Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13598 del 09/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 13598 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIRELLI GIUSEPPE, nato il 04/01/1963
avverso la sentenza n. 11/2012 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
del 13/06/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 09/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Luigi Maria
Flamini, che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del
ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Lucio Mario Epifanio, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 09/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 giugno 2012 la Corte militare d’appello di Roma ha
confermato la sentenza del 4 ottobre 2011 del Tribunale militare di Napoli, che
aveva condannato Cirelli Giuseppe alla pena di mesi cinque di reclusione militare,
condizionalmente sospesa, perché ritenuto responsabile dei reati di ingiuria e
minaccia, di cui all’art. 196, commi 1 e 2, cod. pen. mil . pace, commessi il 25

maresciallo aiutante, in danno dell’inferiore di grado, brigadiere Arcaro Orazio,
nei cui confronti aveva pronunciato frasi offensive e minacciose, anche
afferrando le spalline della giacca a vento indossata dal medesimo.

2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale sulla base delle
dichiarazioni testimoniali assunte:
– i militari Arcaro e Pio, in servizio radiomobile, erano intervenuti per il
segnalato inseguimento di un’autovettura da parte di altro veicolo che aveva
tentato di speronarla;
– dall’autovettura inseguitrice, che era stata fermata, erano scese due
persone in evidente stato di ebbrezza, una delle quali era l’attuale imputato, che,
dopo un diverbio con gli occupanti dell’autovettura inseguita, un uomo e una
donna, aveva rivolto all’Arcaro le frasi offensive e minacciose contestate nel capo
a)

della imputazione, qualificandosi quale maresciallo dei carabinieri con

trent’anni di servizio;
– l’imputato, accompagnato in caserma, aveva opposto il suo rifiuto di
sottoporsi all’esame del tasso alcolico e aveva pronunciato nei confronti dello
stesso Arcaro ulteriori frasi ingiuriose, indicate nel capo b) della imputazione.

3. La Corte militare d’appello, richiamata analiticamente la vicenda
processuale e illustrate le ragioni della decisione e le censure svolte con i motivi
di appello, rilevava che lo stesso appellante aveva confermato lo svolgimento dei
fatti e riteneva corretta la qualificazione giuridica operata dal Tribunale, che
aveva escluso l’estraneità del comportamento dell’imputato al servizio e alla
disciplina, solo rilevando l’inapplicabilità del Codice dell’ordinamento militare,
approvato con d.lgs. n. 66 del 2010, e richiamando le Norme di principio sulla
disciplina militare, di cui alla legge n. 382 del 1978, e in particolare, l’art. 5, alla
cui stregua il regolamento di disciplina trovava applicazione nei confronti dei
militari che si qualificavano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si
rivolgevano ad altri militari in servizio o che si qualificavano come tali.

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novembre 2009, quale comandante della Stazione di Passo Corese con il grado di

Assumeva rilievo la circostanza che l’imputato si era qualificato, sin
dall’inizio della vicenda, con il suo grado poiché egli, facendolo pesare, aveva
tentato di sottrarsi alle conseguenze dell’intervento degli altri militari, invece
doverose per le funzioni rivestite, confermando il nesso con il servizio e la
disciplina, alla luce dei principi fissati da questa Corte, non contrastati dalla
pronuncia n. 16413 del 3 marzo 2005, richiamata in appello, riferita a un caso
analogo in cui non vi era stata tuttavia la spendita del grado sin dall’inizio, né
dall’intervento della Corte cost. con ord. n. 367 del 2001, che aveva dichiarato

artt. 189 e 199 cod. pen. mil . pace, lasciando impregiudicata l’interpretazione
della normativa da parte del giudice.
Neppure rilevava che l’imputato quel giorno si trovasse in riposo, avendo lo
stesso ricondotto la questione in atto nell’ambito della disciplina militare,
richiamando il suo grado e il rapporto gerarchico con la parte lesa, e non era
condivisibile il rilievo dell’appellante in ordine alla esigenza di evitare una diffusa
“soggezione formalistica del militare alla disciplina in ogni momento e aspetto
della sua vita privata”, poiché l’interpretazione accolta escludeva dal nesso con il
servizio e la disciplina le condotte non incidenti su un servizio e tenute senza
spendere il grado.
Non poteva, infine, trovare accoglimento la tesi difensiva secondo la quale
l’imputato voleva solo esternare il suo disappunto, essendo le parole pronunciate
e la condotta tenuta cariche di inequivoco significato penalmente rilevante.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione,
con il ministero del suo difensore, Cirelli Giuseppe, che ne chiede l’annullamento
sulla base di due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione
di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione
agli artt. 484 e 420-ter cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata è nulla perché la Corte militare
d’appello, differendo il processo dall’udienza del 5 aprile 2012 a quella del 13
giugno 2012, a seguito della richiesta di rinvio depositata dal suo difensore per
documentato pregresso impedimento in relazione a un procedimento penale
dinanzi al Tribunale di Isernia, non ha disposto la comunicazione al medesimo
difensore della data della nuova udienza come previsto dall’art. 420-ter cod.
proc. pen.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 196, commi 1 e 2, e 199 cod. pen. mil . pace.

