Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13339 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13339 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Acabo Giuseppe, nato ad Erice il 27.8.1983;
avverso l’ordinanza emessa il 26 luglio 2013 dal tribunale del riesame di
Palermo;
udita nella udienza in camera di consiglio del 28 gennaio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Palermo respinse la
richiesta di riesame proposta da Acabo Giuseppe avverso l’ordinanza 17.7.2013 del Gip del tribunale di Trapani che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110 cod.
pen. e 73 d.P.R. 309 del 1990, per plurimi episodi di detenzione e cessione di
sostanze stupefacenti, tipo cocaina e hashish.
L’indagato, a mezzo dell’avv. Agatino Scaringi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla richiesta di inutilizzabilità delle intercettazioni per difetto del requisito della assoluta indispensabilità.
2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione
all’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Osserva che il contenuto delle
conversazioni intercettate è privo di una minima valenza accusatoria.
3) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla applicazione della misura più grave.
Motivi della decisione
ill

Data Udienza: 28/01/2014

Il primo motivo è infondato. L’ordinanza impugnata ha invero condivisibilmente osservato che i provvedimenti con cui l’A.G. ha nella specie autorizzato l’attività di captazione risultano adeguatamente motivati anche sotto il profilo
di cui all’art. 267, co. 1, c.p.p. della valutazione della “assoluta indispensabilità
ai fini della prosecuzione delle indagini”. Ed invero, tutti i suddetti decreti, a
cominciare dal primo, portante il n. 237/11, emesso dal GIP di Trapani il
28.11.2011 per le intercettazioni delle conversazioni del Tesè, da un lato richiamano integralmente, con rinvio recettizio, la relativa richiesta avanzata dal
P.M., ad essi allegata, nella quale si fa espressamente riferimento alla necessità
di avvalersi del servizio tecnico “quale unico strumento investigativo” in grado
di consentire l’acquisizione di nuovi elementi di prova con specifico riferimento
alle emergenze già acquisite ed ai prevedibili risultati che avrebbero potuto essere conseguiti dalla attività di captazione (informazioni inerenti i contatti con i
fornitori e con gli acquirenti, spostamenti finalizzati al procacciamento del narcotico etc.), dall’altro ribadiscono essi stessi l’assoluta necessità del ricorso a tale strumento. Inoltre, effettiva e adeguata motivazione in merito alla sussistenza
di tale requisito si rinviene anche nel decreto emesso di urgenza dal P.M., portante il n. 61/12 del 7.3.2012, sull’utenza in uso a Salafia Massimiliano, per
consentire il monitoraggio del preannunciato incontro tra l’Acabo ed i fornitori
palermitani, in relazione al quale nel decreto di convalida del 9.3.12 il G.I.P. dichiarava di condividere l’assoluta necessità delle intercettazioni per l’approfondimento dei dati già raccolti e l’acquisizione di nuove prove. L’ordinanza impugnata ha poi messo in rilievo che anche nei provvedimenti di proroga del servizio di ascolto vengono richiamate le considerazioni contenute nella richiesta del
P.M. sulla necessità, alla luce degli sviluppi delle indagini compendiati nelle
note trasmesse dagli inquirenti, di proseguire l’attività tecnica e si ribadisce l’assoluta indispensabilità di portare avanti la captazione.
Va altresì osservato che il ricorso non ha specificamente indicato quali dei
diversi decreti presenterebbero la lamentata mancanza di motivazione, né ha allegato tali specifici decreti, così incorrendo anche nella violazione del principio
di autosufficienza del ricorso.
Il secondo ed il terzo motivo si risolvono in censure in punto di fatto della
decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione
delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in
questa sede di legittimità, e sono comunque infondati, perché il tribunale del riesame ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sia sui gravi indizi
di colpevolezza sia sulla adeguatezza della misura applicata.
Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, il tribunale del riesame ha osservato che gli elementi indicati nella ordinanza applicativa consentivano di attribuire all’Acabo il ruolo di trafficante di medio livello di hashish e cocaina di cui si
approvvigionava principalmente da fornitori palermitani (tra cui tali “Santino”
ed “Enzo”) e rivendeva al dettaglio sul mercato locale, e di ritenere che
nell’ambito di tale attività, in parte svolta in concorso con l’ex moglie, Incarbona Francesca, l’indagato si avvaleva di una serie di pusher e corrieri, quali i coindagati Cherchi Pietrino, Tesè Bernardo e Salafia Massimiliano. In particolare,
dalle conversazioni intercettate utilizzate dal Gip, era chiaro il riferimento all’ t-

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tività illecita svolta dal ricorrente, anche sulla scorta di una lettura coordinata
delle varie conversazioni. Il tribunale del riesame ha quindi riportato, per i diversi episodi in contestazione, gli specifici elementi concreti da cui emergevano, in relazione a ciascuno di essi, i gravi indizi di colpevolezza, elementi che,
del resto, non sono stati nemmeno presi in considerazione e specificamente contestati con il ricorso per cassazione.
Quanto alle esigenze cautelari, esse sono state individuate nel pericolo di
reiterazione di reati dello stesso tipo, desunto dalle modalità della condotta, che
attestavano come l’Acabo fosse dedito con continuità e in via principale al traffico di stupefacenti, con ruolo direttivo e solidi collegamenti ad ambienti malavitosi, nonché dai plurimi precedenti penali anche specifici dell’indagato.
Quanto alla adeguatezza delle misura, l’ordinanza impugnata ha osservato
che la custodia cautelare in carcere era l’unica adeguata a garantire le suddette
esigenze cautelari, dal momento che il regime degli arresti domiciliaci non poteva assicurare l’interruzione dell’attività criminosa, che l’Acabo aveva fin qui
svolto nei luoghi di sua residenza ed avvalendosi di molteplici soggetti radicati
nel medesimo ambiente di vita.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28
gennaio 2014.

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