Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13311 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13311 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CROTONE
nei confronti di:
MACRI’ MARIO N. IL 24/02/1962
avverso l’ordinanza n. 195/2012 TRIBUNALE di CROTONE, del
09/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
lette/senpte le conclusioni del PG Dott. 17 .F.,3414),(4C
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 11/03/2014

Il Tribunale di Crotone, nell’ambito del procedimento a carico di MACRI’
Mario imputato del delitto di ricettazione di un assegno, ha disposto, a norma dell’art.
521 cod. proc. pen., la trasmissione all’esito della istruzione dibattimentale, degli atti
al pubblico ministero ravvisando, rispetto alla originaria imputazione di ci all’art. 648
cod. pen., la ipotesi del delitto di cui all’art. 368 cod. pen., commesso dal MAGRI’ in
concorso con Scarpitta Antonia, che avrebbe falsamente denunciato lo smarrimento
dell’assegno.
Propone ricorso per cassazione il pubblico ministero il quale deduce la
abnormità del provvedimento in quanto «è proprio il costrutto motivazionale del
provvedimento ad essere contraddittorio e manifestamente illogico», svolgendo
diffusi rilievi tesi a dimostrare come nessun elemento di novità fosse emerso per
legittimare la diversa ipotesi ritenuta dal giudice del dibattimento sulla base della
reputata inattendibilità della versione dei fatti offerta dalla Scarpitta.
Il ricorso è inammissibile in quanto proposto contro provvedimento non
ricorribile e che non presenta i caratteri della abnormità che peraltro lo stesso
ricorrente articola in forza di rilievi di fatto che in sé contrastano la correttezza
sostanziale della decisione ma che non possono certo incidere sulla riferibilità del
provvedimento ad un potere processuale del giudice a quo. A questo riguardo,
infatti, le Sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di puntualizzare, come lo
stesso ricorrente rammenta, che «La categoria della abnormità è stata elaborata dalla
dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento col tema della tassatività che,
come è noto, pervade il regime delle impugnazioni in genere e del ricorso per
cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in sé
l’esigenza di approntare uno strumento – eventualmente alternativo e residuale
rispetto a tutti gli altri rimedi — che assicuri il controllo sulla legalità del procedere
della giurisdizione. L’abnormità, quindi, più che rappresentare un vizio dell’atto in
sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica dell’atto
processuale, integra — sempre e comunque — uno sviamento della funzione
giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si
colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. Tanto
che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente
disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e
disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la
stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, ciò che segnala la relativa abnormità
è proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottarlo. In questa prospettiva, dunque,
l’abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario.
Se all’autorità giudiziaria può riconoscersi l’attribuzione” circa l’adottabilità di un
determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla
legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove,
invece, sia proprio l'”attribuzione” a fare difetto — e con essa, quindi, il legittimo

OSSERVA

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, 1’11 marzo 2014
Il Consi lie estensore

Il Pre

esercizio della funzione giurisdizionale — la conseguenza non potrà essere altra che
quella dell’abnormità, cui consegue l’esigenza di rimozione» (Cass., Sez. un., n.
25957 del 26 marzo 2009, Toni).
D’altra parte, la tesi del ricorrente secondo la quale nella specie si sarebbe
trattato di fatto nuovo e non di fatto diverso, risulta, nel caso in esame, inconferente,
dal momento che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di puntualizzare al
riguardo che per “fatto nuovo” si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a
quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che
eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum,
trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo; per
“fatto diverso”, invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione
diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali
difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una
puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato. (Fattispecie
in cui la Corte ha ritenuto costituire fatto nuovo, e non diverso, rispetto
all’imputazione originaria di calunnia avente ad oggetto un’istigazione non accolta a
commettere un omicidio, la falsa incolpazione, in danno del medesimo calunniato, di
aver successivamente istigato allo stesso fine altro soggetto). (Sez. 6, n. 26284 del
26/03/2013 – dep. 17/06/2013, Tonietti, Rv. 256861)

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