Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 134 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 134 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) TEIA CLAUDIO N. IL 12/04/1958
2) TEIA TULLIO N. IL 12/04/1958
avverso l’ordinanza n. 2/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
06/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere D9tt. MONICA BONI;
lette/sentite le cpnclusioni del PG Dott. I oci cc6tiu
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Uditi difenso Avv.;

Data Udienza: 05/12/2012

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza emessa in data 21 marzo 2011 la Corte di Appello di Trieste
rigettava le istanze di revoca, proposte da Tullio e Claudio Tela, avverso i provvedimenti
del Tribunale di Pordenone, resi il 16-17-22/11/2010, con i quali essi erano stati
sottoposti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s., Tullio Tela per la
durata di anni tre e Claudio Teia per la durata di anni due, ed era stata disposta la
confisca dei beni posseduti sino alla concorrenza dell’importo di C 2.037.550,00, riferita
alla somma in contanti di C 1.796.333,18, già oggetto di sequestro preventivo e, per la
1.11a Corte territoriale, premesso che, in ragione della data di presentazione della
proposta, le misure di prevenzione applicate erano soggette alla normativa previgente e
che la confisca aveva investito il profitto dei reati accertati, rinvenuto in denaro contante
presso il domicilio di Tullio Teia, fondava la propria decisione sulla ritenuta pericolosità
sociale di entrambi i sottoposti, desunta dall’accertata loro dedizione, rispettivamente
quale amministratore di diritto e di fatto dell’impresa societaria nella loro titolarità, dal
2005 al 2010 alla commissione continuata di condotte di emissione di fatture per
operazioni inesistenti, che aveva loro consentito di ottenere dagli imprenditori, destinatari
delle fatture emesse, la retrocessione dell’importo pari all’i.v.a. indicata nei documenti
fiscali per un ammontare complessivo di e. 2.037.550,00, calcolato sulla scorta degli
appunti manoscritti rinvenuti presso l’abitazione di Tullio Teia e ricostruito dalla polizia
giudiziaria, previa distinzione tra imponibile ed imposta, tra iva c.d. “lecita” ed i.v.a.
“illecita” perchè riferita alle fatture per operazioni inesistenti e previo raffronto tra
l’importo di denaro contante rinvenuto e la corrispondente documentazione fiscale. Sotto
il profilo patrimoniale la Corte di Appello rilevava la sproporzione tra le disponibilità di
contante in importo così ingente ed il reddito esposto nelle dichiarazioni annuali dei
redditi, non presentate da Tullio Teia, nonostante la titolarità di immobili ed i versamenti
nei propri conti di assegni per importi considerevoli, mentre la società era risultata in
perdita per tutti gli anni dal 2005 al 2010 a dispetto del volume d’affari mediamente
superiore al milione di euro per operazioni effettive e della nutrita schiera di clienti e
fornitori. Riteneva quindi ininfluente la giustificazione, offerta dalla difesa, circa la
provenienza da successione ereditaria di denaro e cespiti immobiliari.
1.2 Sotto il profilo soggettivo, riteneva non credibili le proteste di Claudio Teia di
estraneità alla gestione contabile e finanziaria condotta dal fratello, in considerazione
della titolarità in capo allo stesso della carica di legale rappresentante della società e
dell’effettivo svolgimento dell’attività di impresa, circostanze che gli avevano offerto la
concreta possibilità di percepire e comprendere le condotte illecite orchestrate e poste in
essere dal fratello e considerava insufficienti a contraddire il giudizio di pericolosità
sociale, sia la chiusura dell’esercizio commerciale, sia la collaborazione nella attività
d’indagine, a fronte della protrazione negli anni in modo pervicace, organizzato

differenza di C 241.212,82, alle loro ulteriori disponibilità mobiliari ed immobiliari.

