Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13336 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13336 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Brughitta Roberto, nato a Cagliari il 5.9.1982;
avverso l’ordinanza emessa il 27 agosto 2013 dal tribunale del riesame di
Cagliari;
udita nella udienza in camera di consiglio del 28 gennaio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Patrizio Rovelli;
Svolgimento de/processo
Con ordinanza del 2 agosto 2013 il Gip del tribunale di Cagliari dispose la
misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Brughitta Roberto,
in riferimento al reato di cui all’art. 73 d.p.R. 309 del 1990.
Il 5 agosto 2013 la difesa dell’indagato propose istanza di riesame.
Il 25 agosto 2013 il difensore propose istanza con la quale si chiedeva,
previa dichiarazione di perdita di efficacia ex art. 309, commi 5, 9, 10 cod.
proc. pen. dell’ordinanza genetica, la revoca della misura cautelare e la liberazione del Brughitta.
Con ordinanza emessa de plano il 27 agosto 2013, il tribunale del riesame
di Cagliari dichiarò inammissibile l’istanza, confermando l’udienza già fissata
del 24 settembre 2013 per il riesame.
Osservò il tribunale: – che né la difesa né l’indagato con l’istanza del 5 agosto 2013 avevano dichiarato di rinunciare alla sospensione dei termini feriali
ai sensi dell’art. 1, comma 2, 1. 7 ottobre 1969; – che il procedimento non riguardava reati di criminalità organizzata; – che l’istanza di riesame non poteva
valere come rinuncia implicita alla sospensione.
/i/

Data Udienza: 28/01/2014

Avverso questa ordinanza l’indagato, a mezzo dell’avv. Patrizio Rovelli,
propone ricorso per cassazione deducendo:
1) nullità per violazione degli artt. 299, comma 3 bis, 178 lett. b), 309,
commi 9 e 10, cod. proc. pen., 117, comma 7, Cost. Lamenta che l’istanza del 5
agosto è stata dichiarata inammissibile de plano, senza neppure trasmettere la
richiesta al PM per il suo parere obbligatorio, come previsto in via generale
dall’art. 299, comma 3 bis, cod. proc. pen., la cui violazione è sancita da nullità
a regime intermedio ex art. 178, lett. b). Del resto, tranne le eccezioni tassativamente individuate dall’art. 299, in materia di libertà personale il giudice non
può procedere d’ufficio all’applicazione, revoca o sostituzione di una misura
cautelare. Non è nemmeno previsto che possa dichiarare l’inammissibilità di
una istanza de libertate per manifesta infondatezza. Del resto, nella specie
l’istanza non era manifestamente infondata stante il contrasto giurisprudenziale
sul punto.
2) mancanza, contraddittorietà della motivazione; violazione dell’art. 309,
commi 9 e 10, cod. proc. pen.; violazione dell’art. 240 bis, commi 1 e 2, disp.
att. cod. proc. pen. Deduce che tutti i termini stabiliti a tutela della libertà personale non restano sospesi durante il periodo feriale.
In ogni caso, il procedimento nel quale sono state autorizzate ed eseguite
tutte le attività di intercettazione che hanno poi portato all’arresto in flagranza
del ricorrente sono relativi ad una indagine che vede coinvolto il ricorrente per
il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, sicché non opera la sospensione
dei termini ex art. 240 bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.; mentre a nulla rileva che il procedimento relativo all’arresto in flagranza abbia assunto un diverso numero di ruolo.
Motivi della decisione
Rileva il Collegio che il ricorso è manifestamente infondato.
Innanzitutto, invero, l’istanza del 25 agosto 2013 non costituiva una istanza di riesame avverso un provvedimento del Gip relativo ad una misura cautelare personale, sicché l’ordinanza del 27 agosto 2013 del tribunale del riesame,
avverso la quale è proposto il seguente ricorso per cassazione, non costituisce
un provvedimento risolutivo di una richiesta di riesame impugnabile con ricorso per cassazione. L’istanza di riesame avverso il provvedimento cautelare del
Gip era stata infatti proposta il 5 agosto 2013 ed è stata decisa dal tribunale del
riesame con ordinanza del 24 settembre 2013, contro la quale è stato proposto
diverso ricorso per cassazione che viene separatamente deciso in data odierna.
L’istanza del 25 agosto 2013, pertanto, può essere qualificata, a parere del
Collegio, come una richiesta di anticipazione della già fissata udienza di riesame, la cui decisione non è autonomamente impugnabile, ovvero come una diversa ed autonoma (rispetto alla già proposta richiesta di riesame) richiesta di
revoca della misura cautelare per il venire meno della sua efficacia, richiesta
che però non poteva essere presentata al tribunale del riesame, in quanto si trattava di vizio che non intacca l’intrinseca legittimità dell’ordinanza, ma agisce
sul piano dell’efficacia della misura cautelare (cfr. Sez. VI, 20.3.2012, n. 19555,
Andriola, m. 252780).
In ogni caso, anche ipotizzando che si trattasse di una istanza di riesame,

