Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13296 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13296 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MANCUSO Pantaleone, n. il 30.3.1947;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 6.6.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Giulio Romano,
che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Uditi i difensori Avv.ti Leopoldo Marchese e Paola Stilo, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di
Mancuso Pantaledne, indagato per i reati di cui agli artt. 416-bis cod.
pen. e 12 quinquies D.L. n. 306/1992 aggravato dall’art. 7 D.L. n.
152/1991.

Data Udienza: 20/02/2014

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed
il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 6.6.2013, confermò il
provvedimento impugnato.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:
1) la nullità dell’ordinanza impugnata derivante dalla pregressa nullità
delle dichiarazioni spontanee rese dal Mancuso al Magistrato di

camerale dinanzi al Tribunale del riesame di Catanzaro; nullità delle
dichiarazioni determinata – a dire del ricorrente – dal legittimo
impedimento dei difensori del Mancuso a partecipare all’udienza camerale
tenuta dal detto Magistrato di sorveglianza, in quanto impegnati nella
udienza fissata nello stesso giorno dinanzi al Tribunale del riesame di
Catanzaro nell’ambito del medesimo odierno procedimento;
2) la violazione dell’art. 11 comma 3 cod. proc. pen., per essere
l’A.G. di Catanzaro incompetente a trattare il procedimento nei confronti
del Mancuso, in quanto procedimento connesso a quello pendente presso
l’A.G. di Salerno nei confronti di taluni magistrati in servizio nel distretto
di Catanzaro; deduce come, nella informativa di reato in atti, vi sia
esplicito rinvio ad altra informativa trasmessa esclusivamente alla
Procura della Repubblica di Salerno riguardante i rapporti del Mancuso
con magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine e come sia palese la
sussistenza della connessione ex art. 12 lett. b) cod. proc. pen. tra il
procedimento avviato a carico del Mancuso dall’A.G. di Catanzaro e quello
istruito a carico dei magistrati dall’A.G. di Salerno, ciò che
determinerebbe – ai sensi dell’art. 11, comma 3, cod. proc. pen. l’attribuzione della competenza in ordine al primo procedimento al giudice
individuato a norma dell’art. 11 comma 1, ossia all’A.G. di Salerno;
essendo stato il procedimento nei confronti dei magistrati ormai definito
con provvedimento di archiviazione da parte dell’A.G. di Salerno, chiede
che la Corte di cassazione acquisisca d’ufficio copia degli atti di tale
procedimento e verifichi l’esistenza della dedotta connessione;
3)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione dell’ordinanza impugnata con riferimento alla ritenuta
sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari; deduce

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sorveglianza di Pavia (luogo ove era ristretto) in vista dell’udienza

come il Mancuso sia stato già giudicato per tutte le condotte commesse
fino all’ottobre 2003 e come, con l’ordinanza custodiale impugnata, siano
stati contestati al medesimo o fatti non nuovi ma oggetto del precedente
giudizio ovvero fatti del tutto privi di rilevanza penale.
Con memoria difensiva depositata il 28.1.2014, il difensore del
Mancuso ha prodotto copia della richiesta di archiviazione avanzata dalla

di alcuni magistrati calabresi (indagati per i delitti di cui agli artt. 326,
378 e 323 aggravati dall’art. 7 D.L. n. 152/1991) e del successivo
decreto di archiviazione del G.I.P. di Salerno; copia del provvedimento
dello stesso G.I.P., col quale è stata negata alla difesa del Mancuso la
copia degli atti del procedimento; deduce come la sola lettura della
richiesta di archiviazione consentirebbe di riconoscere la sussistenza della
connessione tra il presente procedimento e quello trattato dalla Procura
della Repubblica di Salerno.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso – col quale il ricorrente denuncia la
nullità del verbale delle dichiarazioni spontanee rese dal Mancuso al
Magistrato di sorveglianza di Pavia (luogo ove era ristretto), essendo i
difensori dell’indagato nella medesima data impegnati dinanzi al
Tribunale del riesame di Catanzaro – è manifestamente infondato.
Questa Corte suprema, in tema di impedimento del difensore a
comparire per concomitante impegno professionale ha fissato i seguenti
principi di diritto:
1)

