Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13344 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13344 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Mattia Ivan, nato a Taranto il 24.9.1975;
avverso l’ordinanza emessa il 12 luglio 2013 dal tribunale del riesame di
Lecce;
udita nella udienza in camera di consiglio del 28 gennaio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori avv. Gaetano Vitale e avv. Diforzo Salvatore; 5:)rrev– 5 –e5
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Lecce confermò
l’ordinanza 12 giugno 2013 del Gip del tribunale di Lecce, che aveva disposto
la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Mattia Ivan, in riferimento ai reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen., aggravato ex art, 7, comma
1,1. 575/1965 e 74 d.P.R. 309 del 1990, nonché a plurimi reati fine di spaccio di
cui all’art. 73 d.p.R. 309 del 1990.
L’indagato, a mezzo dell’avv. Gaetano Vitale, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione di legge degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione anche per omessa
valutazione di atti rilevanti.
Lamenta che la motivazione dell’ordinanza impugnata è meramente apparente ed acriticamente ripetitiva delle considerazioni svolte nella ordinanza cautelare, senza esaminare le eccezioni della difesa e con omessa considerazione di
atti rilevanti e travisamento della prova.
2) in ordine ai reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen., aggravato ex art, 7,

i,

Data Udienza: 28/01/2014

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comma 1,1. 575/1965, 74 e 73 d.p.R. 309 del 1990, osserva che l’ordinanza impugnata si limita a rinviare alla ordinanza genetica per il motivo che il complesso delle circostanze indizianti non potrebbe essere sintetizzato. Osserva che gli
elementi ritenuti dal tribunale del riesame costitutivi del sodalizio mafioso non
fanno mai riferimento alcuno a Mattia Ivan, che appare totalmente estraneo ai
fatti contestati. Del resto l’ordinanza impugnata parla genericamente di associazione mafiosa gravante intorno ad alcuni esponenti della famiglia Taurino.
L’appartenenza di Mattia Ivan all’associazione è desunta solo dal suo concorso
in alcuni singoli delitti, dato che nella motivazione non si rileva alcun altro elemento indiziario della sua partecipazione. E’ manifestamente illogica la valutazione di alcune intercettazioni, le quali anzi indicano assoluta estraneità alla
associazione ed una sua collocazione quasi autonoma.
3) mancanza assoluta di motivazione e motivazione meramente apparente
su specifiche doglianze indicate nell’atto di gravame.
Lamenta poi manifesta illogicità della motivazione laddove ritiene unica
misura adeguata la custodia cautelare in carcere.
Motivi della decisione
Il ricorso si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze
processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque manifestamente infondato, avendo il tribunale del riesame fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le
quali ha ritenuto sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati, nonché le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura applicata.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha desunto i gravi indizi sulla sussistenza del contestato sodalizio mafioso: – dalla genesi stessa del sodalizio, radicatosi nel quartiere Isola Porta Napoli di Taranto, all’indomani dei provvedimenti giudiziari che attinsero i vertici di due preesistenti clan, creando le premesse, per effetto del vuoto di potere creatosi, dell’insediarsi e dello strutturarsi
in senso conforme alla fattispecie incriminatrice, del clan Taurino, composto
essenzialmente da soggetti legati anche da vincoli parentali nonché da pregiudicati locali già affiliati ai preesistenti sodalizi mafiosi; – dai due significativi episodi costituiti dal ferimento di Vito Attolino, intervenuto nella lite insorta tra il
fratello ed i generi di Ignazio Taurino (e dal relativo clima di omertà e reticenza
direttamente percepito nel corso delle indagini) e dalla tentata estorsione in
danno di Titania S.r.l., attuata da Ignazio Taurino con minacce di gravi ritorsioni all’interno del ristorante della stessa famiglia, fatto da cui, emergeva il controllo territoriale da parte del clan; – dalla capacità, da parte dell’associazione,
attraverso la figura apicale di Giuseppe Taurino, di assegnazione e ripartizione
delle varie zone da destinare allo spaccio, con l’effetto, evidentemente conseguente all’intimidazione dalla stessa promanante, di escludere altri aspiranti
gruppi malavitosi dediti allo spaccio da dette aree; ed in particolare dalle frasi
pronunciate da Nicola Taurino in relazione alla richiesta di una azione di forza
contro chi aveva occupato una zona riservata all’associazione; – dalla gestione
dell’attività economica inerente il commercio ambulante, anche in occasione
delle manifestazioni pubbliche; – dal prospettato ricorso, in diverse occasioni,