sistematico dell’attività illecita e dell’attuale consistenza del loro patrimonio mobiliare,
indici dell’abitualità che connota la pericolosità sociale, pretesa dall’art. 1 L.1423/1956.
2. Avverso detto provvedimento propongono ricorso per cassazione a mezzo del
loro difensore Tullio e Claudio Tela per lamentare:
a) violazione di legge con riferimento alla L. 1423/1956 in relazione al combinato
disposto degli artt. 1 e 4 della stessa legge, per difetto dell’avviso orale del questore,
ovvero per mancanza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale, in quanto la
Corte di Appello non aveva attribuito alcun rilievo agli atti volontari positivi, posti in
in coincidenza con l’accertamento della G.d.F., prima della sottoposizione alle misure
coercitive personali, non aveva valutato la condotta tenuta Claudio Tela e le dichiarazioni
del fratello Tullio in merito alla reale gestione dell’attività di ferramente e nemmeno la
corposa produzione documentale offerta dalla difesa.
b) Violazione di legge in relazione all’art. 2 ter L. 575/1965 con riguardo all’art. 19 L.
152/1975 e carenza di motivazione con riferimento alla misura reale, confermata
nonostante fosse stato confiscato un patrimonio legittimamente acquisito per successione
ereditaria ed accresciuto nel tempo, a seguito di investimenti azionari, riscontrati dalla
produzione documentale, non esaminata dalla Corte di Appello.
c) Violazione della L. 575/1965 art. 2 ter e 3 in quanto la modifica legislativa,
parametrata su quella del D.L. 306/1992 art. 12 sexies, richiede i due requisiti della
pericolosità sociale e della sproporzione, da intendersi non come del tutto indipendenti
l’uno rispetto all’altro, ma come presupposti interagenti, per cui sarà confiscabile
solamente quel patrimonio che si sarà formato in corrispondenza temporale con i fatti
dimostrativi della pericolosità sociale, mentre nel caso in esame era stata offerta la prova
della legittima provenienza del patrimonio mobiliare, tanto che, per tale ragione, la
proposta di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale, estesa anche agli altri
componenti la loro famiglia, non era stata accolta.
3. Con requisitoria scritta del 14 giugno 2012 il Procuratore Generale presso la
Corte di Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.Va premesso che, per effetto della disciplina stabilita dalla legge 27 dicembre
1956, n. 1423, art. 4, comma 11, richiamato dall’art. 3-ter, c. 2 L. 31 maggio 1965, n.
575, il decreto con il quale la Corte di Appello decide in ordine al gravame proposto dalle
parti avverso il provvedimento del Tribunale applicativo della misura di prevenzione è
ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge; pertanto, il sindacato
sulla motivazione consentito in sede di legittimità non si estende all’adeguate e
coerenza logica del percorso giustificativo del provvedimento impugnato seco

2

essere dai preposti, tradottisi nella chiusura dell’attività commerciale sin dal 31.12.2010,

o

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prescritto dall’art. 606, lett. e), c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare la totale
carenza o l’apparenza della motivazione, situazioni qualificabili come violazione
dell’obbligo di provvedere con decreto motivato (Cass., sez. 5, n. 19598 dell’8/4/2010,
Palermo, rv. 247514; sez. 6 n. 35044 dell’8/3/2007, Bruno ed altri, rv. 237277; sez. 6,
n. 15107 del 17/12/2003, Criaco ed altri, rv. 229305) con una limitazione che è stata già
riconosciuta come non irragionevole dalla Corte Costituzionale (sent. n. 321/2004).
2.Ciò posto, la prima contestazione mossa dai ricorrenti riguarda la violazione di
legge con riferimento al requisito della pericolosità sociale, rispetto al quale, sul
requisito del preventivo avviso orale del Questore. Premesso che la questione non era
stata proposta nel giudizio innanzi alla Corte di Appello, il che, a norma dell’art. 606 cod.
proc. pen., comma 3, ne pregiudica l’ammissibilità, va comunque rilevato che l’avviso
orale, atto col quale il Questore contesta all’interessato i motivi di sospetto a suo carico e
lo sollecita ad un mutamento di condotta, condiziona l’applicazione delle misure di
prevenzione nei confronti delle sole persone che, non interessate da disposizioni di legge
che qualificano da sé la pericolosità sociale, vengano ritenute, per il loro comportamento
e sulla base di specifici dati fattuali, dedite alla commissione di reati pregiudizievoli per la
sicurezza, sanità o tranquillità pubblica, ovvero per la integrità fisica o morale dei
minorenni. Soltanto nei termini predetti l’avviso orale opera dunque quale condizione di
validità della domanda di applicazione della misura di prevenzione (Cass. sez. 1, n.
27069 del 7/06/2001, Mattana, rv. 219912).
Tale presupposto non è, invece, richiesto nei confronti di quanti rientrino nelle
categorie di soggetti indicati dall’art. 1, nn. 1 e 2 della legge n. 1423/56, ossia quando si
tratti di oziosi, pur abili al lavoro, oppure di persone notoriamente ed abitualmente dedite
a traffici illeciti, oppure che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività
delittuose, per i quali sono applicabili, secondo quanto disposto dalla L. n. 152 del 1975,
art. 19, le disposizioni di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, che consentono al P.M. di
formulare la proposta di sottoposizione a misura di prevenzione personale anche in
assenza di previo avviso orale (Cass. sez. 1, n. 254 del 21/11/2007, Guardiano, rv.
238770).
2.1 Al riguardo la Corte di Appello, preso atto delle emergenze del procedimento
penale parallelo, nel quale essi erano stati sottoposti a misura coercitiva custodiale e poi
domiciliare, cessata per decorrenza dei termini massimi di durata, ha ritenuto in punto di
fatto che i due fratelli Tela fossero dediti abitualmente alla commissione di condotte
illecite per avere per molti anni consecutivi utilizzato la loro impresa societaria
prevalentemente quale “cartiera”, ossia per l’emissione di fatture per operazioni
inesistenti, utilizzate poi da altri imprenditori per simulare costi in realtà non sostenuti,
dalla quale attività avevano potuto ricavare ingenti profitti mediante il meccanismo della
retrocessione in denaro contante di quanto dovuto all’Erario a titolo di i.v.a. sugli importi
fatturati. In punto di diritto ha richiamato l’orientamento interpretativo della
3