In tema di impedimento del difensore a comparire per

concomitante impegno professionale, costituisce preciso onere del
difensore medesimo motivare circa l’impossibilità di nominare un
sostituto (Cass., Sez. 3, n. 26408 del 02/05/2013 Rv. 256294; Sez. 2, n.
25754 del 11/06/2008 Rv. 241457);
2) È legittima la decisione di rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza
per precedenti improrogabili impegni professionali, qualora l’attestazione
di impossibilità di sostituzione sia assolutamente apodittica, in quanto è
onere del difensore istante esplicitare le ragioni di detta impossibilità che possono variamente riguardare la difficoltà, delicatezza o

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Procura della Repubblica di Salerno nel procedimento iscritto nei confronti

complicazione del processo, l’esplicita richiesta dell’assistito, l’assenza di
altri avvocati nello studio del difensore, l’indisponibilità di colleghi esperti
nella medesima materia ecc. – per consentire al giudicante di apprezzarle
(Cass., Sez. 5, n. 41148 del 28/10/2010 Rv. 248905).
Orbene, è evidente che i difensori del Mancuso, ove avessero avuto
Interesse a che la difesa presenziasse alla dichiarazioni spontanee resa

nominare un sostituto che prendesse parte o all’udienza camerale di
Pavia o a quella dinanzi al Tribunale del riesame di Catanzaro (dove,
peraltro, era agevolmente prevedibile che la discussione della istanza di
riesame non si sarebbe potuta tenere, dovendo ancora il Mancuso
rendere dichiarazioni spontanee a Pavia).
I difensori non si sono curati di nominare un sostituto per l’una o per
l’altra udienza, né hanno fornito alcuna giustificazione di tale omissione;
cosicché la loro doglianza circa la nullità delle spontanee dichiarazioni del
Mancuso, perché assunte in loro assenza, è priva di fondamento,
trattandosi di atto al quale i difensori hanno diritto di assistere, ma la cui
assenza (ove non sussista – come nel caso di specie – un legittimo
impedimento) non priva l’atto della sua validità.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che, in forza della previsione di cui all’art. 11 comma
terzo cod. proc. pen., il procedimento connesso ad altro riguardante un
magistrato (nella qualità di persona sottoposta alle indagini, di imputato,
di persona offesa o danneggiata) viene attratto alla competenza del
giudice individuato a norma dell’art. 11 comma 1 cod. proc. pen.
Trattasi di un criterio originario ed autonomo di attribuzione della
competenza, che tuttavia, nel corso delle indagini preliminari, va
coniugato con la fluidità delle imputazioni e con la mutevolezza del thema

decidendum dei procedimenti, di modo che la originaria competenza per
connessione può venire meno – nel corso delle indagini preliminari – a
causa della archiviazione del procedimento che ha attratto la competenza
ovvero dell’archiviazione della imputazione o delle imputazioni che hanno
determinato la connessione e, quindi, l’attrazione della competenza,

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dall’indagato al magistrato di sorveglianza di Pavia, ben avrebbero potuto

dandosi luogo – in tal caso – alla reviviscenza della competenza originaria
propria del procedimento attratto.
In questo senso si è costantemente pronunciata questa Suprema
Corte quando ha affermato che: «Pur essendo la connessione, nel vigente

sistema processuale, criterio autonomo ed originario di attribuzione della
competenza, essa non comporta, nelle fasi antecedenti al giudizio,

qualora, prima della chiusura delle indagini preliminari, sopravvenga
pronuncia di archiviazione relativamente ad alcuno dei fatti tra loro
connessi, non può invocarsi il suddetto principio per sostenere, anche con
riguardo agli altri fatti, il permanere della competenza del giudice
inizialmente individuato sulla base della connessione» (Cass., Sez. 5, n.
45418 del 29/09/2004 Rv. 230413; Sez. 5, n. 736 del 12/02/1999 Rv
212879; Sez. 1, n, 6442 del 17/11/1997 Rv 208946); e ancora che

