diniego delle attenuanti generiche trovava fondamento nel pessimo
curriculum criminale e nel non sopito proposito criminale, che escludevano anche
la possibilità di formulare un diverso giudizio di comparazione tra le contestate
aggravanti e l’attenuante del risarcimento del danno, mentre poteva essere
rivista e diminuita la pena irrogata.

3. Avverso la sentenza di appello, divenuta irrevocabile per l’imputato Della
Medaglia il 23 luglio 2012, ha proposto ricorso, per mezzo del suo difensore avv.
Angelo Raucci, Negro Antonio, che ne chiede l’annullamento sulla base di due
motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione di legge e
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 423 e
424 cod. pen.
Secondo il ricorrente, il Giudicante ha erroneamente ritenuto configurabile il
reato di cui all’art. 423 cod. pen., che si consuma quando il fuoco assume le
caratteristiche e le dimensioni dell’incendio per la vastità, diffusibilità e difficoltà
di spegnimento, mentre la condotta posta in essere ha integrato la fattispecie del
danneggiamento seguito da incendio.
La Corte, fondando la sua decisione sul pericolo astratto e non sulla verifica
della offensività in concreto, ad avviso del ricorrente, non ha tenuto conto dei
principi di diritto fissati da questa Corte anche in tempi recenti, né ha
considerato le risultanze del rapporto d’intervento dei Vigili del fuoco, che ha
attestato un incendio a un piccolo contenitore di rifiuti contenente materiale
cartaceo, lattine e altro, posto nelle immediate vicinanze della saracinesca del

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danneggiamento seguito da incendio, che supponeva che l’azione non fosse

bar, e non all’interno del medesimo, né le risultanze della verifica dei Carabinieri,
che hanno dato atto del già avvenuto suo allontanamento dal luogo interessato.
Neppure la mancata espansione dell’incendio è stata indotta dal tempestivo
intervento esterno, poiché egli stesso, che poteva innescare un devastante
incendio, ha sempre mantenuto il controllo della situazione dando luogo a un
processo causale finalizzato alla sola azione dimostrativa e intimidatoria e
provocando danni modesti senza la necessità di utilizzare pompe o idranti.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,

legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 4
legge n. 110 del 1975, rilevando che il palo di ferro è stato uno dei mezzi
utilizzati per commettere il reato di cui al capo a), senza essere destinato alla
offesa alla persona.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza o genericità delle
censure, deduzioni e osservazioni che ne esprimono i motivi.

2.

Le censure svolte con il primo motivo attengono alla contestata

qualificazione giuridica del fatto, di cui al capo a), quale incendio ai sensi dell’art.
423 cod. pen., e non quale danneggiamento seguito da incendio ai sensi dell’art.
424 cod. pen., sotto il duplice profilo della incorsa violazione di legge, correlata
al mancato rilievo delle caratteristiche concrete del fatto secondo una
interpretazione teleologica svolta alla luce del bene giuridico della pubblica
incolumità, tutelato dalla norma incriminatrice della fattispecie di incendio altrui,
e dell’incorso vizio motivazionale nella disamina delle emergenze processuali,
quanto alla entità dell’incendio, alla sua mancata espansione, ai danni provocati,
alla condotta tenuta dal ricorrente, dimostrative dell’intento del medesimo di
appiccare il fuoco al solo scopo di danneggiare.
2.1. La Corte di appello, rispondendo alle doglianze svolte in diritto con il
primo motivo di appello dallo stesso ricorrente e procedendo secondo linee
logiche e giuridiche coerenti con la sentenza di primo grado, che, condivisa la
pacifica giurisprudenza circa il connotato delle “fiamme divoratrici”
caratterizzanti l’incendio, aveva rappresentato che si era trattato nella specie di
un tentativo di incendio aggravato con evidente pericolo per la pubblica
incolumità, ha sottoposto a specifica analisi la individuata ipotesi delittuosa.
Con valutazioni in diritto, coerenti con i principi più volte affermati da questa
Corte (tra le altre, Sez. 1, n. 5362 del 07/02/1997, dep. 07/06/1997, D’Avanzo,
Rv. 207813; Sez. 1, n. 16612 del 11/02/2013, dep. 12/04/2013, Sofrà, Rv.
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comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione di

255643), la sentenza impugnata ha ravvisato nel comportamento tenuto dal
ricorrente (in concorso con il coimputato nei cui confronti la sentenza è divenuta
definitiva) gli estremi del tentativo di incendio penalmente punibile, rimarcando,
posto il richiamo all’art. 56 cod. pen., la necessaria valutazione ex ante degli atti
compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, quanto alla loro
idoneità e univocità a causare l’evento lesivo ovvero a realizzare un incendio
secondo il concetto normativamente definito e giurisprudenzialmente delineato;
evidenziando che il criterio della prognosi postuma, fondato su un giudizio di

