Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13323 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13323 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Crosta Alessandro, nato il 23 settembre 1973
avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila del 3 dicembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Franco Di Teodoro.

Data Udienza: 17/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 3 dicembre 2012, la Corte d’appello dell’Aquila ha
confermato la sentenza del Tribunale di Teramo del 7 dicembre 2010 con la quale
l’imputato era stato condannato per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. n.
74 del 2000, perché, quale legale rappresentante di una società, aveva omesso di
versare le ritenute alla fonte relative agli emolumenti erogati e all’Iva per il periodo di
imposta 2005.

cassazione, deducendo: 1) la carenza di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza dell’elemento del dolo, in mancanza di elementi dai quali desumere la
volontà dell’imputato di aver effettuato le ritenute, di averle certificate e di avere
aggirato volontariamente l’obbligo di versamento, anche in relazione all’Iva; 2)
l’inapplicabilità dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto soltanto in data 4
luglio 2006, alla fattispecie in esame, riferita all’omesso versamento dell’Iva per l’anno
di imposta 2005.
Con specifico riferimento a tale ultimo profilo, il ricorrente propone questione di
legittimità costituzionale dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, nella parte in cui
equipara la punibilità del soggetto che abbia omesso il versamento Iva con riferimento
all’anno di imposta 2005 con i soggetti che risultano debitori dell’imposta dovuta per
gli anni successivi al 2005, in riferimento all’art. 3 Cost. Secondo la difesa vi sarebbe
una disparità di trattamento fra chi, come i debitori per l’imposta dell’anno 2005, ha
avuto un breve periodo (quello tra il luglio 2006 e il 27 dicembre 2006) per pagare
l’imposta e chi, come i debitori per l’imposta degli anni successivi, ha avuto un periodo
di 12 mesi. A ciò si aggiungerebbe la violazione degli artt. 27, primo comma, e 117,
primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 7 Cedu), per la parte in cui l’art.

10-ter richiamato, con riferimento al mancato versamento dell’Iva relativa all’anno

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

2005, impone di punire il contribuente anche allorché tale mancato versamento
dipenda da condotte non rimproverabili, in quanto tenute quando egli non aveva la
possibilità di prevederne le conseguenze penali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è infondato.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – relativo alla motivazione circa la
sussistenza del dolo – è inammissibile, perché diretto a ottenere da questa Corte una
rivalutazione del merito della responsabilità penale; rivalutazione preclusa in sede di
legittimità.

A

Sul punto dell’elemento soggettivo, del resto, il Tribunale e la Corte d’appello
concordano nell’affermare che, a fronte di ritenute effettuate alla fonte sugli
emolumenti corrisposti ai dipendenti, l’omissione del relativo versamento presuppone
necessariamente la volontaria decisione dell’inadempimento, in presenza di una piena
consapevolezza dell’illiceità penale del comportamento alla data del 27 dicembre del
2006, momento in cui la legge introduttiva della sanzione penale era già da mesi in
vigore. Le condotte di cui agli artt. 10-bis e 10-ter richiamati sono, del resto, punite a

all’obbligazione tributaria alla scadenza del termine fissato. Né il ricorrente ha
prospettato – nel caso di specie – elementi specifici da cui desumere un’impossibilità
dell’adempimento, ad esempio per causa di forza maggiore.
3.2. – Il secondo motivo di impugnazione, riferito al reato di cui all’art.

10-ter

del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è infondato.
3.2.1. – Quanto al tempus commissi delicti, deve rilevarsi che le sezioni unite di
questa Corte hanno, con la sentenza 28 marzo 2013, n. 37424, risolto il dubbio
sollevato dalla terza sezione di questa stessa Corte relativamente alla questione se
l’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, introdotto dall’art. 35, comma 7, del d.l.
4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,
ed entrato in vigore il 4 luglio 2006, si applichi anche agli omessi versamenti dell’Iva
per l’anno 2005, da effettuarsi nel corso del 2005, e non versati alla scadenza del 27
dicembre 2006, prevista dal citato art. 10 ter, oppure se in tale ipotesi l’illecito debba
ritenersi comunque consumato alle singole scadenze del 2005 e sia quindi punibile con
le sole sanzioni amministrative previste dall’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n.
471. Le sezioni unite hanno ritenuto di adottare la prima delle due soluzioni,
escludendo che l’illecito potesse ritenersi consumato alle singole scadenze del 2005 e
fosse, dunque, punibile con le sole sanzioni amministrative previste dalla normativa

