Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13446 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 13446 Anno 2014
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MELI GIANLUCA N. IL 15/03/1985
avverso l’ordinanza n. 146/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 26/04/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
1ette/sptffe le conclusioni del PG Dott. ÌU £44,4rk

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Data Udienza: 12/02/2014

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1

CONSIDERATO IN FATTO
1. Gianluca Meli ricorre a mezzo del difensore avv. Fabrizio Lamanna avverso
l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Lecce ha dichiarato inammissibile l’atto di
impugnazione che egli aveva proposto contro la condanna per evasione, deliberata
il 6.12.2011 dal Tribunale di Taranto (il fatto è del 16.10.2007), enunciando motivi:

stata motivata la responsabilità dell’imputato;
– violazione di legge, perché per l’ammissibilità dell’appello sarebbe sufficiente
l’indicazione del punto della decisione di cui è chiesta la rivisitazione (il ricorrente
richiama Cass. sent. 12066/1992) con l’indicazione delle ragioni della richiesta che,
nella fattispecie, secondo il ricorrente pur con sintesi sarebbero state appunto
indicate; sul punto si deduce che l’intento dell’atto d’appello era quello di
evidenziare la natura solo genericamente indiziaria degli elementi probatori a carico
dell’imputato, conseguenza della superficialità delle indagini.

2. Il procuratore generale in sede ha presentato conclusioni scritte per
l’inammissibilità del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il primo motivo è manifestamente infondato, affrontando un aspetto (la
motivazione della responsabilità dell’imputato) del tutto estraneo all’unico tema che
è oggetto del giudizio in questo momento, quello dell’ammissibilità dell’appello
originario.

4. In ordine al secondo motivo si deve osservare e premettere quanto segue.
Nell’attuale sistema processuale penale, il giudizio d’appello ha il compito di
verificare e rivalutare l’adeguatezza del dispositivo deliberato in primo grado
rispetto all’imputazione ed al contenuto, probatorio e in rito, del fascicolo
processuale (nei limiti del devoluto, salvi i poteri d’ufficio ex art. 129 e 597 c.p.p.,
con pienezza di apprezzamento e quindi con gli stessi poteri del primo giudice del
merito).
Il giudizio di legittimità, invece, ha il compito di verificare se la decisione del
giudice d’appello ha bene applicato norme sostanziali o processuali espressamente
sanzionate e, specialmente per quanto qui rileva, se è stata argomentata con una

I

– di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, perché non sarebbe

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2

motivazione non apparente o inesistente su aspetti determinanti per la
deliberazione e, altresì, immune dai vizi di contraddittorietà, interna o con specifici
atti probatori determinanti (considerati esistenti quando così non è o ignorati
quando in realtà erano presenti), e di ‘manifesta’ illogicità.
Tale caratteristica della cognizione del giudice di legittimità fonda l’assunto
comune, secondo il quale nel processo di legittimità ‘imputata’ è la sentenza.
Invece nel giudizio di appello la motivazione della sentenza di primo grado, in

secondo grado giudichi necessario modificarne il dispositivo (in ragione del cd.
obbligo rafforzato di motivazione: per tutte,

Sez.6, sentenze n. 8705/2013,

5879/2013 e 22120/2009; 18081/2011, 46742/2013).
Questo spiega la diversa dizione normativa che indica il contenuto (ed i limiti)
della cognizione dei due giudizi: i ‘punti’ della decisione (SU sent. 10251/2007), per
il primo (597.1); i ‘motivi’ proposti, per il secondo (609.1).

4.1 La diversità strutturale dei due giudizi di impugnazione spiega altresì sia il
diverso contenuto che in essi assume il (medesimo) requisito di ‘specificità’ del
motivo (sempre necessario pena la sua originaria inammissibilità: 581.1 lett.c- e
591.1 lett. c-), sia l’inconfigurabilità nel giudizio d’appello della causa di
inammissibilità del motivo costituita, per il giudizio di cassazione, dalla sua
‘manifesta infondatezza’ (606.3).

4.2 Quanto al requisito della ‘specificità’ del motivo ed al suo diverso
atteggiarsi nei due giudizi sono esemplari, per la nitidezza dell’argomentare e la
chiarezza dell’insegnamento, oltretutto nella loro significativa distanza temporale, le
sentenze di questa Corte suprema Sez. 1 n. 12066/1992 e Sez.2 n. 36406/2012.
La prima decisione doveva risolvere la questione di diritto dell’ammissibilità
dell’atto di appello presentato dopo la deliberazione ma prima del deposito della sua
motivazione. Pur in tale peculiare contesto, la sentenza riflette dichiaratamente in
via generale e sistematica sull’applicabilità della categoria della genericità ai motivi
di impugnazione per il giudizio di appello. Osserva in particolare che <

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