Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13386 del 28/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 13386 Anno 2014
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAGLIARA ANDREA N. IL 08/07/1973
avverso la sentenza n. 3919/2013 CORTE DI CASSAZIONE di ROMA,
del 10/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;

Data Udienza: 28/02/2014

udito il PG in persona del sost.proc.gen. dott. M. Fraticelli che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso,
RITENUTO IN FATTO

2. Il difensore del Pagliara propone ricorso straordinario per errore di fatto, ai sensi
dell’articolo 625 bis cpp, avverso la ricordata sentenza della prima sezione della corte di
cassazione.
2.1. Si sostiene che il giudice di legittimità abbia erroneamente percepito e inteso il
senso e il contenuto delle censure formulate nell’interesse del Pagliara nei confronti della
sentenza di secondo grado. Invero, i giudici di merito fondarono il loro convincimento
colpevolista sulla base delle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia, i coimputati Cerfeda
Filippo e Franco Fabio. Con il ricorso, si era fatto presente che, contrariamente a quanto si
legge nella sentenza di appello, le dichiarazioni dei due predetti non si riscontrano
vicendevolmente, ma si elidono, atteso che “Cerfeda attribuiva al Pagliara un ruolo
preparatorio e organizzativo, il Franco lo escludeva; mentre il Cerfeda ritagliava per il
ricorrente, quanto alla fase esecutiva, il ruolo di stare in cucina, disarmato, con il Cerfeda, il
Franco, in un primo momento, non si ricorda neppure se Pagliara fosse all’interno della casa e,
successivamente, non si ricorda come egli fosse giunto. In buona sostanza, nella discrasia tra
le dichiarazioni del Cerfeda e del Franco, il giudice avrebbe dovuto privilegiare, per favorire
l’imputato, le affermazioni di estraneità di quest’ultimo”. Ebbene, la corte di cassazione
(sezione prima) ha ritenuto (e ha scritto) che, con il ricorso, si sollecitava una (non consentita)
rivalutazione nel merito delle emergenze probatorie, laddove, invece, si denunziava un patente
vizio dell’apparato motivazionale esibito dal giudice di appello, che aveva ignorato le flagranti
contraddizioni tra le versioni di Cerfeda e di Franco. Se il giudice di legittimità avesse
correttamente compreso e valutato la portata delle censure mosse dalla difesa del Pagliara,
esso si sarebbe diversamente determinato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto al di fuori delle ipotesi previste dalla
legge, non avendo, in realtà, la prima sezione di questa corte commesso alcun errore
percettivo. Conseguentemente il ricorrente va condannato alle spese del grado e al
versamento di somma a favore della cassa delle ammende, somma che si stima equo
determinare in euro 2000.

1. La prima sezione di questa corte, con sentenza 10 aprile 2013 (depositata il 10
maggio 2013), ha, tra l’altro, rigettato il ricorso proposto nell’interesse di Pagliara Andrea,
imputato di concorso in omicidio premeditato (e altri reati) in danno di Lezzi Giuseppe (in
Amsterdam, novembre 2001) e condannato alla pena di anni 30 di reclusione.

2. La sentenza ricorsa evidenzia come le sentenze di merito abbiano indicato il ruolo di
mandante del Cerfeda e il ruolo di esecutore materiale del Franco. Il primo, per sua stessa
ammissione, era anche presente sul luogo e nel momento in cui venne consumato l’omicidio.
Viene anche messo in evidenza che entrambi i due collaboratori di giustizia coinvolgono il
Pagliara nell’omicidio, tanto che lo stesso fu fatto venire dall’Italia proprio perché partecipasse
all’atto criminoso. Pagliara viene indicato anche come colui che cancellò le tracce dell’omicidio
nell’appartamento nel quale esso era stato consumato.
I giudici del merito hanno affermato che le dichiarazioni del Cerfeda e del Franco si
riscontravano, nel loro nucleo essenziale, ed hanno anche ritenuto che le stesse dichiarazioni
avessero ricevuto ulteriore conferma dalle parole di altro collaboratore di giustizia, tale Palazzo
Adriano il quale, sia pure de relato, ebbe a riferire in merito, avendo appreso i fatti da alcuni
partecipi, vale a dire da Vitale Ivan e dallo stesso Pagliara.
2.1. Al proposito, è appena il caso di ricordare che le sezioni unite di questa corte, con
la sentenza 20804 del 2013 (RV 255141 ss), hanno chiarito che una chiamata in reità de relato
ben può essere l’unico riscontro ad altre chiamata della stessa natura, se entrambe hanno t
autonomia genetica e appaiono attendibili, specifiche e convergenti.

e

3. La prima sezione di questa corte, per parte sua, a pagina 6 della sentenza, dà atto
della censura formulata dal ricorrente contro la sentenza di appello (censura che corrisponde,
quasi alla lettera, a quella poi riprodotta nel presente ricorso, proposto ai sensi dell’articolo 625
bis del codice di rito).
Alle pagine 11 e 12 la corte di legittimità fornisce risposta alla censura predetta, evidenziando
che “il giudice di merito ha individuato, con argomentazioni logiche ed esaustive, un ruolo che,
ancorché non da protagonista per il Pagliara, non per questo, deve ritenersi meno rilevante. È
indubitabile infatti -prosegue la prima sezione di questa corte- che la presenza del prefato sul
luogo dell’omicidio (segnalata da entrambi i collaboranti) è di per sé determinante, in base alla
considerazione, menzionata dal giudice del fatto, secondo cui nessuno sarebbe stato ammesso
in quel luogo nel momento delicatissimo dell’omicidio, se la sua presenza non fosse, non solo
di un’intraneo fidato, ma anche in qualche modo funzionale al grave atto delittuoso che si
andava a compiere. E il ricorrente, con la sua partecipazione, ha contribuito certamente, come
argomentato diffusamente dal giudice di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici e
giuridici, nella parte che per lui era stata ritagliata dal Cerfeda, a rafforzare il convincimento
degli altri al compimento del delitto. Ha aiutato infatti a predisporre l’agguato con la
predisposizione dell’ambiente, ha formato il gruppo operativo, si è conformato al suo ruolo
esecutivo. Anche solo il fatto di essersi nascosto in cucina, secondo le direttive del Cerfeda, è
stato un modo per assecondare la riuscita del piano, secondo quanto in precedenza
organizzato, durante la riunione preparatoria, cui ha fatto parte.”
e
3.1. Ha dunque ritenuto la prima sezione di questa corte che lgiudici del merito abbiano,
non illogicamente, rilevato la coincidenza del nucleo essenziale delle dichiarazioni del Cerfeda
con quelle provenienti dal Franco (ulteriormente riscontrate dal Palazzo), svalutando (in quanto
considerate marginali) le discrasie segnalate dal ricorrente.
In questo senso, ha opinato, non scorrettamente, che -con il ricorso- si fosse richiesta, in
realtà e al di là del mascheramento verbale, una vera e propria rivalutazione del fatto, vale a
dire una rivalutazione del peso delle denunciate discrasie che, secondo la prospettazione del
ricorrente, avrebbero dovuto scardinare la compatibilità delle due ricostruzioni (che, in realtà,
erano tre).
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di € 2000 alla cassa delle ammende

Così deciso in Roma, camera di co iglio, il giorno 28 febbraio 2014.-

Nel caso in esame, come premesso, i giudici del merito avevano valutato, non solo la
testimonianza de relato del Palazzo, ma anche -e principalmente- quelle dirette del Cerfeda e
del Franco.

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