Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1357 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1357 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MINOPOLI EMANUELE, nato a Napoli il 30.3.1988
ZIZOLFI CIRO, nato a Napoli il 28.11.1984

avverso la sentenza del 03/04/2014 della Corte di Appello di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
dott.ssa Paola Filippi che ha concluso chiedendo per Minopoli il rigetto del ricorso
e per Zizolfi l’annullamento con rinvio ai fini della rideterminazione della
sanzione.

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, in data
24.10.2013, pronunciando, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti degli
odierni ricorrenti Minopoli Emanuele e Zizolfi Ciro, li dichiarava responsabili,
entrambi, del reato di cui agli artt. 110, 73 comma 1 bis lett. a) d.P.R. n. 309/90
per detenzione a fini di cessione e vendita di sostanza stupefacente del tipo
marijuana, contenuta in otto bustine, dal peso netto di g. 8.7 con un titolo del

riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309/90 (capo A
dell’imputazione) e, il solo Minopoli Emanuele, anche del reato di cui all’art 73
comma 1 bis lett. a) d.P.R. n. 309/90 per detenzione a fini di cessione e vendita
di sostanza stupefacente del tipo marijuana, contenuta in parte in dodici buste,
dal peso netto di g. 1013,6 con un titolo del 15,7% pari a 160,4 gr di principio
attivo puro ed a 6414,4 dosi medie giornaliere ed in parte in 64 bustine da peso
netto di g. 72,6 con un titolo del 16,6% pari a 12,1 gr di principio attivo puro ed
a 482,9 dosi medie giornaliere (capo B dell’imputazione), e li condannava,
rispettivamente, il primo, unificati i reati nel vincolo della continuazione, alla
pena di anni cinque mesi quattro di reclusione ed euro 30.000,00 di multa ed il
secondo alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed euro 4.000,00 di
multa, comminando le pene accessorie di legge.
Con sentenza del 3.4.2014, la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Napoli, appellata dagli imputati, riduceva la pena
inflitta a Minopoli Emanuele nella misura di anni quattro di reclusione ed euro
14.000,00 di multa e sostituiva la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici
uffici in forma permanente con quella temporanea, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Minopoli
Emanuele, tramite il difensore di fiducia, e Zizolfi Ciro, personalmente,
articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, dísp. att. cod. proc. pen.
Minopoli Emanuele pone a fondamento del ricorso il seguente unico motivo:
Nullità della sentenza per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.
proc. pen. per mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle
attenuanti generiche.
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale non avrebbe fornito motivazione
in ordine alle ragioni del diniego della concessione delle attenuanti generiche di
cui all’art. 62 bis cod. pen..
Zizolfi Ciro pone a fondamento del ricorso i seguenti due motivi:
a. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
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15,9% pari a 1,4 gr di principio attivo puro ed a 55,3 dosi medie giornaliere,

Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni
valutazione sul compendio probatorio, le cui risultanze escludevano la sua
responsabilità nella vicenda.
b. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce che ai fini del trattamento sanzionatorio sarebbe stata
applicata la normativa di cui alla legge n. 49/06, dichiarata costituzionalmente
illegittima con la sentenza n. 32/14 della Corte Costituzionale.
Invoca, quindi, l’applicazione dell’articolo 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990

I ricorrenti, chiedono, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata,
con le conseguenti statuizioni di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Manifestamente infondato è il motivo di doglianza articolato da Minopoli
Emanuele.
La Corte di appello partenopea ha indicato le ragioni ostative alla
concessione delle circostanze attenuanti generiche, individuandole nelle
allarmanti modalità della condotta (inseguimento da parte della p.g. nel tentativo
di sottrarsi al controllo delle forze dell’ordine) ed escludendo la rilevanza della
ammissione degli addebiti stante la flagranza dei reati.
Il ricorrente, peraltro, lamenta, genericamente, che la Corte non avrebbe
esplicitato le ragioni poste a fondamento del diniego.
Ricorda questa Suprema Corte che la concessione o il diniego delle
circostanze attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice di
merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato,
ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso
giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed
alla personalità del reo. Il giudice, pertanto, non è tenuto ad una analitica
valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma,
in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia
l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del
diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in
carenza di stretta contestazione (così, in motivazione, Sez. 3, n. 19639 del
27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).
Nella specie, la Corte territoriale ha specificamente indicato gli elementi
ostativi alla concessione delle attenuanti generiche e la motivazione risulta
adeguata e logica e, pertanto, esente da censure in questa sede.

