Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13478 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13478 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro
nei confronti di
Prestinenzi Domenico, nato il 28 agosto 1962
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 27 agosto 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv.ti Antonino Crudo e Antonio Mazzone.

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 27 agosto 2015, il Tribunale di Catanzaro ha annullato
l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale, con la quale – per la parte che qui rileva era stata applicata all’indagato Prestinenzi la misura degli arresti domiciliari, in
relazione ai reati di: associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti
(art. 74, commi 1, 2, 3, del d.P.R. n. 309 del 1990); traffico di sostanze stupefacenti
(artt. 110, 112, primo comma, n. 1, 81, secondo comma, cod. pen., 73, commi 1 e 6,

un’associazione italo-colombiano-venezuelana che effettuava l’importazione di ingenti
quantitativi di cocaina in Calabria, dove lo stupefacente era smistato per la
commercializzazione in Italia e all’estero, nonché di un episodio di importazione di un
ingente quantitativo di stupefacenti dall’America Latina. Gli indizi dei reati
consistevano negli esiti di attività sotto copertura, che avevano consentito l’arresto di
un soggetto, poi condannato, in altro procedimento, in primo grado e in appello,
nonché in intercettazioni e nelle dichiarazioni accusatorie rese da tale Trimboli
Domenico. Il Tribunale del riesame ha annullato il provvedimento impugnato, per
mancanza delle esigenze cautelari, essendo i fatti risalenti nel tempo e non essendovi
sufficienti indizi dell’appartenenza dell’indagato all’associazione criminale.
2. – Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato.
Quanto alla sussistenza di indizi del reato associativo in capo all’indagato, si
premette che la stessa può essere desunta anche dalla commissione di un singolo
episodio criminoso, purché significativo. E tale sarebbe l’acquisto di ben 1000 kg di
cocaina, nel quale l’indagato avrebbe, insieme con altri, svolto, attivamente e in prima
persona, il ruolo di destinatario finale e organizzatore dell’operazione. Quanto
all’attualità delle esigenze cautelari, la stessa sarebbe stata esclusa dal Tribunale
senza tenere conto dell’inserimento dell’indagato in un contesto criminale di tutto
rilievo; circostanza dimostrata dalla sua partecipazione all’acquisto di ben 1000 kg di
cocaina.
3. – I difensori dell’indagato hanno depositato memoria, con cui eccepiscono la
genericità del ricorso, nel quale non sarebbero indicati gli elementi di prova a
sostegno dell’ipotizzata partecipazione al reato associativo. Mancherebbero, in
particolare, l’organicità, la stabilità e la permanenza del vincolo, a fronte di un

80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990). Si tratta, secondo l’ipotesi accusatoria, di

soggetto incensurato che avrebbe commesso un unico episodio di traffico di
stupefacenti negli anni 2007-2008.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è fondato.
Deve premettersi che, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure
cautelari personali, la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo, nell’art. 274, lettera
c), cod. proc. pen., il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha

emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al
momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto
contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare. Come la giurisprudenza di
questa Corte (sez. 5, 24 settembre 2015, n. 43083, rv. 264902) ha di recente
affermato, non è, però, possibile enfatizzare oltremodo la portata innovativa delle
modifiche introdotte con riguardo all’attualità del pericolo di recidiva, che parte della
giurisprudenza e la dottrina riteneva attributo implicito della “concretezza” richiesta
dalla disposizione citata per la sua configurabilità. E ciò, anche a fronte
dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito della concretezza non si
identificava, nel regime anteriore alla riforma, con quello dell’attualità, derivante dalla
riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati,
ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile
affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui
si procede (ex multis, sez. 6, 5 aprile 2013, n. 28618, rv. 255857; sez. 1, 3 giugno
2009, n. 25214, rv. 244829). In tal senso, successivamente alla novella, una recente
pronuncia ha inteso precisare che, per poter affermare che un pericolo “concreto” di
reiterazione di condotte criminose sia anche “attuale”, non è più sufficiente ritenere con certezza o alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti
l’occasione, ma è altre& necessario, anzitutto, prevedere (negli stessi termini di
certezza o alta probabilità) che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti
effettivamente (sez. 3, 19 maggio 2015, n. 37087). Nondimeno, tenuto conto delle
peculiarità della fattispecie oggetto di ricorso e dell’effettivo contenuto delle censure
del ricorrente, deve osservarsi come già nell’assetto normativo previgente, ai sensi
dell’art. 292, comma 2, lettera

c), sul giudice incombeva l’onere di specifica

motivazione sull’attualità delle esigenze cautelari in ragione del tempo trascorso dalla
consumazione del reato contestato (sez. 6, 1 ottobre 2015, n. 44605, rv. 265350).

