Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13322 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 13322 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da
Fucci Pompeo, nato il 10 luglio 1958
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano dell’Il dicembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Mario
Fraticelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 17/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza dell’Il dicembre 2012, la Corte d’appello di Milano ha
confermato la sentenza del Tribunale dì Milano del 14 marzo 2012, resa a seguito di
giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato, concesse le
circostanze

attenuanti

generiche

equivalenti

alla

contestata

recidiva

infraquinquennale, per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale
legale rappresentante di una società, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul

omettendo di dichiarare un reddito imponibile ai fini Irpef e Irap di euro 561.078,00 e
un’Iva pari a euro 112.216,00.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto personalmente ricorso per
cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione della
disposizione incriminatrice con riferimento al momento in cui la società dell’imputato
sarebbe stata a presentare le dichiarazioni dei redditi imponibili ai fini Irpef, Irap e Iva
per le annualità 2004, nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della
motivazione sul punto. In particolare, il termine avrebbe dovuto essere fissato nel 29
gennaio 2006 e non nel 31 ottobre 2005, come – secondo l’imputato – – avrebbero
invece fatto il Tribunale e la Corte d’appello; con la conseguenza che l’imputato stesso
non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile perché non aveva più la carica di
amministratore della società.
2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si rilevano la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione, nonché la violazione degli artt. 62 bis, 69 e 133
cod. pen., relativamente alla conferma del giudizio di equivalenza tra le circostanze
attenuanti generiche e la recidiva. Secondo il ricorrente, non sarebbero stati presi in
considerazione gli elementi a lui favorevoli, ovvero il contesto complessivo dei fatti e

valore aggiunto, non presentava la dichiarazione fiscale per l’anno 2004, così

l’entità poco significativa dell’offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. – Il primo motivo di impugnazione – relativo al tempus commissi delicti

è

inammissibile, perché formulato in modo non sufficientemente specifico.
3.1.1. – Come correttamente evidenziato nella sentenza di primo grado, con
motivazione che integra, in punto di fatto, quella della sentenza d’appello, nel caso in
esame l’imputato era stato legale rappresentante formale della società fino al 24
dicembre 2004, con successiva nomina di un liquidatore, nel tentativo di realizzare un
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espediente per dismettere la qualifica formale di amministratore e liberarsi della
responsabilità penale. Lo stesso Tribunale – con affermazione sostanzialmente non
contestata dal ricorrente – aveva logicamente dedotto da tale stato di fatto la
conseguenza che l’imputato era rimasto pienamente coinvolto nelle attività della
società anche successivamente alla formale perdita della carica di amministratore e
che, dunque doveva essere comunque chiamato a rispondere, al più a titolo di
concorso, con il nuovo legale rappresentante, del reato contestato.

diritto la stessa ricostruzione fornita dai giudici di primo grado, secondo cui il termine
per l’adempimento, ai fini penali, scadeva nel caso di specie il 29 gennaio 2006; non
ha però contestato in punto di fatto – come già anticipato – le conclusioni cui è giunto
il Tribunale circa una sua partecipazione, quantomeno a titolo di concorso, nella
commissione del reato.
3.1.2. – Quanto all’individuazione della data di consumazione del reato di cui al
d.lgs. n. 74 del 2000, art. 5, va comunque ricordato – per completezza di trattazione
– che, secondo un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il termine di
novanta giorni dalla scadenza per la presentazione della dichiarazione annuale relativa
all’imposta sui redditi od I.V.A., individuato ex lege quale momento consumativo,
decorre, ove le scadenze siano diverse a seconda della modalità prescelta dal
contribuente per la presentazione della dichiarazione, dall’ultima scadenza prevista
dalle leggi tributarie (sez. 3, 21 aprile 2010, n. 22045, rv. 247636). Ciò comporta che,
ai fini penali, il reato si considera consumato, trascorsi novanta giorni dall’ultima
scadenza (sez. 3, 10 novembre 2011, n. 43695, rv. 251328). A fondamento di tale
conclusione, viene posta la considerazione che, secondo la testuale formulazione del
D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, comma 2, il periodo di novanta giorni concesso al
contribuente per presentare la dichiarazione non è configurato quale causa di non

A fronte di tali considerazioni, il ricorrente si è limitato a fornire in punto di

punibilità del reato già consumato, bensì quale ulteriore termine per l’adempimento
(«non si considera omessa la dichiarazione»), equiparato sul piano concreto alle altre
irregolarità previste dalla norma (dichiarazione non sottoscritta o non redatta su
stampato conforme al modello prescritto). Ne consegue – sempre per tale
orientamento giurisprudenziale – che il reato di omessa dichiarazione dei redditi
relativi ad una anno di imposta deve ritenersi consumato nel gennaio del secondo
anno successivo e, cioè, con il decorso dell’ulteriore termine di novanta giorni dalla
scadenza di quello del 31 ottobre dell’anno successivo a quello di imposta, previsto

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per l’invio in via telematica delle dichiarazioni (ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 332 del
1998).
Si tratta – lo si ribadisce – di una ricostruzione interpretativa che non rileva
direttamente nel caso in esame e la cui correttezza su piano dogmatico non è,
dunque, oggetto di specifica analisi da parte di questa Corte. Come già osservato,
infatti, il ricorso risulta genericamente formulato anche a voler considerare quale
termine di scadenza per l’adempimento ai fini penali non la data del 31 ottobre, ma

3.2. – Del pari generico è il secondo motivo di ricorso, relativo alle circostanze e
al trattamento sanzionatorio, in mancanza dell’evidenziazione da parte del ricorrente
di elementi oggettivi non presi in considerazione dalla Corte d’appello. E ciò a fronte di
una motivazione che deve ritenersi pienamente adeguata sul punto, perché àncora il
giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti generiche e recidiva e la
determinazione della pena – per altro fissata nel minimo edittale – al dato della
personalità dell’imputato e a quello dell’entità non del tutto trascurabile della somma
non dichiarata.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2013.

quella del 29 gennaio dell’anno successivo.

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