titolo di dolo generico, essendo sufficiente la volontà dell’agente di non adempiere

previgente. La mancata effettuazione del pagamento al 27 dicembre 2006 denota,
infatti, un disvalore ulteriore rispetto al semplice omesso pagamento alle singole
scadenze del 2005, che induce a ritenere che non vi sia continuità fra la disciplina
amministrativa sanzionatoria e la disciplina penale. In altri termini, la condotta
omissiva propria, che ha ad oggetto il versamento dell’imposta afferente all’intero
anno, si protrae fino alla scadenza del richiamato termine, che coincide con la data di
commissione del reato, a nulla rilevando il già verificatosi inadempimento agli effetti
fiscali: il rapporto fra i due illeciti deve essere ricostruito in termini, non di specialità,
ma piuttosto di progressione. Infatti, la fattispecie penale – secondo l’indirizzo di

34,\

politica criminale adottato in generale dal d.lgs. n. 74 del 2000 (su cui v. in particolare
Corte cost., sent. n. 49 del 2002) – costituisce in sostanza una violazione molto più
grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest’ultima
(senza almeno una violazione del termine periodico non si possono evidentemente
determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali
(dichiarazione annuale, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente
riconducibili al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe

comportamentali (in riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale IVA e
al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento
successivo al compimento dell’illecito amministrativo (v. ancora sez. un. n. 37424 del
2013).
Ne deriva, quanto al caso in esame, l’infondatezza della censura del ricorrente,
perché il reato si è consumato il 27 dicembre 2006, ovvero in un momento successivo
all’entrata in vigore della disposizione incriminatrice.
3.2.2. – Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale del
richiamato art. 10-ter proposta in riferimento agli artt. 3, 27 primo comma, 117,
primo comma, Cost. (in relazione, per tale ultima disposizione, all’art. 7 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Deve infatti rilevarsi che la previsione di
un termine finale del quale adempiere al proprio obbligo tributario necessariamente
determina sempre l’individuazione di un periodo variabile per poter utilmente
adempiere a seconda del momento in cui è sorto il debito tributario. Il fatto che per
l’anno di imposta 2005 detto termine abbia iniziato per tutti a decorrere dal 4 luglio
2006 non determina alcuna condizione di irragionevole disfavore per gli obbligati, che
avevano ancora un congruo termine per provvedere, avendo la piena consapevolezza
della condizione di illiceità, già determinatasi, sul piano amministrativo, per effetto

ovviamente l’applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti

della violazione dei termini relativi alle singole scadenze. Del resto – come anche
osservato dalle sezioni unite di questa Corte con la decisione sopra richiamata – nel
momento dell’introduzione della novella con la previsione del termine di rilevanza
penale, ancora non maturato, e della soglia di punibilità, il soggetto interessato aveva
piena consapevolezza degli omessi versamenti nei termini fissati dalla normativa
tributaria, per cui avrebbe ben potuto limitarsi anche a un versamento parziale che
avrebbe fatto scendere la somma non versata al di sotto della soglia di punibilità
fissata dalla disposizione incriminatrice. Il fatto che, quanto all’anno di imposta 2005,
il contribuente avesse meno di dodici mesi per adempiere non genera alcuna disparità
4

A

di trattamento costituzionalmente rilevante in relazione agli anni di imposta
successivi, perché il tempo per l’adempimento, che era di poco meno di 6 mesi, risulta
comunque congruo e ragionevole; né sussiste alcun obbligo costituzionale per il
legislatore di assegnare ai contribuenti di diversi anni di imposta un identico tempo
per l’adempimento di un’obbligazione tributaria. Tale assunto è stato, del resto, fatto
proprio sia dalla richiamata sentenza delle sezioni unite, sia dall’ordinanza n. 25 del
2012, con cui la Corte costituzionale (reiterando in sostanza quanto già affermato con

legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., del richiamato art.

10-ter,

limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, rilevando che la

circostanza che il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire
il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza
che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in
base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della
nuova incriminazione) -, di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per
gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro costituzionale
evocato, in quanto il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al soggetto in
questione non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da
pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.

ordinanza n. 224 del 2011) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di

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