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evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice

Deve anche ricordarsi che, in generale, in tema di misure coercitive, la distanza
temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente
dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso
obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della
misura (sez. 4, 12 marzo 2015, n. 24478, rv. 263722).
Si tratta, peraltro, di principi interpretativi che non sono messi in dubbio nel
caso in esame, in cui le censure del pubblico ministero ricorrente si incentrano sui vizi

cautelari.
3.1. – Il primo rilievo contenuto nel ricorso attiene alla sussistenza di indizi del
reato associativo in capo all’indagato, che può essere desunta – secondo la
prospettazione del ricorrente – anche dalla commissione di un singolo episodio
criminoso, purché significativo.
3.1.1. – Devono preliminarmente essere delineati la portata e l’ambito di
applicazione del reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, che rappresenta una
figura speciale rispetto all’ipotesi-base di cui all’art. 416 cod. pen., caratterizzata da
alcune peculiarità. In particolare, se nell’associazione a delinquere occorre verificare
che il singolo delitto commesso rientri fra quelli di scopo, tutti i delitti concernenti le
sostanze stupefacenti rientrano senz’altro nella finalità sociale del delitto associativo
qui in esame. Il procacciamento e commercio dello stupefacente necessita di una
predisposizione di mezzi non particolarmente significativa e di uno scarso
approntamento di strumenti di tutela ed offesa, cosicché l’organizzazione di mezzi può
anche essere minimale, a fronte di una non spiccata (ma presente) fidelizzazione, che
non esclude il perseguimento d’interessi individuali degli associati, anche contrapposti
a quelli del gruppo (ex multis, sez. 4, 15 maggio 2014, n. 36341, rv. 260268; sez. 2,
27 marzo 2013, rv. n. 16540; sez. 1, 7 luglio 2011, n. 30463, rv. 251011; sez. 1, 22
dicembre 2009, n. 4967, rv. 246112; sez. 6, 13 febbraio 2009, n. 25454, rv.
244520). La specificità dell’illecita attività perseguita attraverso il commercio illecito
non richiede, inoltre, alcuna stipula di un patto espresso fra gli associati, essendo,
all’evidenza, bastevole la condivisione dell’attività stessa (sez. 6, 17 giugno 2009, n.
40505, rv. 245282). Infine, l’elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata
al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante
ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non è
incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione (ex multis,

motivazionali, dando per scontata la rilevanza del profilo dell’attualità delle esigenze

sez. 1, 3 luglio 2013, n. 43850, rv. 257800; sez. 6, 14 gennaio 2008, n. 6867, rv.
239670).
3.1.2. – Ricostruita la fattispecie alla luce di tali principi, deve rilevarsi che la
motivazione dell’ordinanza impugnata presenta profili di intrinseca contraddittorietà. Il
Tribunale esclude la sussistenza di gravi indizi del reato associativo, affermando
l’occasionalità della partecipazione dell’indagato al reato-fine contestato; in
particolare, a fronte di risultanze investigative che coprono un vasto arco temporale

dell’indagato, cosicché mancherebbe prova del contributo apprezzabile al
mantenimento in vita del sodalizio, che è comunque richiesto per la fattispecie
associativa. Si tratta di affermazioni che si pongono in contrasto con quanto rilevato
nella stessa ordinanza circa le modalità di commissione del reato-scopo contestato
(capo 10 dell’imputazione provvisoria). La rubrica di tale capo fa riferimento, fra
l’altro, agli artt. 110, 112, primo comma, n. 1), 81, secondo comma, cod. pen., 73,
commi 1 e 6, 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del 1990), ovvero ad un’ipotesi di reato
continuato, consistente nella commissione di più fatti in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, diretti all’importazione nel territorio nazionale di complessivi 1000
kg di cocaina. E la rubrica stessa reca l’indicazione di un periodo di commissione dei
reati piuttosto lungo (dall’inizio del febbraio 2007 al luglio 2008). Inoltre, nella stessa
descrizione delle condotte specificamente tenute da Prestinenzi, il Tribunale evidenzia
che questo aveva coadiuvato il coimputato Logozzo nel mantenere stretti contatti con i
soggetti presenti nel Nord Italia al fine di organizzare le fasi inerenti all’arrivo dello
stupefacente in Italia secondo modalità concordate con i fratelli Cortese (ai quali è
contestato un ruolo di promotori, direttori, organizzatori e finanziatori
dell’associazione per il traffico di stupefacenti di cui al capo 1 dell’imputazione
provvisoria), con cui lo stesso Prestinenzi intratteneva collegamenti variamente
documentati. Quest’ultimo non si era, comunque, limitato ad un singolo isolato
episodio, ma aveva effettuato numerosi viaggi captati dagli inquirenti in località del
Nord Italia e in Spagna unitamente a Logozzo, utilizzando allo scopo diverse auto, fra
le quali una recava al suo interno apparecchiature di geolocalizzazione, che avevano
fatto desistere i correi dal proseguire nel suo uso. Tale impianto accusatorio è, del
resto, ritenuto dal Tribunale sufficiente ai fini della sussistenza di gravi indizi del reato
continuato contestato. Dalla descrizione dei fatti che emerge nella stessa ordinanza
risulta, dunque, una prima evidente contraddizione intrinseca nel percorso
motivazionale: da un lato, si afferma che vi sarebbe l’unicità della condotta di

