Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13560 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13560 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Catanzaro, avverso la sentenza della medesima Corte — Il Sezione penale in data 04/04/2013, con la quale in riforma della sentenza del Tribunale di
Cosenza — Sezione distaccata di San Marco Argentano – del 09/07/2012,
veniva assolto Genzano Domenico (n. il 19/12/1963) imputato del reato di
appropriazione indebita continuata.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giulio
Romano, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.

Data Udienza: 11/12/2013

OSSERVA:

Con sentenza del 09/07/2012, il Tribunale di Cosenza — Sezione
distaccata di San Marco Argentano – dichiarò Genzano Domenico
responsabile del reato di appropriazione indebita e lo condannò alla pena di
mesi 6 di reclusione ed Euro 500,00 di multa.

di Catanzaro, con sentenza del 04/04/2013, in riforma dell’impugnata
sentenza assolse Genzano Domenico dal reato ascrittogli perché il fatto non
sussiste.
Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di
Appello di Catanzaro deducendo l’omessa valutazione delle dichiarazioni
della P.O., del teste Gallo Marcellino e della documentazione agli atti (in
particolare delle ordinanze del Tribunale di Cosenza del 22.12.2008 e del
26.01.2010 e del verbale dell’ufficiale giudiziario del 26.01.2010). In
particolare il P.G. rileva che la P.O. aveva riferito (all’udienza del 12.12.2011)
che l’imputato lo aveva citato in giudizio (in data 17.07.2008) rivendicando
l’usucapione del fondo e che non riconoscendolo come proprietario si era
appropriato dei prodotti agricoli (nel caso di specie olive o olio) che invece gli
spettavano in forza di un contratto agrario. Il P.G. sottolinea, poi, che il teste
Gallo Marcellino riferiva che l’imputato affermava di essere proprietario del
fondo; circostanza questa confermata sia dal fatto che la P.O. è dovuta
ricorrere al Giudice Civile che lo ha reintegrato nel possesso del fondo del
quale era stato ingiustamente spogliato dal Genzano sia dallo stesso
imputato che nell’atto di opposizione al decreto penale di condanna ha
affermato “che il raccolto dei prodotti del fondo sito in C.da Colabello di San
Marco Argentano non appartengono al querelante bensì al sottoscritto
opponente”. Il P.G. conclude rilevando come da tutto quanto sopra esposto

emerga in modo evidente che l’imputato ha manifestato la chiara volontà di
affermare il dominio sul fondo e sui prodotti agricoli (nel caso di specie le
olive raccolte — o l’olio che da esse si ricavava – nel periodo dello spoglio che
va dal 02.09.2008 al 25.03.2009); sottolinea, quindi, che a fronte di ciò non
era certo necessaria l’eventuale richiesta della P.O. della consegna della
cosa come da contratto.

P

Avverso tale sentenza l’imputato propose gravame. La Corte di appello

Il P.G. ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.

che modifica radicalmente la predetta decisione assolvendo l’imputato è
molto scarna e contraddittoria: nella sentenza si afferma, infatti, che
“l’imputato era solito consegnare alla P. O. non già le olive, ma l’olio prodotto
dalla molitura delle stesse che venivano consegnate al frantoio dallo stesso
imputato; di talchè gravando sul Genzano l’obbligo alla corresponsione della
metà del raccolto delle olive, e non anche l’obbligo di trasferire le stesse per
la molitura al frantoio, l’inerzia del Nudi (che non aveva secondo la Corte
avanzato alcuna richiesta in proposito; affermazione che appare in contrasto
con quanto emerge dalla lettura dei documenti indicati nel ricorso del P.G.,
nds) a fronte del silenzio del Genzano non consente di ritenere integrato il
reato contestato, versandosi in un’ipotesi di mero inadempimento civilistico di
un obbligo di fare”.
Sfugge, con evidenza, alla Corte ciò che ha determinato
l’inadempimento (cioè la pretesa di essere proprietario del fondo), ma soprattutto – che l’imputato non solo non ha adempiuto a ciò che
normalmente faceva (cioè portare le olive al frantoio e consegnare l’olio alla
P.O.), ma si è comunque appropriato delle olive che per contratto doveva
consegnare alla P.O.; e lo ha fatto agendo “uti dominus” come evidenziato
nel ricorso nel quale vengono citati i documenti, le testimonianze e quanto
affermato dallo stesso imputato. Elementi, questi, che non sono stati per
nulla considerati dalla Corte di appello. Si deve rilevare che questa Suprema
Corte ha affermato il principio che in tema di motivazione della sentenza, il
giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, nella
specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi a
prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo
piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal
primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una

Invero a fronte di una sentenza di primo grado di condanna, la sentenza

nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi
conclusioni assunte (Sez. 6, Sentenza n. 46742 del 08/10/2013 Ud. – dep.
22/11/2013 – Rv. 257332).
L’imputato ha, dunque, manifestato chiaramente di voler utilizzare i beni
“uti dominus” allo scopo di trarne un’illegittima utilità ben sapendo che non ne
aveva alcun diritto. In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato

consistente nella mera interversione del possesso, che sussiste anche nel
caso di una detenzione qualificata, conseguente all’esercizio di un potere di
fatto sulla cosa, al di fuori della sfera di sorveglianza del titolare. Pertanto si
ravvisa la condotta appropriativa nella ritenzione di un autoveicolo, utilizzato
“uti dominus” nonostante la risoluzione del contratto di “leasing” e la richiesta
di restituzione del bene (Sez. 2, Sentenza n. 13347 del 07/01/2011 Ud. – dep.
01/04/2011 – Rv. 250026). Inoltre, sempre secondo il costante insegnamento
di questa Corte Suprema, ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico
dell’appropriazione indebita è sufficiente la coscienza e volontà di
appropriarsi del denaro o (come nella specie) della cosa mobile altrui,
posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo
scopo di trarre per sè o per altri una qualsiasi illegittima utilità (Sez. 2,
Sentenza n. 4996 del 25/03/1974 Ud. – dep. 12/07/1974 – Rv. 128040; Sez.
2, Sentenza n. 27023 del 27/03/2012 Ud. – dep. 10/07/2012 – Rv. 253411).
La sentenza deve essere, pertanto, annullata con rinvio ad altra Sezione
della Corte di Appello di Catanzaro

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di
Appello di Catanzaro

Così deliberato in camera di consiglio, l’11/12/2013.

il principio che integra il reato di appropriazione indebita la condotta

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