Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13453 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 13453 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Ruscica Carmelo, nato a Catania il 13/08/1979

avverso l’ordinanza del 26/04/2013 del Tribunale di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Vincenzo Geraci, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catania, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 22/03/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Carmelo Ruscica in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del
1990, e 7 legge n. 203 del 1991, per avere, in Catania, dall’ottobre 2006 al

Data Udienza: 18/03/2014

febbraio 2007, fatto parte di un’associazione per delinquere dedita allo spaccio di
cocaina e concorso nella commissione di singoli episodi di compra-vendita di tale
stupefacente, con l’aggravante di avere agito avvalendosi delle condizioni
previste dall’art. 416 bis cod. pen. ed al fine di agevolare le attività della locale
associazione di stampo mafioso nota come ‘clan Cursoti Milanesi’.
Rilevava il Tribunale come le acquisite emergenze procedimentali – in specie le
dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, i risultati di intercettazioni
telefoniche ed ambientali, nonché le operazioni di polizia giudiziaria conclusesi

dimostrato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in
ordine ai delitti addebitatigli, e giustificato, anche al di là delle presunzioni di
legge, l’applicazione della misura cautelare custodiale massima in considerazione
della eccezionale gravità e grande allarme sociale dei reati commessi e della
pessima personalità del prevenuto, già gravato da numerosi precedenti penali o
giudiziari, anche di natura specifica.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato l’indagato, con atto sottoscritto dal
suo difensore avv. Salvatore Pappalardo, il quale ha dedotto, con tre distinti
punti, i seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R.
cit., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità e travisamento della prova,
per avere il Tribunale del riesame ingiustificatamente confermato l’affermazione
di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del prevenuto in ordine al
delitto associativo contestatogli, benchè fosse risultato che il Ruscica, nel periodo
di operatività di quel sodalizio, era detenuto, fosse stato interessato solo da
alcune osservazioni eseguite dalla polizia giudiziaria e non fosse risultato
coinvolto in alcun episodio di detenzione e cessione di stupefacente, ed ancora
fosse stato menzionato in conversazioni tra altri soggetti dal contenuto
sostanzialmente neutro.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., e vizio
di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale
siciliano ingiustificatamente disatteso, ai fini della verifica della esistenza di
quella esigenza di cautela e della scelta della misura più adeguata al caso
concreto, che l’indagato, all’epoca dei fatti, era assuntore di stupefacenti,
circostanza, questa, idonea, anche escludendo l’aggravante contestata dell’art. 7
legge n. 203 del 1991, a legittimare l’applicazione della meno gravosa misura
degli arresti domiciliari.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

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anche con l’arresto di tali sodali e il sequestro di varie partite di droga – avessero

3.1. I primi motivi, sopra riportati nel punto 2.1., sono inammissibili perché
presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Lungi dall’evidenziare reali violazioni di legge ovvero manifeste lacune o
incongruenze capaci di disarticolare l’intero ragionamento probatorio adottato dai
Giudici di merito, il ricorrente ha formulato censure che riguardano
sostanzialmente la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in una diversa
valutazione delle circostanze già considerate dal Tribunale del riesame: censure,

controllo dei provvedimenti di applicazione della misure limitative della libertà
personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica
dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di
probabile colpevolezza dell’indagato, nonché il valore sintomatico degli indizi
medesimi anche in relazione alla sussistenza di esigenze cautelari e alla scelta di
una misura adeguata alle medesime esigenze e proporzionata ai fatti. Controllo
che non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e
negli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità delle fonti ed
alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, infatti, solo il compito di verificare se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare
la gravità del quadro indiziario e l’esistenza di bisogni di cautela a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare
prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (in questo senso, ex multis,
Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come il Tribunale catanese
abbia dato puntuale contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il
provvedimento cautelare impugnato. Dati informativi dai quali, in termini
esaurientemente congrui e logicamente ineccepibili, ha desunto la conferma della
esistenza del requisito della gravità indiziaria a carico del Ruscica in relazione a
tutti i delitti contestatigli. Seguendo questa impostazione, va osservato, per un
verso, come il Tribunale di Catania non sia incorso in alcuna violazione di legge
nella valutazione delle acquisite emergenze procedimentali; e, per altro verso,
come abbiano spiegato, con motivazione completa e priva di lacune di illogicità,
dunque non censurabile in questa sede, che, in particolare, le puntuali indicazioni
del collaboratore Michele Musumeci – il quale, già appartenente al gruppo
criminale in esame, aveva in seguito iniziato a collaborare con gli inquirenti,

