Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13350 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 13350 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposta da
Ferrari Maurizio, nato a Giulianova il 7.4.1961, avverso la sentenza
pronunciata dal tribunale di Teramo il 7.12.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Marco Maria Ferrari, che ha concluso per
raccoglimento del ricorso, chiedendo, inoltre, che si provveda sulle
statuizioni civili in via preliminare

FATTO E DIRITTO

Data Udienza: 12/12/2013

1. Con sentenza pronunciata il 7.12.2012 il tribunale di Teramo in
composizione monocratica, in qualità di giudice di appello, confermava la
sentenza con cui il giudice di pace di Giulianova, in data 18.7.2011
aveva condannato Ferrari Maurizio, imputato del delitto di cui all’art.
595, c.p., commesso in danno di Massi Giuseppe alla pena di euro

favore della persona offesa, costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto
tempestivo ricorso, a mezzo del suo difensore di fiducia, l’imputato,
lamentando. 1) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata; 2) il vizio di cui all’art. 606,
co. 1, lett. b), in relazione all’art. 595, c.p.; 3) il vizio di cui all’art. 606,
co. 1, lett. b), in relazione all’art. 598, c.p.
3.

Con motivi aggiunti, depositati in cancelleria il 12.12.2013, il

difensore del ricorrente, premesso che in data 1.12.2013 al Ferrari
Maurizio è stato notificato atto di citazione a comparire innanzi al
tribunale civile di Teramo su impulso della parte civile costituita Massi
Giuseppe, in cui quest’ultimo dichiara di promuovere, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 82, co. 2, c.p., l’azione di risarcimento dei danni, chiede
l’annullamento dell’impugnata sentenza, fermi restando gli altri motivi di
ricorso, limitatamente alle statuizioni civili, in quanto la menzionata
dichiarazione costituisce revoca espressa della costituzione in sede
penale della parte civile, rilevabile d’ufficio.
4. Il ricorso appare fondato solo con riferimento alla questione dedotta
con i motivi aggiunti, mentre va rigettato nel resto.
5. Ed invero, infondato appare il primo motivo di ricorso, che, a ben
vedere, si colloca ai confini della inammissibilità.
La corte territoriale, infatti, a differenza di quanto affermato dal
ricorrente, con motivazione approfondita ed immune da vizi logici, ha
fornito adeguata risposta a tutte le questioni poste nei motivi di appello,
evidenziando come il contenuto della lettera spedita dall’imputato al
sindaco del comune di Giulianova, al dirigente area servizi collettività e
territorio ed al comandante della polizia municipale del suddetto

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1500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato, in

comune, nell’ambito di un procedimento amministrativo avviato dalla
stessa amministrazione comunale che aveva comunicato al Ferrari
l’intenzione di revocare, su sollecitazione del Massi, quale difensore della
società “Astra Immobiliare”, un’autorizzazione edilizia rilasciata in
precedenza allo stesso Ferrari, abbia un contenuto oggettivamente lesivo

giudice di primo grado, la cui valutazione sul punto viene espressamente
richiamata e fatta propria dal tribunale, si addebitano “alla parte offesa
atti di connivenza e macchinazioni attuati dal professionista per ottenere
un vantaggio personale e spingere l’amministrazione ad agire secondo il
proprio volere”.
In tal modo, come ben motiva il giudice di appello, nel prospettare la
sussistenza di un indebito rapporto preferenziale tra l’amministrazione
comunale di Giulianova e l’avv. Massi, che verrebbe agevolato “nella sua
attività professionale dalla assenza di trasparenza nei rapporti con la
P.A.”, l’imputato, “con palese esondazione da un linguaggio corretto e
continente”, ha aggredito la reputazione del Massi, ponendo in essere
una “condotta idonea, di per sé, ad integrare il reato contestato”.
Siffatta valutazione appare del tutto conforme ai principi da tempo
affermati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione
dell’art. 595, c.p., secondo cui in tema di diffamazione, posto che la
reputazione è data dalla stima e dalla considerazione di cui un soggetto
(persona fisica o anche entità giuridica o di fatto, quale una fondazione,
un’associazione o una società) gode nell’ambito sociale ed economico di
appartenenza, deve ritenersi che essa sia pregiudicata non solo
dall’attribuzione alla persona offesa di specifici comportamenti da essa
posti in essere, ma anche dalla rappresentazione di situazioni suscettibili
di incidere negativamente sull’immagine che della medesima si abbia tra
i consociati (cfr. Cass., sez. V, 21/09/2012, n. 43184).
Commette il reato di diffamazione, pertanto, chiunque adoperi termini
che risultino offensivi, in base al significato che essi vengono
oggettivamente ad assumere, nella comune sensibilità di un essere
umano, collocata in un determinato contesto storico e in un determinato

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dell’onore della persona offesa, in quanto con esso, come evidenziato dal

ambito sociale, integrando integra la lesione della reputazione altrui non
solo l’attribuzione di un fatto illecito, perché posto in essere contro il
divieto imposto da norme giuridiche, assistite o meno da sanzione, ma
anche la divulgazione di comportamenti che, alla luce dei canoni etici
condivisi dalla generalità dei consociati, siano suscettibili di incontrare la