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inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta con riferimento agli

Non è condivisibile, ad avviso del ricorrente, l’analisi svolta dalla Corte
militare in ordine alla portata e al tenore delle contestate violazioni di legge,
poiché questa Corte e la Corte costituzionale hanno escluso la punibilità del fatto
quando l’ingiuria e la minaccia sono indirizzate a un militare in servizio da un
militare non in servizio, ed esso ricorrente, non in servizio e in borghese, pur
menzionando il grado non ha fatto riferimento al valore e al peso dello stesso in
rapporto a quello della controparte e non ha pertanto leso i principi connessi alla

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, attinente alla dedotta nullità della sentenza in
dipendenza della omessa notifica al difensore di fiducia della data della nuova
udienza, fissata a seguito del rinvio disposto per il documentato impedimento
dello stesso per ragioni professionali, è destituito di fondamento.
1.1. Questa Corte ha più volte condivisibilmente affermato che il difensore,
che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo
impedimento a comparire, ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando
non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di rinvio, posto che, nel caso
contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore
previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97, comma 4, cod. proc.
pen., il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore sostituito e nessuna
comunicazione è dovuta a quest’ultimo (Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006,
dep. 09/03/2006, Grassia, Rv. 232906; e, tra le successive, Sez. 6, n. 19831 del
20/03/2009, dep. 09/05/2009, Bartolucci, Rv. 243855; Sez. 5, n. 28818 del
11/05/2010, dep. 08/07/2010, Terlizzi, Rv. 247897), a nulla rilevando che il
giudice abbia comunque disposto la comunicazione della data della nuova
udienza (Sez. 5, n 36643 del 04/06/2008, dep. 24/09/2008, Sorrentino, Rv.
241721; Sez. 5, n. 20863 del 24/02/2011, dep. 25/05/2011, Sechi, Rv.
250451).
1.2. Nel caso di specie risulta dall’esame degli atti, cui questa Corte ha
accesso essendo dedotto, mediante ricorso per cassazione, un

error in

procedendo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., secondo il

consolidato orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. U, n. 42792 del
31/10/2001, dep. 28/11/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 4, n. 47981 del
28/09/2004, dep. 10/12/2004, Mauro, Rv. 230568, e da ultimo Sez. 1, n. 8521
del 09/01/2013, dep. 21/02/2013, Chahid, Rv. 255304), che:
– all’udienza del 4 aprile 2012, fissata nel giudizio di appello con decreto
notificato all’imputato appellante il 16 febbraio 2012 e al suo difensore, avv.

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disciplina militare.

Epifanio, il 13 febbraio 2012, assente l’imputato e il suo difensore, è stato
nominato difensore di ufficio, ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., l’avv.
Roberto Saccomanno ed è stata dichiarata la contumacia dell’appellante;
– con ordinanza in pari data la Corte, accogliendo l’istanza del 14 febbraio
2012 del difensore di fiducia volta a ottenere un rinvio del dibattimento per
pregresso impedimento di natura professionale, ha disposto il differimento del
processo all’udienza del 13 giugno 2012, senza ulteriore avviso alle parti;
– all’udienza così rinviata, nominato all’imputato contumace un difensore di

decisione sulle conclusioni illustrate dalle parti.
1.3. Tali evidenze fattuali escludono ogni fondatezza alla eccezione
difensiva, che, limitata al mero rilievo della incorsa violazione dell’art. 420-ter
cod. proc. pen. per non essere stato il difensore impedito notiziato del rinvio nei
modi e termini di legge, è astratta, senza opporre alcuna alternativa
interpretazione, da ogni correlazione con gli enunciati principi di diritto fondati
su un coordinata disamina delle norme del rito penale, condotta dalle sezioni
unite di questa Corte (Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006, citata), e prescinde da
ogni considerazione delle attività in fatto compiute, tra le quali la pronuncia della
ordinanza di rinvio dell’udienza, con contestuale indicazione della data di rinvio,
in presenza del difensore di ufficio, previamente designato in sostituzione di
quello di fiducia impedito e agente in suo nome e conto.

