Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13299 del 21/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13299 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 21/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di EMRULA Rahman, n. in
Macedonia il 15.08.1973, rappresentato ed assistito dall’avv. Nicola
Giribaldi, avverso l’ordinanza n. 236/2012 emessa dalla Corte
d’Appello di Perugia in data 05.06.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
lette le conclusioni scritte assunte dal Sostituto procuratore generale
dott. Nicola Lettieri in data 12.11.2013 che ha concluso per
l’accoglimento parziale del ricorso nei termini che seguono:
a)conferma del provvedimento per la parte relativa al rigetto della
richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di
primo grado;

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b)convertita la restante parte del ricorso (relativa all’impugnazione
della sentenza di secondo grado) in istanza di restituzione nel termine
per impugnare tale sentenza, accoglimento della relativa istanza.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 05.06.2013, la Corte d’Appello di Perugia
rigettava l’istanza proposta nell’interesse di EMRULA Rahman di

restituzione nel termine per l’impugnazione ex artt. 175, commi 2, 7 e
8 cod. proc. pen., 670, comma 3 cod. proc. pen. della sentenza resa
dal Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno in data
05.06.2012, confermata dalla Corte d’Appello di Perugia in data
19.06.2012, divenuta irrevocabile in data 06.11.2012.
2. Assumeva l’istanza come il proprio assistito avesse appreso dall’esame
dell’ordine di esecuzione emesso nei suoi confronti dalla Procura della
Repubblica di Perugia in data 26.11.2012, notificatogli in data
04.12.2012, che era stato giudicato, in contumacia, e condannato con
le pronunce di cui sopra. Nell’istanza, il difensore, rappresentava che il
proprio assistito non aveva mai avuto conoscenza della sentenza di
primo grado, né aveva avuto contatti con il suo difensore, né era mai
venuto a conoscenza di atti del giudizio, probabilmente notificatigli ad
un vecchio indirizzo di Foligno da lui fornito al momento della
scarcerazione, ove non era più residente ma solo domiciliato.
3. La Corte d’Appello, acquisito il fascicolo processuale relativo alla
sentenza oggetto di istanza, accertava come l’EMRULA era stato
assoggettato a fermo di polizia giudiziaria in data 30.03.2002,
convalidato dal giudice per le indagini preliminari in pari data ove
veniva

anche disposta

la

custodia

cautelare

in

carcere,

successivamente sostituita in data 28.06.2002 con quella dell’obbligo
di dimora nel comune di Foligno, comune ove lo stesso indicava il
proprio domicilio (ndr., Foligno Località Sterpete) e presso il quale gli
veniva notificato il decreto di citazione a giudizio avanti al Tribunale di
Perugia, sezione distaccata di Foligno: notifica che, dopo un primo
tentativo risultato negativo, si perfezionava regolarmente in data
26.11.2002. La successiva sentenza di primo grado veniva notificata
all’interessato a Foligno con esito negativo e successivamente a Pisa
Coltano (in relazione alla quale non perveniva alcuna risposta).

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La Corte d’Appello riteneva che non fosse fondato quanto addotto
dall’istante circa la mancata conoscenza del procedimento avendo lo
stesso subìto misure cautelari e ricevuto la notifica del decreto di
citazione a giudizio; rilevava altresì che, in ogni caso, la piena notizia
circa la pendenza del processo era derivata a EMRULA anche dal suo
difensore di fiducia non potendosi desumere l’inesistenza di rapporti
tra i due e dalla proposizione dell’appello. Veniva infine rigettata anche

l’istanza di sospensione dell’ordine della Procura della Repubblica di
Perugia del 26.11.2012 per difetto di competenza.
4. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’imputato per
mezzo del suo difensore, lamentando la violazione di norma
processuale, in relazione agli artt. 175, comma 2 cod. proc. pen.,
159, 161, 163, 168 cod. proc. pen. nonché in relazione all’art.
548, comma 3 cod. proc. pen. per omessa notifica dell’estratto
contumaciale e richiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.
6. Il ricorrente si rivolgeva alla Corte d’appello deducendo di non
aver avuto alcuna conoscenza del procedimento e della sentenza
di condanna a suo carico emessa dal Tribunale e confermata in
grado d’appello con sentenza del 19/06/2012 (passata in
giudicato il 06/11/2012), atteso che nessuna comunicazione in
merito gli era mai pervenuta. Per tale motivo formulava richiesta
di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza di
primo grado. La Corte d’appello, sentitasi correttamente investita
della questione, posto che oggetto della richiesta era la
restituzione in termini per impugnare la sentenza di primo grado,
rigettava l’istanza in quanto era documentalmente provato che il
ricorrente avesse avuto conoscenza del procedimento a suo
carico, tant’è che era stato fermato per i reati oggetto dello
stesso, aveva nominato un difensore di fiducia e dichiarato il
domicilio.
7.