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nella attuale formulazione con pena edittale più favorevole.

2. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso articolato da Zizolfi
Ciro.
2.1. Va rilevata la aspecificità del motivo ai sensi degli artt. 591 e 581 cod,
proc. pen.
Il ricorrente si limita a censurare, genericamente, la sentenza resa dal
giudice di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe
valutato il compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua
responsabilità, e senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.

senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla
capacità dimostrativa delle prove raccolte.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve
invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità
manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione
argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli
argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle
componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Il perimetro della giurisdizione di legittimità è, infatti, limitato alla
rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi
specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di
competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziarlo.
Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere
rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere
idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa.
Alla rilevata genericità del motivo consegue la inammissibilità dello stesso
per manifesta infondatezza.
2.2. Il secondo motivo di ricorso attiene al trattamento sanzionatorio ed
involge la questione della illegalità della pena inflitta.
Nella sentenza di appello si dà attóré pena inflitta a Zìzolfi Oro è congrua
“anche rispetto ai nuovi parametri sanzionatori conseguenti alla decisione della
Suprema Consulta”.
Va, quindi, affrontata la questione della legalità della pena irrogata.
Tale questione viene, oggi, in rilievo per il mutamento del quadro normativo
di riferimento all’attenzione dell’interprete a seguito della dichiarazione
d’incostituzionalità (Corte Cost. n. 32 del 25 febbraio 2014) del D.L. 30 dicembre
2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies ter (Misure urgenti per garantire la sicurezza
ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
4

Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio,

dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49,
art. 1, comma 1, nonché a seguito della modifica normativa della pena edittale
per le ipotesi di reato sussumibili nella fattispecie astratta di cui al d.P.R. n. 309
del 1990, art. 73, comma 5, stabilita nella misura della reclusione da uno a

misura della reclusione da sei mesi a quattro anni dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36,
art. 1, comma 24 ter, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014,
n. 79. Le modifiche normative da ultimo citate hanno introdotto, una figura
autonoma di reato.
Va rilevato che la pena inflitta a Zizolfi Ciro – riconosciuto colpevole
dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309\90 – è di anni 1 e
mesi quattro di reclusione ed euro 4.000 di multa, partendo dalla pena base di
anni due di reclusione ed euro 6.000 di multa, ridotta di 1/3 per la scelta del rito.
La pena base comminata è quella prevista dalla norma meno favorevole, con
riferimento alla pena edittale prevista dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del
1990, come disciplinato dalla legge n. 49 del 2006, e deve, pertanto, ritenersi
illegale in quanto determinata in applicazione di una disciplina ora modificata in
senso più favorevole.
Infatti, ferma la configurazione del fatto come lieve, norma più favorevole
risulta essere la norma di più recente introduzione (di. 20 marzo 2014, n. 36,
art. 1, comma 24 ter, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014,
n. 79).
La natura autonoma della fattispecie caratterizzata dalla lievità del fatto,
infatti, sottrae quest’ultima al giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 cod.
pen., con l’effetto di imporre l’applicazione della più favorevole disciplina edittale
della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro 1.032,00 ad
Euro 10.329,00 per determinare la pena base.
La qualificazione del fatto come lieve impone ai sensi dell’art. 2, comma 4,
cod. pen, l’applicazione della nuova disciplina, in quanto più favorevole al reo e
l’operazione implica una integrale rinnovazione del giudizio di commisurazione
della pena in funzione della nuova cornice edittale da assumersi a riferimento per
la pena base.
Ne consegue che la pena base dovrà essere rideterminata dal giudice del
merito, il quale, nel determinare la pena, normalmente valuta, con riferimento
alla congruità in concreto della sanzione irrogata, sia il limite minimo che quello
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cinque anni dal di. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 2, ulteriormente ridotta nella

