Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13270 del 14/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13270 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Longo Rosa, nata a Polistena il 10/05/1970;
avverso la sentenza del 19/02/2013 della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal consigliere
Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, Carmine Stabile, il quale
ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 24.1.2011, il Tribunale di Palmi, Sezione distaccata di
Cinquefrondi, dichiarò Longo Rosa responsabile del reato di tentata truffa in
danno dell’I.N.P.S. e – concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti
all’aggravante – la condannò alla pena di mesi 6 di reclusione ed € 300,00 di
multa.

Data Udienza: 14/03/2014

2. Avverso tale pronunzia l’imputata propose gravame ma la Corte
d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 19.2.2013, confermò la decisione
di primo grado.

3. Ricorre per cassazione l’imputata deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di
responsabilità dell’imputata, basata sugli artifizi attribuiti al concorrente
datore di lavoro, senza adeguatamente motivare in ordine all’elemento

soggettivo in capo alla ricorrente, la quale avrebbe lavorato sui fondi a lei
indicati dal datore di lavoro; il fatto che costui non avesse la giuridica
disponibilità di fondi agricoli non significa che nonvesse la disponibilità e
non sarebbe stato dimostrato che l’imputata non avesse lavorato;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato giudizio
di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante ed alLmisura della
pena.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell’imputata in quanto, a
fronte della dichiarazione di assunzione da parte di Napoli Francesco per lavori
agricoli, giudicata fittizia siccome costui non aveva terreni nei Comuni in cui i
dipendenti fittizi (fra cui la ricorrente) venivano indicati come avviati al
lavoro,compiva atti idonei a percepire prestazioni assistenziali e previdenziali.
L’imputata aveva del resto allegato alla domanda la copia dei suoi
documenti personali (carta d’identità e codice fiscale).
In siffatta motivazione non vi è alcuna violazione di legge né manifesta
illogicità.
L’imputata deduce di aver comunque lavorato sui terreni indicati dal datore
da Napoli Francesco, sicché mancherebbe l’elemento soggettivo del reato.
Si tratta di una ricostruzione alternativa a quella della sentenza impugnata,
ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la manifesta
illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett. e) cod.
proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del
giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una
ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V., con riferimento a massime
di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep.
22.12.1998 rv 212054).

2

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto che le attenuanti generiche non potessero
essere giudicate prevalenti sull’aggravante in ragione dello specifico precedente
ed in tale motivazione non vi è violazione di legge o manifesta illogicità che la
renda sindacabile in questa sede.
Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, per
il corretto adempimento dell’obbligo della motivazione in tema di bilanciamento
di circostanze eterogenee è sufficiente che il giudice dimostri di avere

considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art.
133 cod. pen. E gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti
su quelli di segno opposto, essendo sottratto al sindacato di legittimità, in quanto
espressione del potere discrezionale nella valutazione dei fatti e nella concreta
determinazione della pena demandato al detto giudice, il supporto motivazionale
sul punto quando sia aderente ad elementi tratti obiettivamente dalle risultanze
processuali e sia, altresì, logicamente corretto. (Cass. Sez. 1^ sent. n. 3163 del
28.11.1988 dep. 25.2.1989 rv 180654).
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli
specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass.

Sez. 6, sent. n. 10273 del

20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n.
117242).

3.11 ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

3

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato il giorno 14/03/2014.

Piercamill

Il Presidente
Matilde Cammino

Il Consigliere estensore

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