E’ dato pacifico che il ricorrente abbia avuto conoscenza del
procedimento a suo carico (per le ragioni evidenziate dalla Corte

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d’appello e non negate dal ricorrente con validi argomenti) e che
il suo difensore abbia appellato la sentenza emessa dal Tribunale.
Tale scenario ha “consumato” il diritto del ricorrente ad appellare
la sentenza di primo grado in quanto costituisce principio
giurisprudenziale costante che l’impugnazione proposta dal
difensore, di fiducia o d’ufficio, nell’interesse dell’imputato
contumace, precluda a quest’ultimo, una volta che sia intervenuta

termine per proporre a sua volta impugnazione (cfr., Cass., Sez.
un., n. 6026 del 31/01/2008-dep. 07/02/2008, Huzuneanu, rv.
238472, secondo cui l’astratta configurabilità di una duplicazione di
impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall’imputato,
rappresenterebbe una opzione palesemente incompatibile con
l’esigenza di assegnare una “ragionevole durata” al processo, sulla
base di quanto imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;
nello stesso senso, Cass., Sez. 1, sentenza n. 8429 del
10/12/2008): il legislatore, invero, ha ritenuto di affidare alle
autonome scelte del difensore del contumace – sia esso di fiducia
che d’ufficio – il diritto di proporre impugnazione, per cui l’esercizio
di tale potere non può essere revocato e dichiarato tamquam non
esset

per la successiva iniziativa, ottenuta grazie ad una

restituzione in termini, di chi è beneficiato della suddetta
impugnazione proposta dal difensore. Ne consegue la correttezza
del rigetto della richiesta di restituzione nel termine per impugnare
la sentenza del Tribunale.
8. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che non ricorrano nemmeno i
presupposti per concedere la restituzione nel termine per impugnare la
sentenza d’appello.
Ribadita l’infondatezza dell’asserzione secondo cui l’EMRULA non
avrebbe mai avuto notizia del procedimento, visto che – come si è
detto – lo stesso aveva subìto l’applicazione di misure cautelari ed
aveva ricevuto la notifica del relativo decreto di citazione a giudizio,
non può non condividersi l’orientamento di legittimità – di cui la Corte
territoriale ha fatto corretta applicazione – secondo cui, ai fini della
restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, è
necessario che sussistano simultaneamente le condizioni della mancata

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(

la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel

conoscenza del procedimento, accompagnata dalla mancata volontaria
rinunzia a comparire, e della mancata conoscenza del provvedimento,
accompagnata dalla mancanza di volontaria rinunzia ad impugnare.
Ne consegue che ad impedire l’attivazione del rimedio è sufficiente il
difetto di una soltanto di tali condizioni (Cass., Sez. 1, n. 32984 del
15/06/2010-dep. 08/09/2010, Condello, rv. 248008; nello stesso
senso, Cass., Sez. 2, n. 43452 del 03/07/2013-dep. 24/10/2013,

Baloc. Rv. 256822).
Invero, come questa Suprema Corte ha già più volte osservato (Cass.,
Sez. 1, 30/03/2010, Matrone, in sostanziale adesione, tra molte, a
Cass., Sez. 2, n. 9104 del 21/02/2006, Colonna, Cass., Sez. 2, n. 8410
del 24/01/2006, Pisaturo), l’art. 175, comma 2 cod. proc. pen., come
sostituito dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni
nella L. 22 aprile 2005, n. 60, riconosce al contumace il diritto alla
restituzione nel termine per impugnare “salvo che lo stesso abbia
avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e
abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre
impugnazione o opposizione”.
La norma è confezionata in guisa da escludere il rimedio considerato
ove risulti la conoscenza del procedimento ovvero del provvedimento e
la volontaria rinunzia riferibile, alternativamente, al procedimento
(dunque rinunzia a partecipare) o al provvedimento conclusivo
(dunque rinunzia ad impugnare).
Il dato testuale è di conseguenza inequivocabilmente nel senso che la
mancanza di conoscenza del procedimento accompagnata da mancata
volontaria rinunzia a comparire, e la mancata conoscenza del
provvedimento, accompagnata da mancanza di volontaria rinunzia a
impugnare, costituiscono condizioni che devono sussistere
cumulativamente per ottenere la restituzione in termini. Ad impedire
l’attivazione del rimedio è perciò all’opposto sufficiente che manchi una
soltanto di tali condizioni.
E se non bastasse il dato testuale, che la conoscenza del
procedimento, purché sia accompagnata della volontaria rinunzia a
comparire, ben può essere sufficiente ad escludere la restituzione in
termini, emerge chiaramente dalla giurisprudenza della Corte EDU che
ha dato causa alla previsione in esame e che ne delinea la ragione.
È noto che l’art. 175, comma 2 cod. proc. pen., nella formulazione