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con la persistenza delle condotte di taluni, vi sarebbe l’unicità della condotta

Prestinenzi, mentre dall’altro si dà atto della sua partecipazione, in più fasi e
nell’ambito di un lasso di tempo piuttosto lungo, alla commissione di più condotte di
reato – la cui esatta ricostruzione ai fine della qualificazione in termini di tentativo o di
reato continuato dovrà essere oggetto di ulteriori approfondimenti nella fase di merito
– dirette, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, alla complessiva
importazione di ben 1000 kg di cocaina. Un ulteriore profilo di incoerenza riguarda
l’asserita mancanza di prova di un apprezzabile contributo al mantenimento in vita del

dell’esistenza di rapporti tra l’odierno indagato e alcuni di essi – in particolare Logozzo
e i Cortese – nonché dell’organizzazione di mezzi consistenti in diverse automobili
messe a disposizione del gruppo, sulle cui modalità d’uso i partecipanti al sodalizio si
sono confrontati direttamente. E, in ogni caso, l’ingentissimo quantitativo di
stupefacente oggetto dei reati-scopo, che costituisce di per sé un indizio
dell’inserimento degli autori di tali reati nell’ambito di un’associazione criminale,
avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad evidenziare elementi specifici di segno
contrario a sostegno della ritenuta insussistenza dell’associazione in questione.
Deve, peraltro rammentarsi in punto di diritto – per il caso in cui il Tribunale,
all’esito del giudizio di rinvio, ritenga sussistenti gravi indizi di colpevolezza per il reato
associativo – che, qualora sia stata applicata una misura cautelare per uno dei delitti
indicati nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (nella specie, art. 74 d.P.R. n. 309 del
1990), non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza
del tempo trascorso dalla commissione del fatto, così come richiesto dall’art. 292,
comma 2, lettera c), dello stesso codice, in quanto per tali reati vale la presunzione di
cui al predetto art. 275, che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo
prova contraria, fermo restando che il tempus commissi delicti può costituire un
elemento specifico dal quale desumere l’insussistenza delle esigenze cautelari
(argomento ex sez. 3, 1 aprile 2014, n. 27439, rv. 259723).
3.2. – Analoghe considerazioni valgono per la motivazione relativa alla
sussistenza dell’attualità delle esigenze cautelari in relazione al reato-scopo, che è
stata esclusa dal Tribunale «in ragione della risalenza della condotta contestata negli
anni 2006-2007».
Anche a prescindere dal problema della configurabilità del reato associativo nel
caso di specie, la gravità, le particolari modalità e l’oggetto (ben 1000 kg di cocaina)
delle condotte contestate descritte nell’ordinanza impugnata avrebbero dovuto indurre
il Tribunale ad effettuare un argomentato giudizio di bilanciamento tra l’elemento

sodalizio, a fronte dell’accertata divisione di ruoli fra i compartecipi ai reati-scopo,

rappresentato dal tempo effettivamente trascorso da tali condotte (contestate come
commesse tra l’inizio del mese di febbraio 2007 e il mese di luglio 2008) e quello, di
valenza opposta, rappresentato dal loro inserimento in un contesto criminale di alto
livello, dotato di contatti internazionali di primo piano e di una organizzazione di
uomini e mezzi.
5. – Conseguentemente, l’ordinanza deve essere annullata, con rinvio al
Tribunale di Catanzaro, perché proceda a nuovo giudizio sia in relazione alla

sussistenza delle esigenze cautelari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

sussistenza degli indizi del reato associativo sia, più in generale, in relazione alla

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