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come tali, non esaminabili dalla Cassazione. Ed infatti, è pacifico come il

spiegando quali fossero stati l’organigramma e le dinamiche di quel sodalizio,
nonché i legami funzionali con il locale clan mafioso dei ‘Cursoti Milanesi’ – erano
risultate corroborate sia dalle affermazioni di altri due collaboratori di giustizia,
Giuseppe Russo e Vincenzo Pettinati (i quali avevano parlato delle iniziative
criminose del predetto clan mafioso, di cui avevano riconosciuto di aver fatto
parte: il Russo pure parlando di Giuseppe Ruscica, detto “Banana”, fratello
dell’odierno ricorrente, come di uno dei capi dell’organizzazione dedita al traffico
di quella droga), che, soprattutto, dai risultati delle indagini effettuate dalla

ramificata e prolungata attività di spaccio della cocaina posta in essere da
soggetti organizzatisi con divisione di ruolo e cassa comune, e che, sostanziatesi
nell’esecuzione di videoregistrazioni nel luogo interessato all’attività di spaccio,
che avevano permesso di avere contezza della diretta partecipazione di Carmelo
Ruscica alla vendita della cocaina nell’interesse del gruppo. D’altro canto le
captazioni di conversazioni tra presenti e telefoniche avevano confermato
l’esistenza di rapporti diretti tra i due Ruscica, il Musumeci e Nicola Cristian
Parisi, e del ruolo direttivo da questi ultimi assunto all’interno di quel gruppo
criminale, avendo il Parisi pure deciso di destinare parte dei ricavi della vendita
della droga ai sodali detenuti, tra i quali l’odierno ricorrente, indicato come “il
fratello di Banana”; Carmelo Ruscica il cui nome, con l’abbreviazione di “Ban
Jun”, era stato altresì trovato dagli inquirenti in un manoscritto, contenente nomi
e cifre, ragionevolmente concernente la contabilità delle iniziative criminose del
gruppo, rinvenuto nell’abitazione di tal Zagarella, all’epoca utilizzata proprio dal
Parisi (v. pagg. 1-5 ord. impugn.).

3.2. Manifestamente infondata è, poi, la doglianza formulata con il secondo
motivo del ricorso.
Il Tribunale di Catania ha fatto corretta applicazione della disposizione dettata
dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. che, come è noto, stabilisce una doppia
presunzione, di esistenza di esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della
misura della custodia cautelare in carcere in relazione alla posizione di coloro
che, come nella fattispecie è accaduto, siano ritenuti raggiunti da gravi indizi di
colpevolezza in ordine a delitti di rilevante gravità, compresi quelli aggravati ai
sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Si tratta di norma che disciplina una doppia forma di presunzione di natura
relativa: quella con riferimento all’esistenza delle esigenze cautelar’, in quanto,
in presenza dei gravi indizi di colpevolezza per uno degli indicati delitti, i bisogni
di cautela di cui all’art. 274 cod. proc. pen. si considerano sussistenti senza
necessità di alcuna prova in positivo, salva la possibilità per l’interessato di dare
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polizia giudiziaria: investigazioni che avevano comprovato l’esistenza di una

la prova in negativo, cioè la dimostrazione della loro mancanza in concreto; e
quella con riferimento alla adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in
carcere, in quanto, in assenza di elementi capaci di provare la mancanza delle
esigenze di cautela, quella adeguatezza esclusiva è presunta ex lege, con la
conseguenza della impossibilità di applicare misure cautelari meno afflittive
rispetto alla custodia in carcere, salvo che – come stabilito dalla Corte
costituzionale con la sentenza di accoglimento a contenuto additivo n. 57 del
2013 – quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti

ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso
articolo, siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali
risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
I Giudici del riesame non solamente hanno preso atto di come le carte del
procedimento non avessero offerto alcun dato informativo concreto, né fossero
stati altrimenti allegate circostanze idonee al superamento degli effetti di quelle
due presunzioni iuris tantum (non avendo la difesa dato alcuna dimostrazione del
suo attuale stato di tossicodipendenza, né dell’attività lavorativa lecita
asseritamente svolta), ma, con motivazione completa e logicamente convincente,
hanno sottolineato come gli elementi di conoscenza a disposizione avessero
comprovato la sussistenza del concreto ed attuale rischio di recidiva, essendo il
ricorrente risultato coinvolto in episodi delittuosi di elevata gravità e grande
allarme sociale, legati anche alla operatività di un gruppo criminale di stampo
mafioso; soggetto pure gravati da precedenti significativi della loro eccezionale
propensione a delinquere, essendo stato il Ruscica condannato con sentenza
definitiva o sottoposto ad indagini per numerosi reati, pure in violazione della
disciplina sugli stupefacenti, oltre che per evasione, e sottoposto alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (v. pagg. 5-6 ord.
impugn.).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle
ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di competenza.

P.Q.M.

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commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis cod. pen.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 18/03/2014

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