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introdotta con il D.L. n. 17 del 2005 conv. in L. n. 60 del 2005, è
conseguenza del comando di legislazione che la Corte europea ha
rivolto all’Italia con la sentenza Sejdovic, emessa dalla prima sezione
in data 10.11.04 e confermata dalla Grande Camera.
La giurisprudenza della Corte EDU costituisce di conseguenza guida
interpretativa della

ratio legis.

E secondo tale giurisprudenza la

legittimità del procedimento in absentia può ritenersi solo ove risulti

che l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del processo a suo carico
e delle conseguenze che potevano scaturirne e ha rinunziato ad
avvalersi del suo diritto di essere presente in udienza e di partecipare
(effettivamente) al giudizio (v. già Colozza c. Italia, sentenza del 12
febbraio 1985, 27; F.C.B. c. Italia, sentenza del 28 agosto 1991, 33; T.
c. Italia, sentenza del 12 ottobre 1992, 26; Yavuz c. Austria, 27
maggio 2004, 45; Novoselov c. Russia, decisione dell’8 luglio 2004).
Per stabilire se vi sia stata o meno rinuncia inequivoca a comparire, la
condizione preliminare ed essenziale è ovviamente verificare se
l’imputato abbia avuto conoscenza, non soltanto della possibilità di un
procedimento a suo carico, ma dell’esistenza effettiva di un processo e
del contenuto dell’accusa sulla quale era chiamato a difendersi in
giudizio. Ed occorre che tale conoscenza sia stata effettiva (Somogyi c.
Italia del 18.4.04, par. 75): che la comunicazione del procedimento sia
stata cioè veicolata attraverso un atto giuridico rispondente a precise
condizioni formali e sostanziali, idonee a permettere all’imputato
l’esercizio concreto dei suoi diritti.
Ma, risultando incensurabilmente affermata tale condizione di
conoscenza effettiva del processo, l’imputato, che ha scelto di non
comparire, non può dolersi del fatto di non avere saputo dell’esito del
giudizio. La accertata volontarietà, cognita causa, della sua sottrazione
al processo e della condizione di latitanza che ha dato causa al
processo contumaciale, rende pienamente efficace anche la
comunicazione della sentenza mediante notificazione al difensore che è
rimasto nel giudizio a rappresentare l’imputato e con il quale l’imputato
ha l’onere, quando non ha voluto avvalersi del diritto all’autodifesa, di
prendere contatto: tanto più se si tratta di difensore fiduciario.
Conferma di tale lettura viene quindi dalla decisione quadro DQ
2009/299 (26 febbraio 2009, in GUCE L. 81/24 del 27.3.2009) sul
reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in absentia, che

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paramenti

ammette

come alternative

(“o”)

le condizioni:

– che l’imputato sia stato citato personalmente e sia quindi stato
informato della data e del luogo fissati per il processo terminato con la
decisione (o sia stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi
della data e del luogo fissati per il processo, in modo tale che sia
stabilito inequivocabilmente che era al corrente del processo fissato) e
sia stato informato del fatto che una decisione poteva essere emessa

– che, dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essendo
informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello,
abbia espressamente dichiarato di non opporsi alla decisione o non
abbia richiesto un nuovo processo o presentato ricorso in appello entro
il termine stabilito (e, all’effettiva conoscenza del procedimento o del
provvedimento si riferisce, come condizioni ostative, la sentenza della
C. cost. n. 371 del 2009).
Nel caso in esame, si deve inoltre osservare come la conoscenza della
esistenza del processo non sia ricollegabile solo ad un atto posto in
essere di iniziativa della polizia giudiziaria anteriore alla formale
instaurazione dello stesso procedimento, ma si ricolleghi ad atti a
contenuto giurisdizionale, ai quali è conseguita la precisa scelta
dell’imputato di non osservarli. La decisione della Corte d’Appello di
Perugia si è pertanto attenuta ai principi di diritto indicati e la decisione
è sorretta da motivazione priva di vizi che la rendano censurabile: da
qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, ex art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese processuali

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deliberato in Roma, camera di consiglio del 21.2.2014

Il Consigliere estensore

Il President

in caso di mancata comparizione in giudizio;

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