Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13573 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13573 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OLIVERI MAURIZIO N. IL 01/06/1965
avverso la sentenza n. 3370/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 21/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t LA-QA
che ha concluso per
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Data Udienza: 20/12/2013

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1

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato – quanto all’affermazione di responsabilità in ordine al
reato di cui al capo A) (appropriazione indebita aggravata ex art. 61 n.
11 c.p. e dalla recidiva infraquinquennale: fatto denunziato in Palermo il
5 maggio 2006) – la sentenza emessa in data 31 gennaio 2012 dal locale

estinzione per prescrizione del reato di cui al capo B). All’imputato condannato anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile
costituita con le statuizioni accessorie – veniva accordato il beneficio
della sospensione condizionale della pena.
2. Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un difensore
iscritto nell’apposito albo speciale), ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att.
c.p.p.:
I – violazione degli artt. 120 ss. c.p. – 125, 129, 336 ss., 546 c.p.p.,
con vizio di motivazione (lamenta la tardività della querela e la necessità
di retrodatare il tempus commissi delicti, ai fini della decorrenza del
termine di prescrizione a partire dal settembre – ottobre 2005, avendo
la stessa p.o. affermato di aver nutrito dubbi sul corretto adempimento
della prestazione di trasporto del mobilio de quo dopo pochi gironi);
H – violazione degli artt. 646 c.p. – 125, 500 e 546 c.p.p. con vizio
di motivazione (lamentando l’erronea interpretazione delle dichiarazioni
testimoniale acquisite, poiché il sapere processuale valorizzato ai fini
dell’affermazione di responsabilità è stato acquisito solo a seguito di
contestazioni).

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

4

Tribunale- sez. Carini, riducendo la pena per effetto della declaratoria di

2

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è integralmente inammissibile per genericità e manifesta
infondatezza.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA
MOTIVAZIONE

legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo
convincimento.

1.1.

La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni

processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.

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4

1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di

3
1.1.1.

Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione

dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):

doglianza;
(b)

individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale

atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.1.2.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:

<<(...) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa . .4 un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio>>;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.

134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico

3

(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la

4
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(…) 5)
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione
(introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6,
c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a
pena di inammissibilità: «(…) 6) la specifica indicazione degli atti
processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il

ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio
dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando
l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la
decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere
adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso,
della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni
che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse
univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito
circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad
essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n.
26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n.
14561, CED Cass. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che <>.

2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano pie na

11

ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere

12
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»

(Sez. VI,

sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO

argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

3.1.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre

12

3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le

13
1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n.
13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.

«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato dell’art.
533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare
che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone,
ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione
di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui è
permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in
precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. IL sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
r,….
CED Cass. n. 254025) che «La previsione normativa della regola di

13

4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione

14

giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento
nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova
ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’imputato».
IL RICORSO

ricorso.

6. Il primo motivo è manifestamente infondato.

6.1. La presunta tardività della querela sarebbe in ogni caso del tutto
irrilevante poiché il reato, aggravato ex art. 61 n. 11 c.p., è procedibile di
ufficio.

6.2. La questione inerente alla retrodatazione del tempus commissi
delicti

ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, e la

conseguente violazione degli artt. 157 ss. c.p. implicitamente dedotta,
nella parte in cui si lamenta essere già prescritto il reato alla data della
sentenza di appello, non risulta posta in appello (la sentenza impugnata
non ne dà conto, ed in proposito il ricorrente non muove contestazioni).
Questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 34891 del 16 maggio
2013, CED Cass. n. 256096) ha già ritenuto che il giudice di legittimità
può rilevare d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della
pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello,
pur se non dedotta in quella sede, e nonostante l’inammissibilità del
ricorso per cassazione, ma solo se, a tal fine, non occorra alcuna attività
di apprezzamento delle prove finalizzata all’individuazione di un “dies a
quo” diverso da quello indicato nell’imputazione contestata e ritenuto
nella sentenza di primo grado.
Nel caso di specie, la questione – dedotta per la prima volta in sede di

<4 legittimità, e quindi tardivamente - non può essere esaminata d'ufficio, poiché postula di necessità un accertamento in fatto precluso in sede di legittimità. 14 5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l'odierno 15 7. Generico e manifestamente infondato è anche il secondo motivo. La Corte di appello, rifacendosi alla sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, ha indicato le ragioni poste a fondamento del ritenuto accertamento della materialità del fatto contestato e della sussistenza del necessario elemento psicologico, valorizzando essenzialmente, con rilievi sintetici, e pur tuttavia esaurienti, logici, non contraddittori, e quindi p.o., motivata mente ritenuta attendibile, e che non richiedeva l'individuazione di riscontri, ciononostante motivatamente desunti dalle acquisite testimonianze (f. 7) . 7.1. A fronte di tali rilievi, il ricorrente ha reiterato più o meno pedissequamente doglianze già costituenti oggetto di appello, e già disattese dalla Corte di appello, senza adeguatamente confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, il che rende il ricorso privo della necessaria specificità, e senza documentare, nei modi che si è visto essere di rito (cfr. §§ 1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto), eventuali travisamenti. 8. Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della totale inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte chiarito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p.» (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l'inammissibilità del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400). 15 esenti da vizi rilevabili in questa sede, la deposizione dibattimentale della 16 9. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro mille in favore della Cassa P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, udienza pubblica 20 dicembre 2013. delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

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