la configurabilità della ritenuta ipotesi tentata anche in assenza di alcun tipo di
fiamma, rilevandone le caratteristiche con riferimento alla fattispecie consumata,
e non a quella tentata; sottolineando che il tentativo di danneggiamento seguito
da incendio, di cui all’art. 424 cod. pen., si connota diversamente in rapporto
all’azione non distruttiva del bene oggetto dell’azione delittuosa in cui consiste il
danneggiamento per sua intrinseca natura.
2.2. Tali valutazioni resistono alle osservazioni e deduzioni difensive, che,
ribadendo le non contestate caratteristiche che il fuoco deve presentare per
essere qualificabile come incendio e il suo autore punibile per il titolo di cui
all’art. 423 cod. pen., sono prive di alcuna correlazione con le ragioni di diritto,
argomentate in sede di merito a fondamento della operata e confermata
riqualificazione del reato sub a) ai sensi del combinato disposto degli artt. 56,
423 e 425 cod. pen. e del tutto ignorate.
2.3. Neppure sussiste la denunciata carenza e illogicità manifesta della
motivazione.
La Corte di appello, infatti, facendo corretta applicazione dei richiamati
principi di diritto, ha espresso in modo esaustivo le ragioni significative della
decisione adottata, dando conto dell’itinerario interpretativo percorso, del
compiuto vaglio delle deduzioni difensive e dell’analisi valutativa degli elementi
disponibili e utilizzati.
2.3.1. Essa, esaminando – con ragionevole approccio logico e senza
incorrere in omissioni o travisamenti – le emergenze probatorie, delle quali si era
dato ampio conto con la sentenza di primo grado, sintetizzate nella parte
narrativa della sentenza di secondo grado, ha indicato, innanzitutto, quanto
rilevato dai verbalizzanti, che, al momento del loro arrivo, avevano constatato la
forzatura della saracinesca dell’esercizio commerciale sì da far entrare il tubo in
sequestro, utilizzato per l’immissione all’interno di un miscuglio di olio e gasolio
contenuto in due taniche da cinque litri ciascuna, e avevano constatato che il
ricorrente e il coimputato, dopo aver appiccato il fuoco a un cestino contenente
carte in prossimità della saracinesca, si erano allontanati velocemente; ha
sottolineato che l’attività posta in essere, forzando la saracinesca e ricorrendo a
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idoneità dell’azione a pervenire univocamente a uno specifico risultato, consente

una miscela infiammabile e dotata, per la sua quantità, le sue caratteristiche e le
modalità di immissione, di capacità diffusiva per l’intero ambiente, oltre che di
capacità di autoalimentazione con quanto in esso presente, senza prendere
subito fuoco, è stata tale da consentire un allontanamento sicuro degli imputati,
un’ampia diffusione delle fiamme, un ostacolo alle opere di spegnimento; ha
infine evidenziato che l’obiettivo degli imputati di integralmente distruggere,
determinando un incendio, e non di solo danneggiare l’esercizio commerciale, è
rimasto riscontrato dagli sviluppi investigativi e in particolare dai colloqui

Della Medaglia, che avevano permesso di ricollegare l’azione delittuosa a
questioni di natura economica connesse all’indicato esercizio.
Né la Corte ha prescisso dal rilevare, a conclusione del suo apprezzamento,
che l’intervento tempestivo dei Vigili del fuoco, che ha impedito la diffusione
delle fiamme, è stato un fattore esterno, indipendente dalla volontà degli agenti,
che avevano già posto in essere significativi segmenti attuativi della fattispecie
criminosa contestata, e quindi non incidente sulla operata qualificazione del
fatto.
2.3.2. In questo contesto, compiutamente e logicamente rappresentativo
della certa finalizzazione dell’attività tenuta a determinare un incendio per le
caratteristiche di violenza, diffusività e capacità distruttiva che il fuoco avrebbe
potuto avere, non possono trovare accoglimento le deduzioni difensive, che,
senza correlarsi con l’articolato ragionamento probatorio svolto in sede di merito,
che ha valutato, con giudizio ex ante, gli elementi disponibili e li ha raccordati
logicamente, verificandone la tenuta informativa, la valenza probatoria e la
coerenza e compatibilità, infondatamente oppongono una lettura parziale di
alcuni degli elementi utilizzati (quali l’incendio del contenitore esterno, la fuga
dal luogo del fatto rispetto all’arrivo dei Carabinieri), con analisi ex post (quale
quella della entità dei danni provocati), e inammissibilmente tendono a
impegnare questa Corte in una revisione in fatto delle valutazioni effettuate e
delle conclusioni raggiunte dai Giudici di merito, estranea al tema di indagine
legittimamente proponibile in questa sede.

3. Privo di fondatezza è anche il secondo motivo che attiene alla conferma
del giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo b), contestata in
dipendenza dell’utilizzo del palo di ferro di circa un metro, il cui porto
ingiustificato è stato addebitato, per commettere il reato di cui al capo a) senza
essere destinato a offendere una persona.
E’, invero, irrilevante la deduzione che il palo di ferro portato dal ricorrente
fuori della propria abitazione, non fosse, per sua natura, destinato all’offesa delle
persone e non sia stato destinato a tal fine, poiché la legge impone che un
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intercettati nell’istituto penitenziario in cui era rimasto detenuto il coimputato

oggetto atto a offendere per un uso improprio – e tale carattere deve
indubbiamente attribuirsi al palo di ferro – possa essere portato solo in presenza
di un giustificato motivo, che, secondo i principi fissati da questa Corte, ricorre
solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a
regole comportamentali lecite, relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità
di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi
dell’accadimento, alla normale funzione dell’oggetto (Sez. 1, n. 580 del
05/12/1995, dep. 18/01/1996, Paterni, Rv. 203466; Sez. 4, n. 11356 del

14/01/2008, dep. 29/01/2008, Genepro, Rv. 238946), e non quando, come
rilevato correttamente dalla Corte di merito, il porto sia funzionale alla
commissione di azione delittuosa.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

06/10/2005, dep. 31/03/2006, Bucchieri, Rv. 233659; Sez. 1, n. 4498 del

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