Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13434 del 13/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 13434 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Michele Cannatà, nato a Gioia Tauro il 14.9.1965
avverso la sentenza del 26 marzo 2013 emessa dalla Corte d’appello di
Catanzaro;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale Eugenio Selvaggi, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Natale Fusaro e Stefano Giorgio, che hanno insistito per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 13/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Catanzaro ha
dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza della Corte
d’assise di appello di Reggio Calabria in data 11 agosto 2000, proposta
nell’interesse di Michele Cannatà, con cui quest’ultimo era stato condannato in

di Antonio e Michele Versace, nonché del tentativo di omicidio di Biagio
Versace e Vincenzo Rao.
La Corte d’appello ha ritenuto che i testi d’alibi indicati dal condannato, in
particolare Francesco Cutano, Michele Condello e Santo Furfaro, i quali sentiti
nel corso delle indagini difensive hanno riferito che il Cannatà, nel momento in
cui veniva commesso il plurimo omicidio in danno dei fratelli Versace, si
trovava in loro compagnia, sarebbero testimoni inattendibili per la palese
inverosimiglianza che un alibi così rilevante, da parte di amici del condannato,
sia stato fornito a distanza di tanti anni dalle accuse mosse al Cannatà.

2. Gli avvocati Natale Fusaro e Stefano Giorgio, nell’interesse di Michele
Cannatà, hanno proposto ricorso per cassazione formulando tre distinti motivi
che di seguito si riassumono.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 526 e 635 n. 2
c.p.p., mettendo in rilievo che la Corte d’appello aveva già superato, con
provvedimento de plano, la fase di ammissibilità dell’istanza di revisione,
sicché risulta inspiegabile la impugnata sentenza con cui, contraddicendo se
stessa, dichiara l’inammissibilità della istanza, dopo aver acquisito la
sentenza del 26.5.210 riguardante la posizione di Serafino La Rosa, un
soggetto imputato per gli stessi fatti contestati al Cannatà. Si evidenzia
l’irritualità di una tale acquisizione, avvenuta fuori del contraddittorio,
addirittura prima dell’inizio del dibattimento, che in realtà non si è mai svolto,
avendo la Corte, preliminarmente, invitato le parti a concludere, senza
acquisire alcuna prova. Infine, si lamenta che sulla base della decisione
acquisita irritualmente i giudici abbiano formulato il giudizio di inammissibilità
della revisione.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 630, 631
e 634 c.p.p., unitamente al vizio di motivazione, con riferimento alle analitiche

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via definitiva alla pena dell’ergastolo perché ritenuto responsabile dell’omicidio

valutazioni riguardanti il merito del giudizio di revisione. In particolare, si
contesta che la valutazione di inammissibilità sia stata fatta attraverso una
vera e propria anticipazione del giudizio, verificando l’attendibilità di testimoni
utilizzando regole probatorie riferibili alla sola fase rescissoria. In sostanza,
prescindendo dal fatto che la decisione di inammissibilità abbia avuto la forma
di una sentenza, si rileva che la Corte territoriale ha emesso un giudizio di

revisione, effettuando un indebito e pieno esame nel merito, anziché limitarsi
ad una valutazione prognostica circa la potenzialità delle prove nuove a
pervenire ad una pronuncia di proscioglimento. In questo modo, si sostiene, i
giudici hanno anticipato un giudizio di merito senza acquisire, nella garanzia
del contraddittorio, le prove indicate dall’istante, realizzando un monstrum
giuridico, perché dopo aver ammesso la richiesta di revisione ed emesso il
decreto di citazione a giudizio ai sensi dell’art. 636 c.p.p. che avrebbe dovuto
portare alla verifica dibattimentale delle prove indicate, inspiegabilmente è
intervenuta la dichiarazione di inammissibilità.
Con il terzo motivo si fa valere il vizio di motivazione sotto diversi profili,
tutti attinenti alla valutazione delle prove compiuta in sentenza. Si censura la
sentenza a) per avere valorizzato le conclusioni cui è pervenuta la Corte
d’appello di Reggio Calabria in ordine alle dichiarazioni di Raso e di Morano,
senza considerare che si ratta di dichiarazioni riferite ad altro omicidio, quello
di Paolo Lombardo; b) per avere ritenuto che i tre testimoni d’alibi fossero più
o meno legati da rapporti amicali con il Cannatà; c) per avere formulato una
valutazione negativa sul ritardo con cui i tre testimoni si sarebbero ricordati di
avere trascorso la serata con il ricorrente, senza considerare, tra l’altro, lo
stato di latitanza di quest’ultimo fino al 2005. Infine, viene sottoposta a critica
la ricostruzione e la valutazione che i giudici hanno dato delle dichiarazioni dei
tre testimoni e si mette in risalto il nucleo centrale delle loro convergenti
dichiarazioni, costituite dalla circostanza che il Cannatà, al momento
dell’agguato, si trovava in loro compagnia e, quindi, non poteva
contemporaneamente far parte del commando omicida. Secondo la difesa è
proprio questo nucleo delle dichiarazioni che avrebbe dovuto essere verificato
nel dibattimento.
Si conclude chiedendo l’annullamento della sentenza per consentire il
giudizio di revisione.