«Data la preminenza del principio costituzionale del giudice naturale su
quello della “perpetuati° jurisdictionis”, l’attribuzione della competenza
determinata da ragioni di connessione assume i connotati della
definiti vità solo una volta che, dopo l’eventuale rinvio a giudizio, risulti
cristallizzato il “thema decidendum” sul quale il giudice del dibattimento
deve portare il suo esame. Ne consegue che, prima che il “simultaneus
processus” abbia raggiunto la fase del giudizio, quando vengano meno le
ragioni di connessione per reati di competenza per materia o territoriale
di altri giudici, i relativi procedimenti devono essere a tali giudici restituiti
con pronuncia di incompetenza, dichiarata dal giudice per le indagini
preliminari, nel corso o dopo la chiusura delle medesime indagini, ai sensi
dell’art. 22 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. 1, n. 2739 del 14/05/1998 Rv.
210722).
Questa regola non vale per i procedimenti riguardanti magistrati,
che sono inderogabilmente attribuiti alla competenza del giudice
individuato dall’art. 11 comma 1 cod. proc. pen., ma vale per i
procedimenti attratti per connessione ai procedimenti riguardanti i
magistrati, trattati dal giudice competente ex art. 11 cod. proc. pen.; ciò
perché – una volta definito con archiviazione il procedimento riguardante
i magistrati – non v’è ragione, prima dell’inizio del giudizio, perché il

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l’operatività del principio della “perpetuati° jurisdictionis”. Pertanto,

giudice individuato a norma dell’art. 11 comma 1 cod. proc. pen.
trattenga anche il procedimento attratto alla sua competenza per ragioni
di connessione ormai venute meno, di modo che la competenza in ordine
a tale procedimento ritorna al giudice competente secondo le regole
ordinarie.
È ciò che si è verificato nell’odierno procedimento.

Distrettuale della Repubblica di Catanzaro nei confronti del “clan
Mancuso” sono emersi indizi di reità nei confronti di taluni magistrati in
servizio in quel distretto, in ordine ai quali è stata debitamente investita,
per competenza ex art. 11 cod. proc. pen., la Procura Distrettuale della
Repubblica di Salerno.
Risulta dagli atti che, quando la Procura della Repubblica di
Catanzaro avanzò la richiesta di misura cautelare nell’ambito del presente
procedimento (14.3.2013) e quando il G.I.P. di Catanzaro emise la
misura custodiale nei confronti del Mancuso (25.3.2013), il P.M. e il G.I.P.
nulla sapevano in ordine al contenuto del procedimento iscritto a Salerno
nei confronti dei magistrati calabresi (non conoscevano, in particolare, le
contestazioni mosse agli stessi né i soggetti che erano con essi
coindagati), ragion per cui bene fecero a ritenersi competenti, non
esistendo – allora – agli atti alcun elemento che consentisse di ritenere la
sussistenza di connessione tra il procedimento da essi trattato e quello
trattato dalla Procura di Salerno.
Anche il Tribunale del riesame di Catanzaro, con l’ordinanza
impugnata emessa il 6.6.2013, nulla sapeva né dell’oggetto dell’indagine
di Salerno né della intervenuta archiviazione: pertanto, correttamente ha
affermato che «non è possibile stabilire se si è in presenza di taluna delle
ipotesi di cui all’art. 12 cod. proc. pen. che determinerebbero lo
spostamento di competenza ex art. 11 comma 3 cod. proc. pen. per tutti
gli indagati nel presente procedimento a favore del giudice determinato ai
sensi del comma 1 del medesimo articolo».
Deve tuttavia rilevarsi che, se il Tribunale del riesame avesse
appreso della intervenuta archiviazione del procedimento nei confronti dei