2. È privo di fondamento anche il secondo motivo, che censura
l’interpretazione che i Giudici di merito hanno fatto dell’art. 199 cod. pen. mil .
pace, sulla base del rilievo che la punibilità del reato di ingiuria e minaccia deve
essere esclusa quando il fatto sia commesso, come nella specie, da un militare
non in servizio nei confronti di un militare in servizio, in coerenza con quanto
affermato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, e non emerga in
concreto dai fatti una menzione del proprio grado da parte del primo verso il
secondo in modo da farne valere il peso in violazione dei principi della gerarchia
militare.
2.1. Questa Corte ha già in altre occasioni affermato che il reato militare di
insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur quando il soggetto
agente commetta il fatto fuori dal servizio, ove si qualifichi come militare nei
confronti dei superiori persone offese (Sez. 1, n. 14351 del 12/03/2008, dep.
07/04/2008, Spano, Rv. 240014; Sez. 1, n. 8495 del 28/09/2012, dep.
21/02/2013, P.G. Mil. in proc. Pozzani, non massimata sul punto).
Il principio affermato è stato logicamente correlato all’indirizzo espresso
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 367 del 2011, che ha dichiarato la

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ufficio ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., il processo è stato assunto in

manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 199
cod. pen. mil . pace, che scrimina per certi reati (tra i quali l’insubordinazione) i
fatti commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare,
osservando che la norma non deve essere interpretata (nel caso della
insubordinazione) nel senso che si deve guardare solo alla condizione della
persona offesa dal reato, potendo rilevare – per una lettura costituzionalmente
orientata – anche la correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore
del fatto e il servizio militare.

(Sez. 1, n. 16413 del 03/03/2005, dep. 02/05/2005, Andresini, Rv. 231573),
alla cui stregua (in fattispecie riguardante un militare in licenza e in abiti civili
che, in stato di ebbrezza alcolica, aveva inveito all’indirizzo di appartenenti
all’Arma dei carabinieri, intervenuti in un locale pubblico su segnalazione di
alcuni avventori) la minaccia o l’offesa all’onore di un superiore (art. 189 cod.
pen. mil . pace) rivolta dal militare appartenente alle forze armate al di fuori
dell’attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all’area degli
interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione
del reato di insubordinazione, prevista dall’art. 199 cod. pen. mil . pace,
coerentemente rimarcandosi che il soggetto agente nella fattispecie non si era
qualificato come militare ed esulava del tutto, nella situazione creatasi, il profilo
della tutela della disciplina.
2.2. L’indicato indirizzo interpretativo è pure confortato dall’art. 5 legge n.
382 del 1978 (contenente norme di principio sulla disciplina militare), e dall’art.
8 d.P.R. n. 545 del 1986 (che ha approvato il regolamento di disciplina militare),
che trovano il loro presupposto di operatività in presenza di una delle seguenti
condizioni: svolgimento da parte del militare di un’attività di servizio, presenza in
luoghi militari, uniforme indossata dal militare, ed esplicita indicazione della
propria qualità di militare in relazione a compiti di servizio ovvero nei rapporti
con altri militari in divisa o che si qualifichino come tali.

3. Alla stregua di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, nel
caso in esame, è del tutto corretta la ritenuta applicabilità delle fattispecie
incriminatrici di cui all’art. 196, commi 1 e 2, cod. pen. mil . pace, per la non
sussistenza della causa di esclusione del reato prevista dall’art. 199 dello stesso
codice, poiché, alla luce delle emergenze fattuali e delle relative fonti di prova,
logicamente utilizzate e valutate per la ricostruzione della vicenda, il ricorrente
ha esternato sin dall’inizio la propria condizione di militare e il proprio grado nei
confronti degli altri militari, al cui indirizzo ha proferito le frasi oggetto delle
contestazioni, e sul cui intervento, attinente al servizio svolto, ha inciso tentando

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Il principio è stato riferito anche a precedente intervento di questa Corte

di ostacolarlo, spendendo il rapporto gerarchico nel contesto della disciplina
militare, in strada e nei locali della caserma.
In tale contesto, non possono trovare accoglimento le obiezioni difensive,
che, mentre ripropongono la interpretazione delle norme incriminatrici e dell’art.
199 cod. pen. mil . pace già sostenuta con i motivi di appello, e oggetto di
esaustiva e ragionata analisi critica da parte della Corte militare, rispetto alla
quale esprimono generiche ragioni di dissenso, si pongono come censure sul
significato e sulla valenza di elementi di fatto utilizzati in sede di merito

valutazione del risultato probatorio, in contrasto con i limiti del sindacato di
legittimità.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 9 luglio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

invocando una non consentita rilettura in fatto della vicenda e una diversa

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