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non è ravvisabile alcun vizio nella ordinanza del tribunale del riesame del 27
agosto 2013, in questa sede impugnata, con la quale essa è stata dichiarata inammissibile
Per quanto concerne il fatto che essa è stata dichiarata inammissibile de
plano, va ricordato che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte,
«È legittima la declaratoria “de plano” di inammissibilità dell’istanza di riesame» (Sez. II, 8.3.2013, n. 22165, Etza, m. 255935); «L’inammissibilità della richiesta di riesame avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere va dichiarata “de plano”, senza, cioè, fissazione dell’udienza previo avviso ai difensori, in applicazione dell’art. 127, comma nono, cod. proc. pen. (In motivazione
la Corte ha precisato che tale ultimo disposto non contrasta con l’art. 111,
comma secondo, Cost., essendo l’assenza di contraddittorio giustificata dal ragionevole bilanciamento con il principio della ragionevole durata del processo)» (Sez. III, 22.12.2010, n. 3895 del 2011, Chakir, m. 249151); «È legittima
la declaratoria di inammissibilità dell’appello cautelare, ex art. 310 cod. proc.
pen., – nella specie per difetto di interesse – pronunciata “de plano”, con la
conseguenza che, in tal caso, è del tutto irrilevante l’omissione dell’avviso al difensore» (Sez. V, 29.9.2011, n. 42956, G., m. 251115); «L’inammissibilità
dell’impugnazione “de libertate”, prevista, in quanto tale, come sanzione specifica delle sole irregolarità attinenti al rapporto di impugnazione, e cioè di
quelle irregolarità che riguardano l’impugnabilità oggettiva e soggettiva del
provvedimento, il titolare del diritto al gravame, l’atto di impugnazione nelle
sue forme e termini, l’interesse ad impugnare, va dichiarata “de plano”, senza
necessità di fissare l’udienza camerale e di avvisare i difensori, trovando applicazione – in virtù del richiamo contenuto negli arti’. 309, comma 8 e 310, comma 2, cod. proc. pen., rispettivamente per il riesame e per l’appello – l’art. 127
dello stesso codice, il cui nono comma prescrive che l’inammissibilità dell’atto
introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche
senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito» (Sez. I,
23.2.2001, n. 18957, Spagnoli, m. 218924).
Il Collegio ritiene che non siano stati addotti argomenti idonei a far superare questa consolidata giurisprudenza.
Nella specie, peraltro, si trattava di una istanza di riesame che non aveva
ad oggetto alcun provvedimento del Gip relativo ad una misura cautelare.
Quanto al secondo motivo, il Collegio condivide anche in questo caso la
prevalente giurisprudenza, secondo cui «Il termine di dieci giorni per la decisione, a pena di inefficacia della misura coercitiva, sulla richiesta di riesame,
decorre, nel caso in cui il “dies a quo” ricada in periodo di sospensione feriale,
dal primo giorno utile successivo alla scadenza di tale periodo. (In motivazione
la Corte ha precisato che la parte che non intende avvalersi della sospensione
dei termini feriali, deve dichiararlo espressamente)» (Sez. III, 12.1.2010, n.
4903, Saggese, m. 246024); «La rinuncia alla sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale è un atto specifico d’impulso processuale, rimesso alla determinazione della parte, che richiede una manifestazione espressa ed inequivoca della volontà di rinunciare. (Fattispecie nella quale la Corte
ha annullato con rinvio l’ordinanza che aveva considerato la mera presenta-

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zione dell’istanza di riesame durante il periodo feriale come “rinuncia per fatti
concludenti” ad avvalersi della sospensione)» (Sez. VI, 28.1.2008, n. 8419,
Komani, m. 239315; conf. Sez. IV, 23.5.2007, n. 28110, Zunino, m. 237053;
Sez. II, 23.2.2005, n. 10861, Cammareri, m. 231329); «La rinuncia alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale è un atto specifico d’impulso
processuale rimesso alla determinazione della parte che richiede una manifestazione espressa ed inequivoca della volontà di rinunciare, sicché la norma di
cui all’art. 240 bis cod. proc. pen. non può essere interpretata in via analogica
ritenendo equipollente alla forma espressa richiesta un comportamento per fatti concludenti» (Sez. II, 28.1.2004, n. 7981, La Torre, m. 228561); «la semplice
presentazione del ricorso in periodo feriale non costituisce implicita rinuncia
alla sospensione dei termini» (Sez. III, 20.1.2012, n. 7380, Donadio, in motivazione).
Infine, la circostanza che il procedimento nell’ambito del quale sono state
autorizzate ed eseguite le attività di intercettazione che hanno poi portato
all’arresto in flagranza del ricorrente fosse relativo anche ad un reato di cui
all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990 è palesemente irrilevante perché la misura cautelare oggetto dell’istanza di riesame era stata disposta unicamente per il reato di
cui all’art. 73 d.p.R. 309 del 1990.
Esattamente, quindi, l’istanza proposta il 25 agosto 2013 è stata ritenuta
manifestamente infondata.
In conclusione, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per
manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in € 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, co. 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28
gennaio 2014.

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