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manifesta infondatezza, proprio della fase preliminare del procedimento di

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
La Corte d’appello, in funzione di giudice della revisione, ha operato una
indebita commistione dei due distinti momenti che caratterizzano il
procedimento disciplinato dagli artt. 629 e seg. c.p.p. Sebbene oggi debba

rescissoria, dal momento che l’intero procedimento di revisione è ormai
affidato allo stesso giudice, tuttavia le disposizioni codicistiche individuano
una fase preliminare in cui al giudice è riconosciuto un potere di valutazione
sulla oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente. In questa
fase il giudice è tenuto ad effettuare una delibazione prognostica inerente il
grado di affidabilità e di conferenza delle prove allegate, senza che ciò si
traduca in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito. La
giurisprudenza è consolidata nell’affermare che l’esame preliminare debba
limitarsi ad una sommaria delibazione, dovendosi ritenere preclusa in tale
sede una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, che è invece
riservato al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel
contraddittorio delle parti (Sez. V, 22 novembre 2004, n. 11659, rv 231138;
Sez. VI, 3 dicembre 2009, n. 2437, rv 245770; Sez. VI, 8 marzo 2013, n.
18818, Moneta Caglio; Sez. IV, 10 gennaio 2013, n. 18196, Sioli). In altri
termini, la valutazione preliminare di non manifesta infondatezza della
richiesta di revisione comporta la sommaria delibazione dei nuovi elementi di
prova e della loro astratta idoneità a comportare la rimozione del giudicato in
rapporto alla loro capacità di incidere in modo favorevole sulle prove già
acquisite e sul connesso giudizio di colpevolezza (Sez. II, 11 novembre 2009,
n. 44724, rv 245718, che ribadisce la preclusione, in questa fase, di ogni
approfondita valutazione che comporti una anticipazione del giudizio di
merito).
Nella specie, la Corte d’appello di Catanzaro, sebbene si trovasse nella
prima fase di delibazione della richiesta di revisione, non si è limitata ad
effettuare una delibazione prognostica, ma ha di fatto anticipato il giudizio di
revisione, spingendosi a valutare in modo approfondito le prove prodotte.
Va aggiunto che gli stessi giudici, dopo aver ritenuto, con provvedimento
de plano, ammissibile la domanda di revisione, hanno acquisito una sentenza

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ritenersi improprio distinguere ancora una fase rescindente e una fase

riguardante la posizione di un coimputato condannato per gli stessi fatti, per
poi invitare le parti a concludere, senza acquisire altre prove, e dichiarare
l’inammissibilità della stessa revisione: ne consegue che se si considera la
decisione come intervenuta nella fase preliminare, risulta errata la regola di
giudizio utilizzata; se, invece, si ritiene che si tratti di giudizio di revisione
allora è inspiegabile la mancata acquisizione delle prove indicate.

preliminare è stata effettuata una indebita valutazione piena delle prove,
propria del giudizio di revisione, senza peraltro assicurare il contraddittorio
alle parti.

4. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata, per
consentire lo svolgimento del giudizio di revisione nel rispetto di quanto
previsto dall’art. 636 c.p.p.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio ad altra
sezione della Corte d’appello di Catanzaro.
Così deciso il 13 dicembre 2013

Il Consigl re estensore

In ogni caso, si è dato luogo ad una procedura ambigua, in cui nella fase

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