Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13363 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 13363 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Audifferen Lola Elisabeth, nata a Lagos (Nigeria) il 6.6.1981, avverso
l’ordinanza emessa dal tribunale della libertà di Trieste il 4.4.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
letta la requisitoria scritta con cui il pubblico ministero, nella persona del
sostituto procuratore generale dott. Vincenzo Geraci, ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza emessa in data 12.3.2013 la corte di appello di Milano
dichiarava inammissibile l’appello proposto da Audifferen Lola Elisabeth
avverso la sentenza con cui, in data 15.5.2009, il tribunale di Como

Data Udienza: 12/12/2013

aveva condannato quest’ultima alla pena di mesi tre di reclusione, in
relazione al delitto di cui agli artt. 81, cp.v., 495, c.p.
2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
ricorso per cassazione, l’imputata, a mezzo del proprio difensore di
fiducia, lamentando i vizi di cui all’art. 606, co. 1, lett. c) ed e), c.p.p., in
relazione all’art. 581, c.p.p., in quanto la corte territoriale ha errato nel
ritenere generici i motivi di appello, che, invece, erano sufficientemente

specifici, riguardando, da un lato l’applicabilità, nel caso in esame, della
disciplina più favorevole all’imputato, antecedente alla riforma
intervenuta con la I. 24.7.2008, n. 125, disciplina in base alla quale era
necessario che le false dichiarazioni in ordine alla identità personale
fossero inserite o da inserire in un atto pubblico, non essendo sufficiente
la semplice dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale; dall’altro la
richiesta di comminare il minimo della pena in ragione della
incensuratezza dell’imputata.
Rileva, infine, la ricorrente come la corte territoriale abbia omesso di
considerare che, attraverso la discussione orale, ai sensi del combinato
disposto degli artt. 602, ultimo comma, e 523, co. 1, c.p.p., l’appellante
avrebbe potuto formulare ed illustrare le proprie conclusioni, con ciò
conformandosi che i motivi scritti possono anche essere sintetici.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi che lo sostengono.
4. Come correttamente rilevato dalla corte territoriale, l’appellante, nel
contestare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non si è
soffermato sulle circostanze nelle quali era stata richiesta delle
generalità dagli appartenenti alle forze di polizia che, in diverse
circostanze di tempo e di luogo, per sei volte, l’avevano sottoposta a
controllo (cfr. sentenza del tribunale di Como, in atti), per cui risulta del
tutto generico il motivo di appello con cui il difensore dell’imputata,
invocando

l’applicazione dell’art.

495,

c.p.,

nella

precedente

formulazione, rappresentava che l’elemento soggettivo del delitto in
questione non risulta integrato “in quanto dagli atti non risulta che la
signora Audifferen abbia agito con la consapevolezza che le dichiarazioni

2
(-

rese ai Carabinieri erano destinate ad essere inserite all’interno di un
atto pubblico” (cfr. p. 2 dell’atto di appello).
Ed invero costituisce specifica causa di inammissibilità la genericità dei
motivi di ricorso in violazione dell’art. 581, lett. c), c.p.p., che nel
dettare, in generale le regole cui bisogna attenersi nel proporre
l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere
enunciati, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni

violazione che, ai sensi dell’art. 591, co. 1, lett.

c), c.p.p., determina

l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Cass., sez. VI,
30.10.2008, n. 47414, Arruzzoli e altri, rv. 242129; Cass., sez. VI,
21.12.2000, n. 8596, Rappo e altro, rv. 219087).
5. Anche con riferimento al profilo attinente al trattamento sanzionatorio
va rilevato come il ricorso sia assolutamente privo di fondatezza.
Con il gravame, infatti, l’appellante invocava, da un lato il
riconoscimento delle circostanze attenuante generiche, al fine di
ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, non considerando che il
giudice di primo grado le aveva concesse proprio in considerazione della
“lievità dei comportamenti antigiuridici” posti in essere dall’imputata;
dall’altro la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena e di quello della non menzione della condanna nel casellario
giudiziale, di cui all’art. 175, c.p, senza formulare, tuttavia, specifiche
censure in ordine al percorso argomentativo seguito dal tribunale per
negare i suddetti benefici (cfr. p. 3 della sentenza di primo grado).
6.

Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso va dichiarato

inammissibile, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonché in favore
della cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione pecuniaria,
che appare equo fissare in euro 1000,00, tenuto conto della manifesta
inammissibilità dei motivi di ricorso, rispetto ai quali il difensore della
ricorrente non può ritenersi immune da colpa (cfr. Corte Costituzionale,
n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.

3

di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”;

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 12 12.2013

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