Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13365 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 13365 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALABRIA SERVICE SRL
PANNACE ANTONIO N. IL 19/12/1965
avverso il decreto n. 65/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO, del
23/11/2012
sentita la re azione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
lette/sìtite le conclusioni del PG Dott.

e

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 10/01/2014

Propongono ricorso per cassazione, Pannace Antonio e la Calabria service Srl, quest’ultima a
mezzo di procuratore speciale del legale rappresentante Natolo Michele, avverso il decreto
della Corte d’appello di Catanzaro, in data 23 novembre 2012, con il quale è stato confermato
il provvedimento di confisca, emesso in primo grado nel 2011, ai sensi degli articoli 2 bis e 2
ter della I. n. 575 del 1965.
Tale provvedimento aveva avuto ad oggetto beni immobili, apparentemente intestati agli
odierni ricorrenti, ma sostanzialmente ritenuti nella disponibilità di Fiarè Rosario, soggetto
giudicato pericoloso socialmente perché inserito in un contesto mafioso.
Per converso, si è ritenuto che gli apparenti intestatari dei beni, intervenuti dunque come terzi
nella procedura di prevenzione, e nemmeno legati da vincoli alla famiglia del proposto, non
fossero gli effettivi proprietari degli stessi anche perché titolari di redditi leciti ,rispetto ai quali
risultavano sproporzionati i valori dei beni in questione.
Deducono la violazione degli articoli 2 bis e 2 ter I. n. 575 del 1965 nonché il vizio integrale
della motivazione, sul punto della fittizia intestazione dei beni oggetto di confisca.
Sostiene il comune difensore che sarebbe mancata, da parte dell’accusa, la doverosa indagine
patrimoniale capace di dimostrare, al di là degli elementi di fatto pure prodotti dai ricorrenti a
proposito della modalità di acquisto dei beni ad essi intestati, la loro incapacità reddituale a far
fronte agli acquisti medesimi.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, per
la chiarezza della motivazione riguardo alle prove della sicura riferibilità dei beni al proposto
Fiarè Rosario.
Il ricorso è inammissibile, anche per le ragioni sostenute dal Procuratore generale nella
requisitoria scritta.
Invero, proprio la regola di giudizio in tema di ricorso per cassazione avverso provvedimenti
dispositivi di misure di prevenzione – emarginata dal PG nella propria requisitoria- è quella
che risolve, in prima battuta, il caso di specie, con una necessaria declaratoria di
inammissibilità, per essere stati dedotti motivi di impugnazione non consentiti.
Ed infatti, come stabilito normativamente e più volte affermato dalla Corte di legittimità, nella
materia de qua, il ricorso è consentito soltanto per violazione di legge: ipotesi che, se riferita
alla motivazione, ricorre nel caso in cui possa fondatamente sostenersi che la motivazione
medesima è graficamente assente o anche soltanto apparente.
Nel caso di specie, tale ipotesi non si è verificata, atteso che il giudice dell’appello ha
dimostrato di fondare il proprio esaustivo ragionamento su precise emergenze probatorie,
rappresentate dal tenore di intercettazioni ambientali o telefoniche: intercettazioni dalle quali
esso ha motivatamente evinto la precisa rivendicazione dei beni in questione, da parte di Fiarè
Rosario, soggetto riconosciuto organico al contesto mafioso, il quale parlava degli stessi e ne
dimostrava la gestione concreta, uti dominus.
è dunque da escludere che si sia in presenza di un caso di mancanza assoluta di motivazione o
di motivazione apparente, laddove la doglianza della difesa appare idonea, al più, a configurare
una ipotesi di mera insufficienza della motivazione medesima.
Il difensore, infatti, sostiene che non sarebbe stata effettuata, altresì, un’indagine patrimoniale
capace di dimostrare, nonostante e oltre le intercettazioni, se i soggetti ricorrenti avessero o
meno la capacità reddituale per far fronte agli acquisti dei beni ad essi apparentemente
intestati.

Fatto e diritto

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna di ciascun ricorrente al
versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare
in euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000.
Così deciso in Roma il 10 gennaio 2014

Il Presidente

il Cons. est.

Si tratta, però, di una doglianza che non solo è inammissibile per la ragione formale appena
indicata, ma lo è anche per la sua manifesta infondatezza.
Ed infatti, come bene sottolineato dal Procuratore generale, il mancato espletamento
dell’indagine patrimoniale indicata dagli impugnanti non radica un corrispondente difetto
probatorio su elemento decisivo e tanto meno un caso di mancanza totale di motivazione su
questione fondante.
Invero , il tema della sproporzione del bene rispetto ai redditi del titolare apparente opera in
modo diverso a seconda che il titolare del bene sia il proposto stesso ovvero un terzo (vedi,
Sez. 5, Sentenza n. 10123 del 28/05/1998 Ud. (dep. 25/09/1998) Rv. 211832).
Nel primo caso, infatti, l’accertamento e l’affermazione della sproporzione rispetto al reddito
dichiarato o all’attività economica esercitata, porrebbero l’accusa in posizione di completo
espletamento dell’onere probatorio che su di essa incombe, perché il legislatore ha forgiato ,
per tale evenienza, una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, trasferendo
sul soggetto che ha la titolarità o la disponibilità del bene, l’onere di giustificarne la
provenienza.
Nel caso, invece, nel quale – come accaduto nel procedimento in oggetto- titolare apparente
del bene sia un soggetto terzo , la dimostrazione della sproporzione del valore del bene
rispetto ai suoi redditi leciti non esaurirebbe comunque l’onere probatorio della accusa, la
quale resterebbe gravata dal dovere di dimostrare in modo rigoroso tale intestazione fittizia,
ricorrendo eventualmente anche alla indagine sulle capacità economiche del titolare ma non
potendosi limitare ad essa nei casi, quale quello in esame, nei quali il soggetto non sia
nullatenente.
Per tale ragione costituisce motivazione non ulteriormente censurabile sotto il profilo evocato
dalla difesa, quella che ha riguardato la illustrazione degli indizi concernenti la oggettiva e
soggettiva appartenenza e gestione dei beni da parte del proposto, anche indipendentemente
dalla analisi della capacità reddituale degli intestatari apparenti.

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