Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13452 del 18/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 13452 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
La Placa Giuseppe, nato a Catania il 04/05/1979

avverso l’ordinanza del 22/04/2013 del Tribunale di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Vincenzo Geraci, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 18/03/2014

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RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catania, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 22/03/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Giuseppe La Placa in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del
1990, e 7 legge n. 203 del 1991, per avere, in Catania, dall’ottobre 2006 al

febbraio 2007, fatto parte di un’associazione per delinquere dedita allo spaccio di
cocaina e concorso nella commissione di singoli episodi di compra-vendita di tale
stupefacente, con l’aggravante di aver agito avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416 bis cod. pen. ed al fine di agevolare le attività della locale
associazione di stampo mafioso nota come ‘clan Cursoti Milanesi’.
Rilevava il Tribunale come le acquisite emergenze procedimentali – in specie le
dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, i risultati di intercettazioni
telefoniche ed ambientali, nonché le operazioni di polizia giudiziaria conclusesi

dimostrato la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in
ordine ai delitti addebitatigli, e giustificato, anche al di là delle presunzioni di
legge, l’applicazione della misura cautelare custodiale massima in considerazione
della eccezionale gravità dei reati commessi e della pessima personalità del
prevenuto, già gravato da numerosi precedenti penali o giudiziari, anche di
natura specifica.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato l’indagato, con atto sottoscritto dal
suo difensore avv. Salvatore Pappalardo, il quale, con quattro distinti punti, ha
dedotto i seguenti tre motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R.
cit., e vizio di motivazione, per manifesta illogicità e travisamento della prova,
per avere il Tribunale del riesame ingiustificatamente confermato l’affermazione
di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del prevenuto in ordine al
delitto associativo contestatogli, benchè fosse risultato che il La Placa, nel
periodo di operatività di quel sodalizio, era detenuto in espiazione pena, non
fosse risultato coinvolto in alcun episodio di detenzione e cessione di
stupefacente e fosse stato interessato solo dal contenuto di una conversazione
tra presenti intercettata dagli inquirenti il 19/12/2006 all’interno della sala
colloqui del carcere di Catania.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 7 legge n. 203 del 1991, per avere
il Tribunale catanese ingiustificatamente riconosciuto la sussistenza della
circostanza aggravante prevista dal predetto articolo, in violazione dei principi di
diritto in materia enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., e vizio
di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale
siciliano ingiustificatamente disatteso, ai fini della verifica della esistenza di
quella esigenza di cautela e della scelta della misura più adeguata al caso
concreto, che l’indagato, all’epoca dei fatti, era assuntore di stupefacenti, come

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anche con l’arresto di tali sodali e il sequestro di varie partite di droga – avessero

certificato da documentazione rilasciata dal sert, circostanza, questa, idonea a
legittimare l’applicazione della meno gravosa misura degli arresti domiciliari.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

3.1. I primi motivi, sopra riportati nel punto 2.1., sono inammissibili perché
presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Lungi dall’evidenziare reali violazioni di legge ovvero manifeste lacune o
incongruenze capaci di disarticolare l’intero ragionamento probatorio adottato dai

Giudici di merito, il ricorrente ha formulato censure – significativamente
sostanziatesi in una esplicita denuncia di un “travisamento dei fatti” – che
riguardano sostanzialmente la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvono in
una diversa valutazione delle circostanze già considerate dal Tribunale del
riesame: censure, come tali, non esaminabili dalla Cassazione. Ed infatti, è
pacifico come il controllo dei provvedimenti di applicazione della misure
limitative della libertà personale sia diretto a verificare la congruenza e la
coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di
colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato, nonché il valore
sintomatico degli indizi medesimi anche in relazione alla sussistenza di esigenze
cautelari e alla scelta di una misura adeguata alle medesime esigenze e
proporzionata ai fatti. Controllo che non può comportare un coinvolgimento del
giudizio ricostruttivo del fatto e negli apprezzamenti del giudice di merito in
ordine all’attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del
materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da
errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, infatti, solo il compito di verificare se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare
la gravità del quadro indiziario e l’esistenza di bisogni di cautela a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare
prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (in questo senso, ex multis,
Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come il Tribunale catanese
abbia dato puntuale contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il
provvedimento cautelare impugnato. Dati informativi dai quali, in termini
esaurientemente congrui e logicamente ineccepibili, ha desunto la conferma della
esistenza del requisito della gravità indiziaria a carico del La Porta in relazione a
tutti i delitti contestatigli. Seguendo questa impostazione, va osservato, per un
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verso, come il Tribunale di Catania non sia incorso in alcuna violazione di legge
nella valutazione delle acquisite emergenze procedimentali; e, per altro verso,
come abbiano spiegato, con motivazione completa e priva di lacune di illogicità,
dunque non censurabile in questa sede, che, in particolare, le puntuali indicazioni
del collaboratore Michele Musumeci – il quale, già appartenente al gruppo
criminale in esame, aveva in seguito iniziato a collaborare con gli inquirenti,
spiegando quali fossero stati l’organigramma e le dinamiche di quel sodalizio,
nonché i legami funzionali con il locale clan mafioso dei `Cursoti Milanesi’ – erano