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da parte dell’associazione (e dello stesso Nicola Taurino), ad atti di violenza
funzionali a consolidare l’intimidazione dalla stessa promanante; – dal controllo
del territorio da parte del sodalizio, in grado di fare affidamento, per effetto dello stato di assoggettamento, in vere e proprie forme di solidarietà e di accondiscendenza nei confronti dei membri della consorteria (come nell’episodio
dell’arresto di Umberto Conte); – dalla significativa dichiarazione di Nicola
Taurino di aver chiamato l’ingegnere proprietario dell’albergo Akropolis, ubicato nelle immediate vicinanze del Circolo Subway, per sapere se la PG avesse o
meno installato delle microspie sui balconi della propria struttura ricettiva; dalla disponibilità di armi da parte del sodalizio; – dal controllo delle attività
produttive di lucro (quali quelle legate all’imminente arrivo di studenti universitari in città per l’inaugurazione di una nuova sede dell’ateneo tarantino); – dalla tutela legale assicurata ai consociati, sotto forma di mutua assistenza.
E’ quindi pienamente congrua ed adeguata la motivazione con la quale sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi sull’esistenza, nel territorio di Taranto
vecchia, di un organismo associativo di stampo mafioso, gravitante intorno alla
figura di alcuni esponenti della famiglia Taurino, finalizzato essenzialmente al
traffico di sostanze stupefacenti nonché al compimento di una serie indeterminata di altri delitti, funzionali ad acquisire, mediante l’intimidazione e l’assoggettamento, il controllo di altre attività economiche all’interno del quartiere.
Per quanto concerne il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, il tribunale del riesame ha ritenuto quali indici positivi dell’esistenza del sodalizio criminoso: 1) il contatto tra gli imputati; 2) il numero di episodi accertati, essi
stessi espressione di un accordo che travalicava le singole operazioni di cessioni o di approvvigionamento di stupefacenti; 3) la disponibilità di mezzi (e segnatamente di due basi logistiche nel Quartiere Isola Porta Napoli di Taranto);
4) il riprodursi di uno schema operativo sostanzialmente identico per ciascuna
delle operazioni poste in essere; 5) la ripartizione di compiti tra gli associati,
con le svariate funzioni, rispettivamente, di approvvigionamento, di smercio, di
monitoraggio delle illecite transazioni.
Quanto specificamente alla posizione di Mattia Ivan, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che nei confronti di questi i gravi indizi di colpevolezza si desumessero: – dalla intercettazione del dialogo fra il Mattia e Pizzolla Francesco,
durante il quale i due commentavano la trattativa avvenuta con un terzo soggetto, cui prospettavano la necessità di una qualità elevata ed omogenea della sostanza stupefacente (indicata con linguaggio criptico: sigarette, casse di mele),
al fine di poter offrire il miglior prodotto sul mercato ai “giovani”, il che delineava uno dei compiti del Mattia, il quale, unitamente a Pizolla, provvedeva ad
approvvigionare il gruppo criminale di cui facevano parte di sostanza stupefacente del tipo cocaina; – dal fatto che dal medesimo episodio, emergeva che il
Mattia, in collaborazione con Pizzolla, aveva il potere di coordinamento dell’attività di spaccio, per conto del clan, nella zona di via Duomo; – dall’utilizzo
dell’autovettura Opel Meriva, formalmente intestata al Mattia, per gli scopi illeciti del clan; – dai gravi indizi di commissione del reato-scopo di cui al capo
Ab) della rubrica, che a loro volta corroboravano il già grave quadro indiziario
delineatosi a suo carico anche con riferimento al delitto associativo.

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Quanto ai gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 513
bis cod. pen., il tribunale del riesame ha richiamato l’ordinanza del Gip e gli atti di concorrenza sleale compiuti in concorso con Taurino Francesco, consistiti
nell’imporre a diversi ristoranti l’acquisto di mitili facendo leva sulla capacità di
intimidazione derivante dalla appartenenza al clan mafioso noto come “Clan
Taurino”, creando una condizione di monopolio di fatto. Va comunque osservato che gli specifici elementi da cui sono stati tratti i gravi indizi di colpevolezza
in ordine al reato di cui all’art. 513 bis cod. pen. ed ai singoli reati di spaccio di
sostanze stupefacenti, indicati nella ordinanza del Gip e richiamati dalla ordinanza impugnata (fra cui la intercettazione di conversazione captata all’interno
dell’Opel intestata al Mattia il 15 luglio 2011 e lo stesso stabile utilizzo di tale
auto, nonché tutte le altre conversazioni intercettate e richiamate), non sono stati nemmeno specificamente contestati con il ricorso per cassazione, che quindi
sul punto appare anche generico. L’ordinanza impugnata, inoltre, ha anche indicato gli specifici elementi da cui ha tratto gravi indizi della circostanza che
non si trattava di mera offerta di tali beni sul mercato, bensì di costrizione
all’acquisto, venendo falsati i naturali meccanismi di determinazione dei prezzi
di acquisto.
L’ordinanza impugnata ha infine osservato che il Mattia era personalmente
coinvolto nei reati fine di cui all’art. 73 DPR n. 309/90, che gli erano stati specificamente attribuiti con un ruolo tipicamente decisionale, atteso che egli era in
genere presente alla trattativa delle cessioni o approvvigionamenti e talora prelevava personalmente la droga da cedere dal luogo ove essa era custodita. Vengono poi specificamente ricordati i gravi elementi indiziari ricavabili dalle riportate intercettazioni
Il terzo ed il quarto motivo sono anch’essi del tutto generici, perché non
vengono indicate le specifiche doglianze avanzate con la richiesta di riesame e
che non sarebbero state esaminate né i vizi di motivazione e gli elementi di fatto
pretermessi in relazione alla scelta della misura.
In ogni modo, l’ordinanza impugnata ha, con congrua ed adeguata motivazione, anche qui con richiamo alle considerazioni della ordinanza del Gip, ritenuto che sussistevano le esigenze cautelari per il pericolo di commissione di
gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede e che la misura carceraria era adeguata e indispensabile. Il tribunale del riesame ha osservato che il
ricorrente risponde del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., per il quale vige la presunzione assoluta di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, mentre
nella specie non risultavano elementi atti a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e genericità dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
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Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28
gennaio 2014.

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