Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13314 del 11/03/2014
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13314 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO
SENTENZA
Sul ricorso proposto daArgetta Graziano Rocco, nato il 4.2.1977, avverso la
ordinanzadel Gip del Tribunale di Ragusa, del 11.11.2013. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite le
conclusioni del sostituto procuratore generale Eduardo Scardaccione, sul
rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Argetta Graziano Rocco, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso
avverso l’ordinanza del gip di convalida dell’arresto ed applicazione della
misura cautelare della custodia in carcere.
Lamenta il ricorrente violazione di legge e travisamento del fatto, per essere
stata ritenuta integrata la gravità indiziaria in ordine al delitto di rapina
aggravata anziché della corrispondente fattispecie tentata, e ciòpur essendo
stato il ricorrente arrestato in flagranza di reato e dunque pur non avendo egli
potuto conseguire un effettivo possesso della refurtiva.
Si contesta anche violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla
scelta della misura cautelare di massimo rigore.
Data Udienza: 11/03/2014
CONSIDERATO IN DIRITTO
il ricorso è manifestamente infondato.
Come emerge dalla ricostruzione dei fatti esposta nella ordinanza cautelare e
nemmeno contestata nell’odierno ricorso, l’odierno ricorrente e il suo complice
furono sorpresi dalle forze dell’ordine mentre fuggivano a piedi dopo aver
perpetrato una rapina a mano armata presso una gioielleria e aver acquisito il
possesso della refurtiva. Secondo il costante insegnamento di questa corte,
quale rapina consumata piuttosto che semplicemente tentata. Infatti, ai fini
della determinazione dell’impossessamento, che segna il momento
consumativo del delitto di rapina, è del tutto irrilevante la possibilità
d’intervento della polizia; è sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche
per breve tempo ed anche nello stesso luogo in cui la sottrazione si è
verificata, sotto il dominio esclusivo dell’agente ed ovviamente il reato non
può regredire allo stadio di tentativo solo perché in un momento successivo
altri abbia impedito al suo autore di mantenere il possesso della cosa sottratta
o di procurarsi la impunità; pertanto, si realizza l’ipotesi di rapina consumata
anche se l’agente sia stato costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo
la sottrazione a causa del pronto intervento dell’avente diritto o della forza
pubblica (Cass. sez. II, 9.6.2010, n. 35006).
Circa la scelta della misura, a pagina 2 del provvedimento impugnato si
argomenta che l’unica misura adeguata e proporzionata alla personalità del
prevenuto e alla gravità del fatto risulta quella custodiale carceraria:
considerata la pericolosità delle condotte, l’uso delle armi, l’atteggiamento
tenuto nei confronti delle forze dell’ordine che procedevano all’arresto (contro
le quali i malviventi ebbero appuntare le loro pistole). Questa lineare
motivazione in nessun modo è criticata nel ricorso che, anziché confrontarsi
con i solidi argomenti ora riassunti, si limita a segnalare circostanze del tutto
irrilevanti già in prospettazione, come l’intervenuta confessione dell’indagato
(evidentemente irrilevante per l’accertamento dei fatti) oltre allo stato di
grave crisi economica dello stesso (che lo avrebbe indotto in disperazione, e
dunque alla commissione del grave delitto).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.
PQM
tale possesso temporaneo e del tutto sufficiente per la qualificazione del fatto
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma, li 11.3.2014