massimo, avendo come riferimento, per la commisurazione, la pena in astratto
stabilita, con la conseguenza che, mutato il parametro di riferimento, il giudice
del merito deve inderogabilmente esercitare il potere discrezionale conferitogli
dagli artt. 132 e 133 cod. pen.
Va precisato, sul punto, come la discrezionalità giudiziale in materia di
commisurazione della pena sia una discrezionalità cd guidata, ossia vincolata,
non già assolutamente libera e affrancata da specifici parametri, perché, ai sensi
dell’art. 132 comma 1 cod. pen., se è vero che il giudice applica la pena

indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale”, secondo i
parametri legislativamente disegnati dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, 2 luglio 2014
n. 43296).
Tale compito deve essere assolto anche quando il trattamento del caso
specifico rientri nella forbice edittale di cui alla disposizione sopravvenuta, tenuto
conto che l’irrogazione di una pena prossima o superiore alla media edittale
richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi
elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della
funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del
10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153) e ciò in sintonia con la giurisprudenza
costituzionale sull’art. 27 Cost., comma 3.
La sentenza nella parte relativa al trattamento sanzionatorio comminato a
Zizolfi Ciro va, dunque, annullata con rinvio per la rideterminazione della pena,
3. La questione della legalità della pena irrogata va, poi, esaminata,
d’ufficio, con riferimento alla posizione del ricorrente Minopoli Emanuele.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la questione è, infatti,
esaminabile anche d’ufficio ai sensi dell’art. 609 comma 2 cod. proc. pen., anche
in caso di inammissibilità del ricorso (Cfr. Sez. U, n. 33040/2015, Rv.264205).
Richiamato il quadro normativo suesposto, va rilevato che la pena inflitta a
Minopoli Emanuele – riconosciuto colpevole delle ipotesi delittuose di cui all’art.
73 comma 1 bis e di cui all’art. 73 comma 5 dpr 309\90, unificate nel vincolo
della continuazione – è di anni quattro di reclusione ed euro 14.000,00 di multa
, partendo dalla pena base per il reato di cui al capo B) anni 5 di reclusione ed
euro 18.000,00 di multa, applicato l’aumento per la continuazione con il capo B)
ad anni sei di reclusione ed euro 21.000,00 di multa, ridotta di 1/3 per la scelta
del rito).
Nella sentenza di appello si dà atto che si riduce parzialmente la pena inflitta
a Minopoli Emanuele con riferimento ai “nuovi parametri del testo previgente di
cui all’art. 73 T.U. stup. a seguito dell’intervento della Suprema Consulta”,

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discrezionalmente nei limiti fissati dalla legge, è anche vero che “esso deve

Tale adeguamento appare, in realtà, solo fittizio, in quanto la pena base
risulta prossima al massimo edittale e non sorretta da specifica motivazione.
Inoltre, l’aumento per il reato meno grave (capo A) che è costituito dalla
ipotesi delittuosa di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309/1990 deve ritenersi
illegale in quanto effettuato sulla base di una normativa ora modificata in senso
più favorevole, a seguito del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, art. 1, comma 24 ter,
convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79.
La sentenza anche nella parte relativa al trattamento sanzionatorio

rideterminazione della pena, richiamando in punto di discrezionalità giudiziale in
materia di commisurazione della pena le argomentazioni già svolte nel paragrafo
che precede.
4. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente
alla determinazione del trattamento sanzionatorio con riferimento ad entrambi
gli imputati, con rinvio alla Corte di appello di Napoli.
5.Con la precisazione, infine, che, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., sul
punto della responsabilità, per entrambi i ricorrenti, deve ritenersi formato il
giudicato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio
con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli; rigetta il ricorso nel
resto.
Così deciso il 25/11/2015

comminato a Minopoli Emanuele va, dunque, annullata con rinvio per la

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