Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13555 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13555 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DELL’ANNA MASSIMO N. IL 23/01/1977
avverso la sentenza n. 1475/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
15/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in perso a del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 26/11/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.
Luigi Riello, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24.2.2011, il Tribunale di Gorizia dichiarò Dell’Anna
Massimo responsabile dei reati di circonvenzione di incapace, e lo condannò
alla pena di anni due mesi due di reclusione ed € 700,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte
d’Appello di Trieste, con sentenza del 15.11.2012, confermava la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo la manifesta illogicità
della motivazione e il travisamento dei fatti, sia in riferimento all’elemento
dell’induzione che in riferimento all’infermità psichica della persona offesa,
successiva al compimento da parte della stessa di alcuni atti (di cui peraltro
non si conosce il beneficiano) di carattere patrimoniale, nonché in merito alle
dichiarazioni del dott.Ponte (medico curante della Galvani, che ha stilato il
9.2.2005 nel quale riferiva una buona capacità di intendere e di volere della
stessa) e del notaio Grimaldi, il quale ha riferito che nel febbraio 2005 la
Galvani era pienamente cosciente di ciò che stava compiendo. Infatti, “le
dichiarazioni dei due testi della difesa sono apparse subito attendibili e
veritiere proprio perché molto ben dettagliate, prive di reticenze e
ampiamente analizzate sia in corso di dibattimento che in sede di discussione
finale”. Non vi è la prova né della pregiudizialità degli atti di disposizione
patrimoniale, né dell’abuso della minorazione e dell’induzione.
Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.

inammissibile, o in subordine il rigetto

Motivi della decisione

Le doglianze del ricorrente, laddove censurano la congruità
dell’argomentare del giudicante, nonché il travisamento dei fatti, sono

La motivazione della sentenza impugnata, la quale va, poi,
necessariamente integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti,
di primo grado (Cass. Sez.I, Sent.n.8886/ 2000, Sangiorgi, Rv. 216906), appare
infatti coerente e rispondente agli elementi presi in considerazione e non
denota un deficit valutativo da parte del giudice di merito la cui decisione è
stata resa all’esito di un approfondimento del quadro probatorio e degli
elementi che avrebbero potuto essere oggetto di interpretazione alternativa.
La Corte territoriale ha, infatti, risposto esaurientemente a tutti i rilievi
sollevati dalla difesa, e ha illustrato con motivazione ampia ed esente da
evidenti vizi logici le ragioni per le quali è giunta all’affermazione di
responsabilità, rilevando che tutti gli atti di disposizione patrimoniale
realizzati da Galvani Lidia si situano temporalmente tra la fine del 2004 e gli
inizi del 2005 allorchè aveva 85 anni; in tale arco di tempo la Galvani ha
effettuato numerosi prelievi e disinvestito tutto il suo patrimonio in titoli
presso l’unico istituto di credito con il quale risultò intrattenere rapporti
(suscitando le perplessità del personale della banca in questione e del suo
direttore che quindi in data 5.2.2005 denunciò il fatto ai Carabinieri), nominò
Dell’Anna Massimo erede universale, diede mandato ad un’agenzia
immobiliare per la vendita della casa, unico bene immobile di sua proprietà.
Nessun dubbio che all’epoca la Galvani non fosse in grado di gestire i suoi
affari per l’ingravescenza della malattia di Alzheimer da cui era affetta, come
risulta dalla consulenza tecnica del dott. Bernardo Spazzapan (che ha visitato
la Galvani il 2.3.2005), dalle dichiarazioni dell’assistente sociale, dal fatto che
già nell’ottobre 2005 venne nominato un tutore provvisorio e che la parte
offesa (dichiarata interdetta con sentenza del 30.12.2006) già nel corso

infondate e non possono pertanto trovare accoglimento.

dell’esame nella prima udienza aveva mostrato di non comprendere il valore
del danaro. A fronte di tali elementi le attestazioni del notaio sono state
logicamente ritenute inattendibili, in quanto provenienti da persona dalla
quale non ci si poteva attendere dichiarazione di segno opposto che avrebbe
avuto conseguenze a suo carico per aver raccolto una dichiarazione

dichiarazioni “sono più sfumate”, avendo egli “fatto cenno ai comportamenti
“strani” della sua paziente precisando poi che il certificato del 9.2.2005
potrebbe riferirsi a condizioni risalenti a qualche mese prima” (v.pag.8 della
sentenza impugnata e pag.7 della sentenza di primo grado). Anche in
relazione all’abuso di tale stato da parte del Dell’Anna, la sentenza è
ampiamente motivata, essendo stati indicati e diffusamente illustrati tutti gli
elementi emergenti dalle risultanze processuali e deponenti in tal senso (la
fittizia residenza del Dell’Anna a casa della Galvani; l’essere stato nominato,
il Dell’Anna, erede universale della Galvani; l’aver accompagnato
assiduamente la donna in banca, insistendo anche per assistere ai suoi
colloqui con il direttore della banca, e facendo quindi telefonare al direttore
medesimo da un complice, il quale nel corso della telefonata assumeva di
essere il padre del Dell’Anna, commercialista e curatore degli interessi
dell’anziana signora, e sollecitava il rapido smobilizzo dei titoli; l’aver
suggerito alla donna di tenere i soldi in casa e non in banca o alla posta; il
fatto che tutto il denaro prelevato dalla Galvani è sparito e non risulta
investito a favore della donna, tant’è che negli ultimi anni della sua vita la
Galvani ha avuto bisogno dell’aiuto del Comune per vivere).
Al Dell’Anna è stata contestata la recidiva reiterata specifica
infraquinquennale, ritenuta dai giudici di merito, in quanto i fatti appaiono
espressione di quella negativa personalità che si evince dai precedenti, e
applicata secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti più favorevole al
reo (e pertanto è stato applicato per la recidiva l’aumento di pena di soli due
mesi di reclusione). Ne consegue che per il reato contestato non è ad oggi

testamentaria da persona incapace; lo stesso dicasi per il dott.Ponte, le cui

decorso il termine massimo di prescrizione di anni quindici, tale essendo il
termine sia ove lo si calcoli secondo l’art.157 c.p. vecchia formulazione
(essendo i reato punito con una pena nel massimo superiore ad anni cinque)
o secondo la normativa ex art.6 della 1.251/2005 (pena nel massimo anni sei
aumentata di anni tre per la recidiva, che nella formulazione della norma

metà. Sulla pena di anni nove, va poi calcolato l’aumento di due terzi ai sensi
dell’art.161 co.2 c.p.)
Il ricorso va pertanto rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così del,4erato, il 26.11.2013

vigente all’epoca dei commessi reati prevedeva l’aumento di pena fino alla

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