10393; Cass., sez. V, 25/10/2012, n. 8348;).
Rispetto al limpido percorso motivazionale seguito dal tribunale, le
doglianze difensive, che insistono sulla necessità di verificare l’effettivo
valore offensivo di ciascuna delle espressioni riportate nel capo
d’imputazione, “raffrontandole con i documenti e gli atti ritualmente
introdotti nel processo…. per verificare se dette espressioni sono
effettivamente diffamatorie, se si riferiscono o meno all’avv. Giuseppe
Massi, se riguardano fatti veri documentati oppure rappresentano
illazioni o, peggio, espressioni volutamente offensive della reputazione
dell’avvocato” (cfr. pp. 15-16 del ricorso), da un lato ripropongono
acriticamente le medesime doglianze disattese dal giudice di secondo
grado, dall’altro si risolvono in censure di merito, non consentite in
questa sede di legittimità.
6. Non coglie, inoltre, nel segno il ricorrente nel sostenere che la missiva
di cui si discute va considerata alla stregua di una memoria difensiva,
con cui si voleva dimostrare all’amministrazione comunale di Giulianova
“che la decisione che aveva preannunciato di voler adottare, aprendo il
procedimento amministrativo, era assolutamente illegittima e
caratterizzata da abuso di potere, che poteva anche esondare nel reato
di abuso d’ufficio, perché era stata indotta in errore da una inesatta
rappresentazione della realtà contenuta nell’esposto del 5.8.2008 e
soprattutto in quello del 10.6.2009, inviati al Comune dalla Astra
Immobiliare tramite l’avv. Giuseppe Massi” (cfr. p. 16 del ricorso).
Il tema viene ripreso anche nei successivi motivi di ricorso, con cui, da
un lato si evidenzia la mancanza del dolo e dell’elemento della
“comunicazione con più persone”, dall’altro si invoca l’applicazione della
esimente di cui all’art. 598, c.p.

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riprovazione della communis °pini° (cfr. Cass., sez. V, 06/11/2012, n.

Evidenzia, al riguardo, il ricorrente che la missiva di cui si discute
conteneva formali controdeduzioni difensive avverso il provvedimento
amministrativo notificato il 14.10.2009, inviate agli organi dell’ente
pubblico che avevano emesso il provvedimento o che erano preposti alla
disamina di esso, per cui, stante il divieto legale di diffusione dello

sua diffusione non solo non si è verificata in concreto, ma non era né
voluta, né prevedibile da parte del Ferrari, che non aveva nessuna
intenzione di offendere l’avv. Massi, ma solo di difendere i suoi diritti,
utilizzando, peraltro, espressioni che si risolvono in critiche all’operato
dell’amministrazione comunale, rimproverata di non essere imparziale,
ma condizionata nei suoi atti, con esclusivo riferimento alla questione
oggetto delle controdeduzioni del ricorrente.
6.1 Orbene non appare revocabile in dubbio che con la missiva in
questione, indirizzata a tre soggetti operanti all’interno della medesima
amministrazione pubblica, l’imputato abbia comunicato con più persone,
posto che in tema di diffamazione,sussiste l’estremo della comunicazione
con più persone quando l’agente prenda direttamente contatto con una
pluralità di soggetti (cfr. Cassazione penale, sez. V, 28/11/2012, n.
16171).
Ne consegue che il divieto di diffusione dello scritto a soggetti estranei al
procedimento amministrativo, aspetto su cui si è soffermato il ricorrente,
costituisce un dato del tutto irrilevante ai fini del perfezionarsi della
fattispecie delittuosa in esame, essendosi la diffamazione, reato
istantaneo (cfr. Cass., sez. I, 26/05/2004, n. 31563), già consumata nel
momento in cui la missiva è pervenuta alle autorità amministrative
innanzi indicate.
Né va taciuto, ad ulteriore dimostrazione dell’infondatezza dell’assunto
difensivo, che, come è stato affermato da una condivisibile decisione del
Supremo Collegio, la destinazione alla divulgazione nei confronti di più
persone può trovare il suo fondamento, oltre che nella esplicita volontà
del mittente-autore anche nella natura stessa della comunicazione, in
quanto propulsiva di un determinato procedimento (giudiziario,

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scritto difensivo a soggetti estranei al procedimento amministrativo, la

amministrativo, disciplinare), che deve essere

ex lege

portato a

conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario, sempre
che l’autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il
contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi (cfr. Cass., sez. V,
06/04/2011, n. 23222, rv. 250458).

