Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13476 del 20/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13476 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro
nei confronti di
Gorgaj Aldo, nato 1’11 aprile 1978
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 27 agosto 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 20/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 27 agosto 2015, il Tribunale di Catanzaro ha annullato
l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale, con la quale – per la parte che qui rileva era stata applicata all’indagato Gorgaj la misura della custodia cautelare in carcere, in
relazione ai reati di: associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti
(art. 74, commi 1, 2, 3, del d.P.R. n. 309 del 1990; capo 1 dell’imputazione
provvisoria); traffico di sostanze stupefacenti (artt. 110, 112, primo comma, n. 1, 81,

1990; capo 13). Si tratta, secondo l’ipotesi accusatoria, di un’associazione italocolombiano-venezuelana che effettuava l’importazione di ingenti quantitativi di
cocaina in Calabria, dove lo stupefacente era smistato per la commercializzazione in
Italia e all’estero, nonché di un episodio di importazione di un ingente quantitativo di
stupefacenti dall’America Latina (tra il giugno 2009 e il luglio 2009). Gli indizi dei reati
consistevano negli esiti di attività sotto copertura, che avevano consentito l’arresto di
un soggetto, poi condannato, in altro procedimento, in primo grado e in appello,
nonché in intercettazioni e nelle dichiarazioni accusatorie rese da tale Trimboli
Domenico. Il Tribunale del riesame ha annullato il provvedimento impugnato, per
mancanza delle esigenze cautelari, essendo i fatti risalenti nel tempo e non essendovi
sufficienti indizi dell’appartenenza dell’indagato all’associazione criminale.
2. – Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato.
Quanto alla sussistenza di indizi del reato associativo in capo all’indagato, si
premette che la stessa può essere desunta anche dalla commissione di un singolo
episodio criminoso, purché significativo. E, nel caso di specie, vi sarebbe il contenuto
inequivoco dei contatti tenuti dall’indagato, che dimostrerebbe che egli non aveva
posto in essere una semplice mediazione occasionale, finalizzata ad un unico acquisto
di stupefacente, ma aveva instaurato un vincolo permanente con i concorrenti. Né tale
circostanza potrebbe essere messa in dubbio per il fatto che, nel momento in cui
l’operazione di traffico di stupefacenti non stava andando a buon fine, il gruppo degli
albanesi insorse contro Cortese Francesco e lo prese in ostaggio. Tale elemento
confermerebbe, anzi, l’esistenza del vincolo associativo. Quanto alle esigenze cautelari
relative al reato-fine di cui al capo 13, non si sarebbe considerato che il Gip aveva
fornito adeguata motivazione circa la particolare gravità della condotta.

secondo comma, cod. pen., 73, commi 1 e 6, 80, comma 2, del d.P.R. n. 309 del

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
Deve premettersi che, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure
cautelari personali, la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo, nell’art. 274, lettera
c), cod. proc. pen., il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha
evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice
emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al

contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare. Come la giurisprudenza di
questa Corte (sez. 5, 24 settembre 2015, n. 43083, rv. 264902) ha di recente
affermato, non è, però, possibile enfatizzare oltremodo la portata innovativa delle
modifiche introdotte con riguardo all’attualità del pericolo di recidiva, che parte della
giurisprudenza e la dottrina riteneva attributo implicito della “concretezza” richiesta
dalla disposizione citata per la sua configurabilità.

E

ciò, anche a fronte

dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito della concretezza non si
identificava, nel regime anteriore alla riforma, con quello dell’attualità, derivante dalla
riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati,
ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile
affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui
si procede (ex multis, sez. 6, 5 aprile 2013, n. 28618, rv. 255857; sez. 1, 3 giugno
2009, n. 25214, rv. 244829). In tal senso, successivamente alla novella, una recente
pronuncia ha inteso precisare che, per poter affermare che un pericolo “concreto” di
reiterazione di condotte criminose sia anche “attuale”, non è più sufficiente ritenere con certezza o alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti
l’occasione, ma è altresì necessario, anzitutto, prevedere (negli stessi termini di
certezza o alta probabilità) che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti
effettivamente (sez. 3, 19 maggio 2015, n. 37087). Nondimeno, tenuto conto delle
peculiarità della fattispecie oggetto di ricorso e dell’effettivo contenuto delle censure
del ricorrente, deve osservarsi come già nell’assetto normativo previgente, ai sensi
dell’art. 292, comma 2, lettera

c), sul giudice incombeva l’onere di specifica

motivazione sull’attualità delle esigenze cautelari in ragione del tempo trascorso dalla
consumazione del reato contestato (sez. 6, 1 ottobre 2015, n. 44605, rv. 265350).
Deve anche ricordarsi che, in generale, in tema di misure coercitive, la distanza
temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente
dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso

momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto

obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della
misura (sez. 4, 12 marzo 2015, n. 24478, rv. 263722).
Si tratta, peraltro, di principi interpretativi che non sono messi in dubbio nel
caso in esame, in cui le censure del pubblico ministero ricorrente si incentrano sui vizi
motivazionali, dando per scontata la rilevanza del profilo dell’attualità delle esigenze
cautelari.
4. – Il primo rilievo contenuto nel ricorso attiene alla sussistenza di indizi del

prospettazione del ricorrente – anche dalla commissione di un singolo episodio
criminoso, purché significativo.
Devono preliminarmente essere delineati la portata e l’ambito di applicazione
del reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, che rappresenta una figura
speciale rispetto all’ipotesi-base di cui all’art. 416 cod. pen., caratterizzata da alcune
peculiarità. In particolare, se nell’associazione a delinquere occorre verificare che il
singolo delitto commesso rientri fra quelli di scopo, tutti i delitti concernenti le
sostanze stupefacenti rientrano senz’altro nella finalità sociale del delitto associativo
qui in esame. Il procacciamento e commercio dello stupefacente necessita di una
predisposizione di mezzi non particolarmente significativa e di uno scarso
approntamento di strumenti di tutela ed offesa, cosicché l’organizzazione di mezzi può
anche essere minimale, a fronte di una non spiccata (ma presente) fidelizzazione, che
non esclude il perseguimento d’interessi individuali degli associati, anche contrapposti
a quelli del gruppo (ex multis, sez. 4, 15 maggio 2014, n. 36341, rv. 260268; sez. 2,
27 marzo 2013, rv. n. 16540; sez. 1, 7 luglio 2011, n. 30463, rv. 251011; sez. 1, 22
dicembre 2009, n. 4967, rv. 246112; sez. 6, 13 febbraio 2009, n. 25454, rv.
244520). La specificità dell’illecita attività perseguita attraverso il commercio illecito
non richiede, inoltre, alcuna stipula di un patto espresso fra gli associati, essendo,
all’evidenza, bastevole la condivisione dell’attività stessa (sez. 6, 17 giugno 2009, n.
40505, rv. 245282). Infine, l’elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata
al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante
ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non è
incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione (ex multis,
sez. 1, 3 luglio 2013, n. 43850, rv. 257800; sez. 6, 14 gennaio 2008, n. 6867, rv.
239670).
Ricostruita la fattispecie alla luce di tali principi, deve rilevarsi che la
motivazione dell’ordinanza impugnata non presenta lacune o vizi logici rilevanti ed

reato associativo in capo all’indagato, che può essere desunta – secondo la

appare, anzi, sufficientemente circostanziata in relazione alla ritenuta insussistenza allo stato degli atti e in pregiudicata ogni diversa valutazione in sede dibattimentale di sufficienti indizi della partecipazione dell’indagato odierno ricorrente all’associazione

ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo 1 dell’imputazione provvisoria. Si
valorizza, in particolare, il dato dell’unicità dell’episodio di cui al capo 13
dell’imputazione, che sarebbe consistito essenzialmente in una mediazione posta in
essere dall’indagato, quale soggetto esterno e, al più, esponente di un diverso

atti le prove di ulteriori coinvolgimenti nelle attività dei coimputati in epoca
successiva. La non riconducibilità di Gorgaj al sodalizio criminoso è, inoltre,
confermata dalla sua contrapposizione con il gruppo di Francesco Cortese, che era
sfociata nel rapimento di quest’ultimo e che era perciò indice – secondo la valutazione
del Tribunale – della mancanza di prova di una sostanziale consonanza di intenti.
Quanto alla sussistenza dell’attualità delle esigenze cautelari in relazione al
reato-scopo, deve rilevarsi che la stessa è stata esclusa dal Tribunale sulla base di
considerazioni sufficientemente logiche e coerenti. Si è infatti osservato che
l’ordinanza applicativa della misura era priva di una motivazione sufficientemente
individualizzante sul punto, perché la posizione di Gorgaj è stata valutata insieme a
quella di tutti gli indagati diversi dai principali, senza operare alcuna differenziazione.
In particolare il Gip ha fatto leva sugli elementi – che non si attagliano, come visto,
alla posizione dello stesso Gorgaj – della ripetitività delle condotte e della comunanza
di interessi tra i concorrenti.
5. – Ne deriva il rigetto del ricorso del pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del pubblico ministero.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2015.

sodalizio criminoso, in relazione alla compravendita di stupefacenti. E mancano agli

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