presupposto della contestazione della pericolosità generica, si assume essere carente il

giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale le misure di prevenzione personale e
patrimoniale devono intendersi legittimamente applicate, quale effetto della norma di cui
all’art. 19 della L. n. 152 del 1975, che estende le disposizioni della L. n. 575 del 1965,
previste per i soggetti dotati di pericolosità “qualificata” in quanto sospettati di
appartenenza ad associazione maffosa, alle persone indicate nella L. n. 1423 del 1956,
art. 1, nn. 1 e 2, caratterizzate da mera pericolosità “generica” , perché ritenuti
abitualmente dediti a traffici delittuosi o ad attività delittuose da cui almeno in parte
traggano i mezzi di sostentamento: al riguardo ha rilevato correttamente come tale
dell’approvazione della novella limitativa, introdotta con L. n. 55 del 1990 all’art. 14, in
seguito tornati in vigore con il D.L. n. 92 del 2008, art. 11-ter, conv. in L. n. 125 del
2008, che ha abrogato l’art. 14 (Cass. S.U., n. 13426 del 25/3/2010, Cagnazzo, rv.
246272; sez. 5, n. 3914 del 17/11/2011,Serafini, rv. 251719; sez. 5, ord. n. 26044
dell’8/6/2011, Autuori, rv. 250924-3, quest’ultima pronuncia ha anche dichiarato
inammissibile per manifesta infondatezza la questione di legittimità costituzionale della
norma di cui all’art. 19 della L. n. 152 del 1975).
Quanto premesso consente di escludere fosse necessario nel caso di specie l’avviso
orale, sicchè anche nel merito la questione è infondata, non essendo ravvisabile la
violazione di legge denunciata.
2.2 Non risponde poi al vero che la Corte territoriale abbia omesso di rilevare la
carenza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale alla luce delle argomentazioni
difensive: al contrario, ha puntualmente affermato “non fa venir meno la pericolosità
idonea a giustificare la misura di prevenzione adottata, né la chiusura dell’esercizio
commerciale né la collaborazione nella attività d’indagine, poiché il protrarsi, pervicace e
organizzato e sistematico, dell’attività illecita e l’attuale consistenza di un patrimonio
mobiliare che certamente e per una parte, che forse non è neppure possibile quantificare,
ne è stato il frutto e che ha costituito e può costituire fonte attuale di sostentamento
degli indagati…, viene ritenuto da questo Collegio espressione di quella abitualità che
connota la pericolosità sociale ai sensi dell’art. 1 L.1423/1956”. Pertanto, i motivi dedotti
dagli appellanti sono stati considerati e respinti con motivazione esistente, comprensibile
ed effettiva, non censurabile in questa sede per i limiti di cognizione propri del giudizio di
3. Il secondo motivo di gravame ripropone la tesi difensiva della legittima
acquisizione della somma di denaro rinvenuta in contanti presso l’abitazione di Tullio Teia
e dell’altro importo a concorrenza dei quali era stata disposta la confisca, in quanto
compendio ereditario proveniente dalla successione al padre ed accresciuto nel tempo per
effetto di mirati investimenti azionari, lamentando sul punto violazione di legge quanto ai
presupposti per l’applicazione di misura di prevenzione patrimoniale ed omessa
motivazione anche in ordine alla prova documentale offerta.

