Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13300 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13300 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 21/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di SGRO’ Carmelo, n. a Oppido
Mamertina (RC) il 06.08.1982, rappresentato ed assistito dall’avv.
Francesco Albanese, avverso il decreto n. 12/2013 emesso dalla
Corte d’Appello di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, in
data 05/07/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
lette le conclusioni scritte assunte dal Sostituto procuratore generale
dott. Carmine Stabile in data 06.12.2013 che ha chiesto il rigetto del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con decreto in data 08.02.2012, il Tribunale di Reggio Calabria,
sezione misure di prevenzione, applicava a SGRO’ Carmelo la misura
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni
tre, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora
abituale, prescrivendo allo stesso – tra le altre imposizioni – di versare
la cauzione di euro 3.000,00 entro dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione
della predetta misura di prevenzione.

Gli elementi posti a sostegno della misura sono costituiti da un
precedente penale per violazione di sigilli e, principalmente, sugli esiti
del procedimento n. 4508/2006 RG NR DDA denominato “Operazione
Cosa Mia”, nell’ambito del quale lo SGRO’ è stato destinatario di
ordinanza cautelare per il reato di cui agli artt. 56, 629 cod. pen.,
aggravato ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/1991. La vicenda che vede lo
SGRO’ indagato per tentata estorsione aggravata prende le mosse
dagli esiti di una minuziosa indagine eseguita dalla Squadra Mobile
della Questura di Reggio Calabria e dal Commissariato di Palmi avente
ad oggetto le infiltrazioni mafiose negli appalti relativi ai lavori di
ammodernamento dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, con
particolare riferimento al c.d. V macrolotto, ricompreso tra lo svincolo
di Gioia Tauro e lo svincolo di Scilla, affidati al “Consorzio Scilla”
formato da Condotte s.p.a. e Impregilo s.p.a., società consortile
costituita in data 22.09.2004 che poi provvedeva a subappaltare ad
imprese locali i singoli tratti. Gli esiti delle articolate indagini risultano
complementari a quelli eseguiti in altro procedimento penale (c.d.
“Operazione Arca”) che aveva riguardato essenzialmente il “lato
imprenditoriale” e si era concentrata su una serie di imprenditori scesi
a patti con la ‘ndrangheta; l’attività investigativa esperita
nell’Operazione Cosa Mia, viceversa, aveva riguardato essenzialmente
il “lato mafioso” e, di conseguenza, gli elementi acquisiti da un lato
confermavano l’esistenza di quel sistema descritto da un collaboratore
di giustizia (Di Diego Antonino) e, dall’altro, avevano permesso di
constatare che la prassi di riscuotere i proventi delle estorsioni
connesse ai lavori di ammodernamento della autostrada, aveva
determinato l’insorgere di una vera e propria faida.
Nel novero dei familiari che secondo la ricostruzione accusatoria
avevano svolto un ruolo attivo nell’ambito della cosca Gallico, si
poneva la figura di SGRO’ Carmelo, soggetto legato al cugino Gallico

2

Antonino e a diretta disposizione degli zii detenuti Gallico Giuseppe e
Gallico Domenico, come messaggero nei confronti degli altri affiliati cui
veicolava ordini e direttive. Di particolare rilievo sono risultati i colloqui
registrati presso la casa circondariale di Secondigliano in data
24.04.2008 e 07.05.2008 nell’ambito dell’attività di indagine relativa
all’omicidio di Molè Rocco. Durante il colloquio del 23.04.2008, Gallico
Giuseppe, dopo aver preso informazioni sulla ditta di cui era titolare

SGRO’ Carmelo, chiedeva a quest’ultimo se fosse stato disponibile ad
intestarsi due camion che avrebbe dovuto “prendersi” il figlio; preso
atto della disponibilità dello SGRO’, il Gallico Giuseppe istigava il figlio
Antonino a perpetrare l’estorsione, facendosi accompagnare dallo
SGRO’ (come da suggerimento della di lui madre) perché
maggiormente esperto anche nella “scelta” del camion migliore da
prendere. E così Gallico Antonino e il cugino SGRO’ Carmelo si
recavano a colloquio con lo zio Gallico Rocco detenuto a Palmi, il
02.05.2008 per chiedergli l’autorizzazione a perpetrare l’estorsione ai
danni di Morgante Placido, autorizzazione che veniva data e che
determinava l’azione estorsiva posta in essere fra il 2 e il 6 maggio
2008.
Nel processo per tentata estorsione aggravata, lo SGRO’, all’esito del
disposto giudizio abbreviato, veniva condannato alla pena di anni otto
e mesi sei di reclusione ed euro 700,00 di multa.
2. Avverso il provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria che aveva
applicato la succitata misura di prevenzione veniva proposto atto di
gravame con il quale si evidenziava come lo SGRO’ risiedesse in
territorio ligure e che, quindi, la misura era stata emessa da giudice
incompetente su proposta che avrebbe dovuto formulare non il
Questore di Reggio Calabria, bensì quello di Imperia. Deduceva inoltre
la sua estraneità, non solo per ragioni territoriali, ai fatti e censurava
inoltre la valutata attualità della condotta.
3. Con decreto in data 05.07.2013, il Tribunale di Reggio Calabria
rigettava

l’appello

proposto

dallo

SGRO’,

confermando

il

provvedimento emesso in primo grado.
4. Avverso il decreto in data 05.07.2013, nell’interesse di SGRO’ Carmelo,
veniva proposto ricorso in cassazione con richiesta di annullamento con
o senza rinvio ed ogni conseguenza di legge, deducendo:

3

-la violazione dell’art. 606, lett. b) e d) cod. proc. pen., in relazione
all’art. 2 I. n. 575/1965 in ordine alla competenza ad avanzare la
proposta di applicazione della misura di prevenzione (primo motivo);
-la violazione dell’art. 606, lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 4, commi 9 e 10 I. n. 1423/1956 e 1 I. n. 575/1965,
stigmatizzandosi la tecnica acritica del “copia-incolla” adottata dai
giudici di merito, senza alcuna valutazione delle criticità dedotte in

merito all’assenza di pericolosità sociale dello SGRO’ (secondo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
6.

Nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso
solo per violazione di legge secondo il disposto dell’art. 4, comma 2,
legge 27 dicembre 1956 n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, comma 2,
legge n. 575/1965, è ammesso soltanto per violazione di legge, con la
conseguenza che il vizio della motivazione del decreto può essere
dedotto solo qualora se ne contesti l’inesistenza o la mera apparenza
integrante la violazione dell’obbligo – imposto dall’art. 4, comma 10
legge n. 1423/1956. Ricorre detto vizio quando la motivazione stessa
si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo
logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora, allorché le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti
dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che
hanno giustificato la decisione della misura (cfr., ex plurimis, Cass.,
Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013-dep. 21/08/2013, Cardone e altri, rv.
256263; Cass., Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013-dep. 14/05/2013,
Buonocore e altri, rv. 257007; Cass., Sez. 6, n. 35044, del 8/03/2007dep. 18/09/2007, Bruno, rv. 237277).
La limitazione del ricorso alla sola “violazione di legge” è stata tra
l’altro riconosciuta dalla Corte Costituzionale non irragionevole (sent.
n. 321 del 2004), attesa la peculiarità del procedimento di prevenzione
sia sul piano processuale che su quello sostanziale.

7. In merito al primo motivo, afferente la competenza, rileva il Collegio
come, per ormai consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte,
nel procedimento di prevenzione, la competenza si radica – in stretta
correlazione con il criterio dell’attualità della pericolosità sociale – nel

4

luogo in cui, al momento della proposta o, ad essere più precisi, in
quello della decisione, la pericolosità si manifesti; e, nell’ipotesi in cui
plurime siano le manifestazioni del tipo in esame e si verifichino, poi, in
luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di
maggiore spessore e rilevanza (Cass., Sez. u., n. 18 del 03/07/1996dep. 17/07/1996, Simonelli ed altri, rv. 205259; nello stesso
sostanziale senso, v. Cass., Sez. 1, n. 21009 del 24/01/2012-dep.

31/05/2012, Leotta, rv. 252858; Cass., Sez. 1, n. 3837 del
26/05/2000-dep. 26/06/2000, conf. comp. in proc. Mincuzzi, rv.
216289; Cass., Sez. 6, n. 803 del 02/03/1999-dep. 06/10/1999,
Morabito G. e altro, rv. 214779; Cass., Sez. 1, n. 2531 del
16/04/1996-dep. 06/06/1996, Biron e altri, rv. 204906): non v’è
dubbio che nella fattispecie, la Corte d’Appello abbia correttamente
individuato nel territorio d’origine dello SGRO’ – anche alla luce del
luogo ove si è realizzato il fatto di reato di maggiore spessore criminale
di cui si è data contezza – quello nel quale si è concretamente
manifestata ed ha trovato alimento la sua pericolosità sociale.
8. Precisati i limiti in subiecta materia del sindacato di legittimità sul vizio
di motivazione e ritenuta la manifesta infondatezza del primo motivo
afferente la competenza, ritiene il Collegio – in riferimento al secondo
generico motivo di doglianza – come la decisione impugnata non
meriti, nei termini sopra indicati, censura alcuna, essendosi in
presenza di un provvedimento pienamente aderente ai dati di fatto ed
assolutamente congruo negli sviluppi argomentativi logici e giuridici
che la dedotta tecnica del c.d. “copia-incolla” non scalfisce.
Invero, se è stato ritenuto nullo per difetto di motivazione il
provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della
parte motiva di altra pronuncia, è altrettanto vero che la medesima
giurisprudenza fa salva l’ipotesi nella quale l’utilizzo di detta tecnica di
redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del
decidente e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente
(Cass., Sez. 4, n. 7031 del 05/02/2013-dep. 12/02/2013, Conti, rv.
254937). Nella fattispecie, il ricorso a detta tecnica compilativa non
appare censurabile e, soprattutto, non ha determinato nullità del
provvedimento avendo i giudici di seconde cure provveduto a fornire
una valutazione autonoma del materiale probatorio sottoposto alla loro
cognizione e a dare adeguato riscontro alle deduzioni e alle censure

5

sollevate dalla difesa.
9. Questo l’impianto della motivazione sottesa alla decisione adottata in
punto applicazione della misura di prevenzione personale: appare di
tutta evidenza come le argomentazioni sostenute nel ricorso siano
assolutamente distanti dal vizio di assoluta insussistenza del portato
motivazionale addotto, essendosi – di contro – in presenza di un
consolidato quadro indiziario utile a giustificare la misura. E tanto

punto dal ricorrente.
10. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento,
in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i
profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in
euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 21.2.2014

Il Consigliere estensore
Dott.

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drea Pellegrino
Ì—

Il Presidente
Dott. Ciro P
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basta per ritenere manifestamente infondate le contestazioni mosse sul

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