Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13572 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13572 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAZZERI ELISABETTA N. IL 06/12/1960
avverso la sentenza n. 4186/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
21/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 1.-As
P.30-Qszu
che ha concluso per .11.
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usok..17,1.2.

Udito, per parte civile, l’Avv

Q-4

dt

Data Udienza: 20/12/2013

1

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato – quanto all’affermazione di responsabilità – la sentenza
emessa in data 30 settembre 2009 dal locale Tribunale – sez. Empoli,
che aveva dichiarato l’imputata colpevole di appropriazione indebita
aggravata, con le attenuanti generiche e la pena sospesa; la Corte di

manca un esplicito riferimento all’intervenuto bilanciamento tra le
circostanze concorrenti, ma la Corte di appello mostra implicitamente di
aver ritenuto la prevalenza delle attenuanti generiche.
2. Contro tale provvedimento, l’imputata (con l’ausilio di un difensore
iscritto nell’apposito albo speciale), ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1,
disp. att. c.p.p.:
I – inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 646 e 61 n. 11
c.p. (lamentando l’insussistenza della necessaria interversione del
possesso e l’inconsapevolezza della contestata aggravante).

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA
MOTIVAZIONE
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la

appello ha ridotto la pena. Nelle sentenza di primo e secondo grado

,

2

possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria
valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il
giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo

1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni
processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso
qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della
valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato
probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività
nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché
siano indicate in maniera specifica ed inequívoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.

1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.
pen., Sez. I, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n.
234115; Sez. VI, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n.
249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;

2

4

convincimento.

3
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della

dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

1.1.2.

In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:

«(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
di ufficio»;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione

«(…) 5)

per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione
(introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6,
c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a
pena di inammissibilità: «(…)

6) la specifica indicazione degli atti

processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve
ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio
dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando
l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la
decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere
adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, …—

3

motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno

4
della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni
che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse
univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito
circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad
essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. II, sentenza 2 dicembre 2005, n.
26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n.

Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la

teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba
essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza
che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui
compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è
onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la
completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente
indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in
precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di
autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve
ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo,
a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla
stessa articolazione del ricorso» (Sez. I, sentenza n. 16706 del 18
marzo – 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. I, sentenza n. 6112
del 22 gennaio – 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. V,
sentenza n. 11910 del 22 gennaio – 26 marzo 2010, CED Cass. n.
246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che
deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur
richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale
trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto,
così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative
doglianze; Sez. VI, sentenza n. 29263 dell’ 8 – 26 luglio 2010, CED
Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il
vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza
del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche
sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e

4

14561, CED Cass. n. 623618).

5
non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui
esame diretto è alla stessa precluso; Sez. II, sentenza n. 25315 del 20
marzo – 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di
ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o
travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare
l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia
effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o

In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:

<>

1.2. La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione,
come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono risultare di spessore
tale da risultare percepibili ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le
deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza
vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere
tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un.,

._. ,

sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un.

5

anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione).

6
sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un.,
sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di legittimità, di

<>
(Sez. VI, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED
Cass. n. 254584).

2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, «se il motivo di ricorso si

limita a riprodurre il motivo d’appello, per ciò solo si destina
all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale
è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto
che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente
‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata,
è di fatto del tutto ignorato. Nè tale forma di redazione del motivo di
ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere
invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da
parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di
impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appell

10

delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso)

11
abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del
motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilità. E ciò
per almeno due ragioni. È censura di merito. Ma soprattutto (il che vale
anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello)
non è mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del
vizio di omessa motivazione (e tanto più nel caso della motivazione
cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”,

tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto,
è pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisività del vizio, tale da
imporre diversa conclusione del caso».

2.1.4. Può, pertanto, concludersi che «la riproduzione, totale o
parziale, del motivo d’appello ben può essere presente nel motivo di
ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale
dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo
quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora
indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e
con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei
principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei
provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei
parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda
sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena
applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione»

(Sez. VI,

sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n.
254584).

LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO
3. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 1307 del 26
settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).

11

pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi

12

3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione

impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite
dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il
primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 1309 del 22 novembre
1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. III, sentenza n.
13926 del 10 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).

L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ <>.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
<> sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in

ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10
luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel
testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna è possibile
soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (Cass. pen., Sez. II, sentenza n. 19575 del
21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. II, sentenza n. 16357 del 2
aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si è più recentemente, e conclusivamente, affermato
(Sez. H, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013,
CED Cass. n. 254025) che «La previsione normativa della regola di
giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento
nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova
ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di
condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità
dell’imputato».

IL RICORSO
5. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

6. La Corte di appello ha espressamente e dettagliatamente indicato
le ragioni poste a fondamento del ritenuto accertamento della materialità

<..4 del fatto contestato (f. 5), della sussistenza del necessario elemento psicologico (f. 5 s.) e della configurabilità della contestata circostanza 13 precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed 14 aggravante (f. 6), con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto esenti da vizi rilevabili in questa sede, a fronte dei quali la ricorrente ha reiterato più o meno pedissequamente doglianze già costituenti oggetto di appello, e già disattese dalla Corte di appello, senza adeguatamente confrontarsi con il percorso argomentativo seguito dalla sentenza impugnata, il che rende il ricorso privo della necessaria specificità, e senza documentare, nei modi che si è visto essere di rito travisamenti. La correttezza delle argomentazioni della Corte di appello evidenzia, comunque, a prescindere dal rilievo che precede, la manifesta infondatezza del ricorso. 7. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che ella ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, udienza pubblica 20 dicembre 2013. (cfr. §§ 1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto), eventuali

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