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estensione sia legittima alla luce dei parametri stabiliti dalla normativa in vigore prima

3.1 Anche sotto questo profilo il provvedimento impugnato resiste ai rilievi critici
che gli sono stati mossi, dal momento che con motivazione analitica ha ricostruito
l’origine della somma di denaro rinvenuta in contanti presso l’abitazione di uno dei
proposti e ne ha affermato la natura di profitto del reato continuato di emissione di
fatture per operazioni inesistenti sulla scorta, sia delle Informazioni ottenute da alcuni
fruitori dei documenti fiscali e dell’accertata corrispondenza, consentita dalla
documentazione extracontabile parimenti rinvenuta al domicilio di Tullio Teia, all’importo
dell’i.v.a. dovuta all’Erario per gli importi fatturati, riscosso dagli operatori economici
con i redditi dichiarati, sia personali, pari a zero per Tullio Tela, sia dell’impresa emittente
le fatture in contestazione, risultata avere costantemente operato in perdita negli anni
2005-2010, nonché della provenienza da versamenti in contanti della provvista con la
quale gli indagati avevano effettuato investimenti mobiliari, non da liquidazione di
precedenti titoli o da interessi maturati dagli stessi, la Corte di Appello ha escluso che
tale deposito di contanti, appositamente non confluito in conti correnti o in rapporti
bancari tracciabili, possa essere stato acquisito per via ereditaria. In tal modo ha dato
puntuale applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 2-ter e 3 della legge n. 575/1965,
che subordinano l’adozione del provvedimento di confisca di prevenzione all’accertamento
della pericolosità del proposto e della sproporzione del valore dei beni sequestrati e poi
confiscati rispetto ai redditi dichiarati ed all’attività economica svolta, oppure della loro
provenienza da condotte illecite; inoltre, ha offerto risposta pertinente ed ancorata a dati
concreti, ricavati dagli accertamenti della G.d.F., alle obiezioni difensive, che non
risultano affatto neglette o ignorate, ma motivatamente respinte senza che sia consentito
a questa Corte verificare, per quanto già detto, la congruenza e la logicità del percorso
argomentativo.
3.2 Quanto alla pretesa disparità di trattamento, riservata dai giudici di merito ai
ricorrenti rispetto agli altri coeredi del loro genitore, in realtà non si ravvisa alcun profilo
meritevole di annullamento, dal momento che l’esenzione da misura di prevenzione è
dipesa dall’estraneità di costoro a qualsiasi attività criminosa e dall’assenza di pericolosità
sociale, quindi da una specifica giustificazione, riguardante le loro posizioni individuali.
4. Anche la doglianza che lamenta l’omessa valutazione della condizione lavorativa
di Claudio Tela e la dichiarazione resa in suo favore dal fratello, assuntosi la
responsabilità esclusiva delle scelte e delle condotte illecite, non coglie nel segno, avendo
la Corte territoriale esaminato tali deduzioni difensive per ritenerle insufficienti ad
esentare dalle misure disposte uno dei due proposti in ragione del coinvolgimento di
entrambi nelle attività dell’impresa, utilizzata come “cartiera”, dell’emissione a firma di
Claudio Teia dei suoi documenti ufficiali e fiscali, grazie ai quali si erano realizzate le
fattispecie criminose e della visione dei resoconti bancari, evidenzianti le operazioni
effettuate dal fratello di versamento degli assegni con i quali era stato retrocesso

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destinatari delle fatture stesse. In virtù di tale ricostruzione, della vistosa sproporzione

l’importo per l’i.v.a.. Anche sotto questo profilo il provvedimento impugnato presenta un
apparato motivazionale effettivo ed aderente alle contestazioni mosse con l’appello.
5. Infine, non può apprezzarsi la censura, riguardante l’omessa considerazione della
documentazione prodotta, che in sé

potrebbe devolvere un profilo ammissibile di

contestazione quanto a carente motivazione, perché risulta affetta da generica
formulazione, non essendo specificato di quale materiale probatorio si tratti e quale
rilevanza potesse assumere al fine dell’assunzione della decisione impugnata, tanto più
che trattasi di documenti non prodotti nemmeno nel giudizio d’appello, rimasti totalmente

Il ricorso, privo di fondamento, va dunque respinto con la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2012.

Ignoti a questa Corte.

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