nell’ultimo motivo di ricorso, al fine di sostenere l’applicabilità della
esimente di cui all’art. 589, c.p., afferma testualmente come la missiva
in questione costituisca “un vero e proprio scritto difensivo, che faceva
parte di un procedimento amministrativo e che era preordinato, in caso
di rigetto delle deduzioni contenute in detto scritto, ad un formale
giudizio dinanzi al tribunale amministrativo regionale per l’annullamento
dell’atto illegittimo eventualmente emesso dal comune” (cfr. pp. 32-33
del ricorso).
6.2 Del pari infondato risulta il richiamo alla esimente di cui all’art. 5,
c.p., concernente la non punibilità delle offese contenute in scritti e
discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie e amministrative, la
cui applicabilità è esclusa qualora le affermazioni contenute in uno
scritto difensivo non consistano in mere offese, ma si risolvano nella
falsa attribuzione di fatti specifici lesivi della reputazione del soggetto
cui si riferiscono, che potrebbero anche risultare calunniosi (cfr.
Cassazione penale, sez. V, 19/05/2011, n. 29235, rv. 250466; Cass.,
sez. V, 30/06/2011, n. 31115, rv. 250587).
Tale appare il contenuto della missiva di cui si discute, in cui si
rappresenta, tra l’altro, una situazione di “palese soggezione”
dell’amministrazione comunale nei confronti dell’avv. Massi, quando egli
“assiste la Astra immobiliare o altri soggetti in reale e potenziale
conflitto di interessi con l’Ente nei cui atti spesso contraddittori si
percepisce nettamente un conflitto interno tra la produzione di atti dei
quali si avverte la parzialità in danno di un privato, a seguito di chiare
pressioni da parte di altro soggetto, supportato dal peso del suo legale,
per spingere l’ufficio ad adottare provvedimenti amministrativi illegittimi
ed ingiusti che poi vengono purtroppo adottati come quello in oggetto”.

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Circostanza, quest’ultima, ammessa dallo stesso ricorrente, che

Evidente, dunque, l’attribuzione al Massi della capacità di condizionare a
vantaggio dei propri clienti le scelte dell’ente territoriale, ottenendo
provvedimenti illegittimi in loro favore, quanto meno con specifico
riferimento alla revoca dell’autorizzazione edilizia rilasciata in favore del
Ferrari, attribuzione dalla evidente natura calunniosa, in quanto con essa

tema di delitti contro la pubblica amministrazione (ed infatti lo stesso
ricorrente ha ipotizzato in ricorso, come si è visto, che la decisione che il
comune aveva preannunciato di adottare, avrebbe potuto integrare gli
estremi del reato di cui all’art. 323, c.p.).
6.3 Infondato, infine, è anche il rilievo sulla mancanza dell’elemento
soggettivo del reato, sia per le ragioni già esposte, sia perché, come da
tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della sussistenza
dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che
sussista l’animus iniurandi vel diffamandi, essendo sufficiente il dolo
generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in
quanto è sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole
ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate
in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere,
senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (cfr., Cass., sez.
V, 12/12/2012, n. 4364, A., rv. 254390).
7. Fondata, invece, appare la doglianza rappresentata nei motivi
aggiunti.
Ed invero costituisce orientamento da tempo consolidato nella
giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il trasferimento
dell’azione civile comporta, giusta la previsione dell’art. 82, co. 2, c.p.p.,
la revoca della costituzione di parte civile e l’estinzione del rapporto
processuale civile nel processo penale e ciò impedisce al giudice penale
di mantenere ferme le statuizioni civili relative ad un rapporto
processuale ormai estinto.
Di conseguenza la Corte di Cassazione, investita di un ricorso proposto
dall’imputato, relativo alla responsabilità penale, deve, preso atto della
revoca, annullare senza rinvio la sentenza in ordine alle statuizioni civili

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si denunciano comportamenti astrattamente integranti ipotesi di reato in

in essa contenute (cfr. Cass., sez. IV, 15/4/2004, n. 31320, rv. 228839;
Cass., sez. VI, 15.5.1990, n. 12447).
Nel caso in esame l’imputato ha dimostrato l’avvenuto trasferimento
dell’azione civile, producendo l’atto di citazione del 19.11.2013,
debitamente notificatogli, con cui il Massi, in qualità di parte attrice, lo

tribunale ordinario di Teramo, per ottenere dal Ferrari il risarcimento dei
danni derivanti dal reato di diffamazione per cui si è proceduto a suo
carico in sede penale, facendo espresso rifermento alla previsione
dell’art. 82, co. 2, c.p.p. (cfr. p. 6 dell’atto di citazione).
Di conseguenza, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio e comunque
non deducibile in grado di appello, essendo l’atto di citazione successivo
alla data di pronuncia della sentenza di secondo grado, ai sensi dell’art.
609, co. 2, c.p.p., essa va decisa nei termini innanzi indicati, vale a dire
eliminando le statuizioni civili, per l’avvenuta revoca della costituzione di
parte civile conseguente al promovimento della relativa azione davanti al
giudice civile.
8. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata
va annullata senza rinvio, limitatamente alle statuizioni civili, che vanno
eliminate, mentre il ricorso va rigettato agli affetti penali.
Il parziale accoglimento delle ragioni del ricorrente implica che lo stesso
non sia condannato al pagamento delle spese processuali del presente
grado di giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle
statuizioni civili, che elimina; rigetta, nel reto, il ricorso.
Così deciso in Roma il 12.12.2013

ha citato a comparire in giudizio, per il giorno 20.3.2014, innanzi al

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