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Invero, nel corso delle indagini preliminari svolte dalla Procura

magistrati, avrebbe dovuto comunque ritenere la competenza dell’A.G. di
Catanzaro.
E invero, pur dovendosi rilevare che l’A.G. di Salerno è stata medio tempore – competente, ai sensi dell’art. 11 comma 3 in relazione
all’art. 12 lett. b) cod. proc. pen., anche in ordine al procedimento nei
confronti del Mancuso (e infatti, dalla richiesta di archiviazione avanzata

il Mancuso è stato coindagato di un reato contestato anche ad un
magistrato, reato virtualmente legato da vincolo di continuazione con il
delitto associativo qui contestato), deve tuttavia prendersi atto che tale
competenza è venuta meno allorquando, il 4.6.2013, il G.I.P. di Salerno
ha disposto l’archiviazione del procedimento riguardante i magistrati
calabresi; di modo che, da quel momento in poi, l’A.G. competente a
trattare l’odierno procedimento è tornata ad essere quella di Catanzaro.
E infatti, l’attrazione della competenza per ragioni di connessione è
possibile, nel corso delle indagini preliminari, fin quando il procedimento
attraente è ancora pendente, non quando esso è ormai archiviato e – con
ciò – è venuta meno la stessa ragione (la connessione) della attrazione.
Ne deriva che, nel corso delle indagini preliminari, non può essere
privata della trattazione del procedimento l’A.G. che, essendo prima
incompetente, è divenuta poi competente; così come non può essere
investita della trattazione di un procedimento l’A.G. che, pur essendo
stata prima competente, è divenuta nel frattempo incompetente.
Può enunciarsi quindi il seguente principio di diritto:

«In tema di

competenza per territorio, lo spostamento della competenza per
connessione con procedimenti riguardanti magistrati, ai sensi dell’art. 11
comma 3 cod. proc. pen., viene meno – nella fase delle indagini
preliminari – quando sia archiviato il procedimento riguardante i
magistrati e sia perciò cessato lo stesso rapporto di connessione posto a
base dello spostamento di competenza; in tal caso, il procedimento
attratto alla competenza del giudice individuato ex art. 11 cod. proc. pen.
ritorna ad essere di competenza del giudice originariamente competente
secondo le regole ordinarie. Qualora il procedimento connesso a quello
riguardante i magistrati (che avrebbe dovuto essere trasmesso per

dalla Procura di Salerno e prodotta in questa sede dalla difesa, risulta che

competenza al giudice individuato dall’art. 11 cod. proc. pen.) sia
rimasto, nel corso delle indagini preliminari, presso l’A.G. incompetente,
quest’ultima – una volta intervenuta l’archiviazione del procedimento
riguardante i magistrati – non può più essere privata della trattazione del
procedimento, essendo ormai divenuta competente; così come l’A.G. già
competente a norma dell’art. 11 cod. proc. pen. non può essere investita

suddetta archiviazione – è divenuta nel frattempo incompetente».
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente lamenta la mancanza e illogicità della motivazione in
ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e in ordine alla
sussistenza delle esigenze cautelari; ma appare evidente come si
sottopongano alla Corte censure di merito, inammissibili in sede di
legittimità.
Il ricorrente, infatti, critica – sotto mentite spoglie – la valutazione
delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono
pervenuti in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle
esigenze cautelari poste a base delle misure. Va ricordato, tuttavia, che
la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva, all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a
meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della
motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa

Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocur,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e

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della trattazione del procedimento connesso, per il quale – intervenuta la

considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di

numerose risultanze delle intercettazioni eseguite); non si ritiene,
peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le
suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare
che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore
dell’ordinanza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che
giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del
ricorrente sul punto.
È manifestamente infondato l’assunto del ricorrente secondo cui, con
l’ordinanza custodiale impugnata, sarebbero stati contestati al Mancuso
fatti non nuovi (perché lo stesso sarebbe stato già giudicato per tutte le
condotte commesse fino all’ottobre 2003) ovvero fatti del tutto privi di
rilevanza penale.
Invero, le vicende emerse nel corso delle indagini (come quelle a p.
17 s., 23 ss., 26 SS., 29 ss. della ordinanza impugnata) costituiscono fatti
ben successivi all’anno 2003, che il Tribunale – con un ragionamento
immune da vizi logici – ha ritenuto attestare l’attualità del potere mafioso
del Mancuso sul territorio.
5. Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto va condannata al
pagamento delle spese del procedimento.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà
del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.

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argomenti, le ragioni della loro decisione (richiamando, tra l’altro, le

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 20 febbraio 2014.

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