Gaetano D’Aquino e Franco Russo (i quali avevano parlato delle iniziative
criminose del predetto clan mafioso, di cui avevano riconosciuto di aver fatto
parte), che, soprattutto, dai risultati delle indagini effettuate dalla polizia
giudiziaria: investigazioni che avevano comprovato l’esistenza di una ramificata e
prolungata attività di spaccio della cocaina posta in essere da soggetti
organizzatisi con divisione di ruolo e cassa comune, e che, sostanziatesi
nell’esecuzione di videoregistrazioni nel luogo interessato all’attività di spaccio che avevano permesso di avere contezza della presenza, almeno in tre
circostanze, del La Placa, che lì si era recato in violazione delle prescrizioni
impostegli con il provvedimento di autorizzazione ad allontanarsi dagli arresti
domiciliari per svolgere attività lavorativa – e nella captazione di conversazioni
tra presenti e telefoniche, avevano confermato l’esistenza di rapporti diretti tra il
La Placa e familiari del Musumeci, e del ruolo direttivo dal primo assunto
all’interno di quel gruppo criminale dopo che lo stesso Musumeci era stato tratto
in arresto (v. pagg. 3-7 ord. impugn.).

3.2. Il secondo motivo del ricorso è generico.
Nella giurisprudenza di legittimità si è avuto modo ripetutamente di chiarire
che il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare
il proprio sindacato (così, tra le tante, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini,
Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n.
8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249).
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad enunciare, in forma molto
indeterminata e con un mero richiamo a massime giurisprudenziali, il dissenso
rispetto alle valutazioni compiute dal Tribunale del riesame, senza specificare gli
aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione, cioè omettendo di
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risultate corroborate sia dalle affermazioni di altri due collaboratori di giustizia,

confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata: pronuncia con
la quale erano stati analiticamente indicati gli elementi di prova idonei ad
integrare gli estremi della circostanza aggravante in parola, osservando come le
convergenti dichiarazioni dei tre collaboratori di giustizia Musumeci (il quale, in
particolare, aveva riferito del “pagamento del punto”, cioè di una percentuale
degli introiti illeciti, in favore di quei detenuti), D’Aquino e Russo, ed il contenuto
di talune conversazioni registrate in ambientale (in specie, quella del colloquio
intrattenuto in carcere dal Musumeci con la madre il 02/01/2007, prima che il

avessero dimostrato che parte dei proventi dell’attività di spaccio attuata dagli
affiliati al gruppo criminale, cui pure il La Placa aveva aderito, erano destinati al
sostentamento degli affiliati, detenuti in carcere, al locale clan mafioso dei
‘Cursoti Milanesi’, due appartenenti del quale – Giuseppe Ruscica e Rosario Piterà
– avevano anche assunto, per un certo periodo, funzioni direttive all’interno dello
stesso sodalizio per delinquere dedito al traffico della cocaina (v. pagg. 5-8 ord.
impugn.).

3.3. Manifestamente infondata è, infine, la doglianza formulata con il terzo
motivo del ricorso.
Il Tribunale di Catania ha fatto corretta applicazione della disposizione dettata
dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. che, come è noto, stabilisce una doppia
presunzione, di esistenza di esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della
misura della custodia cautelare in carcere in relazione alla posizione di coloro
che, come nella fattispecie è accaduto, siano ritenuti raggiunti da gravi indizi di
colpevolezza in ordine a delitti di rilevante gravità, compresi quelli aggravati ai
sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Si tratta di norma che disciplina una duplice forma di presunzione di natura
relativa: quella con riferimento all’esistenza delle esigenze cautelari, in quanto,
in presenza dei gravi indizi di colpevolezza per uno degli indicati delitti, i bisogni
di cautela di cui all’art. 274 cod. proc. pen. si considerano sussistenti senza
necessità di alcuna prova in positivo, salva la possibilità per l’interessato di dare
la prova in negativo, cioè la dimostrazione della loro mancanza in concreto; e
quella con riferimento alla adeguatezza esclusiva della custodia cautelare in
carcere, in quanto, in assenza di elementi capaci di provare la mancanza delle
esigenze di cautela, quella adeguatezza esclusiva è presunta ex lege, con la
conseguenza della impossibilità di applicare misure cautelar’ meno afflittive
rispetto alla custodia in carcere, salvo che – come stabilito dalla Corte
costituzionale con la sentenza di accoglimento a contenuto additivo n. 57 del
2013 – quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti

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predetto avviasse il suo percorso di collaborazione con l’autorità giudiziaria)

commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416

bis cod. pen.

ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso
articolo, siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali
risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
I Giudici del riesame non solamente hanno preso atto di come le carte del
procedimento non avessero offerto alcun dato informativo concreto, né fossero
state altrimenti allegate circostanze idonee al superamento degli effetti di quelle
presunzioni iuris tantum (essendo, peraltro, la certificazione del sert, prodotta

di indagine); ma, con motivazione completa e logicamente convincente, hanno
sottolineato come gli elementi di conoscenza a disposizione avessero comprovato
la sussistenza del concreto ed attuale rischio di recidiva, essendo il ricorrente
risultato coinvolto in episodi delittuosi di elevata gravità e grande allarme
sociale, legati anche alla operatività di un gruppo criminale di stampo mafioso;
soggetto pure gravati da precedenti significativi della loro eccezionale
propensione a delinquere, essendo stato il La Placa condannato con sentenza
definitiva per numerosi reati, pure in violazione della disciplina sugli
stupefacenti, oltre che per ben due episodi di evasione, e sottoposto, in epoca
successiva alla commissione dei reati addebitatigli in questo procedimento, alla
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (v. pagg.
8-9 ord. impugn.).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e al pagamento in favore della cassa delle
ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo indicato nel
dispositivo che segue.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di competenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18/03/2014

dalla difesa, riferibile proprio al periodo di commissione dei gravi delitti oggetto

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