Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13259 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13259 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto daTattoli Francesco, nato il 6.11.1940; Danese Vincenzo,
nato il 13.4.1983, avverso la sentenza della Corte di appello diMilano, del
15.11.2012. Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di
Marzio; udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Eduardo
Scardaccione, sul rigetto dei ricorsi; udito il difensore degli imputati, avv.
Maria Francesca Fera, il quale insiste per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano ha confermato la condanna inflitta a Tattoli
Francescoe Danese Vincenzo dal Tribunale della medesima città in data 18
febbraio 2011 per il delitto di usura.
Assistiti dai rispettivi difensori, gli odierni imputati articolano due diversi
ricorsi in cui illustrano motivi largamente sovrapponibili che possono così
riassumersi.
Premesso che la principale fonte di prova sarebbe costituita dalla deposizione
della persona offesa costituitasi parte civile, Moschella Salvatore, e premesso
altresì che quest’ultima ricevette dagli imputati le dazioni di denaro per cui è

Data Udienza: 11/03/2014

processo, si contesta recisamente che tali dazioni, finalizzate a realizzare
investimenti commerciali prospettati dalla stessa persona offesa, potessero
invece qualificarsi come prestiti di denaro concessi per di più a tassi usurari.
In particolare, nel ricorso presentato nell’interesse del Tattoli si prospetta
violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi
del reato di usura, rilevando come l’impianto accusatorio si fondi quasi
esclusivamente sulla deposizione della persona offesa che, anche per essersi

personale nel processo, cosa che avrebbe dovuto indurre la corte di merito ad
una più prudente valutazione delle deposizioni rese.
Si critica, con diffusa argomentazione, la motivazione resa dalla corte di
merito in ordine al giudizio di attendibilità della parte civile medesima; si
sottolinea al proposito il rapporto di amicizia che legava quest’ultima con il
coimputato Danese, ritenuta incompatibile con lo svolgimento dei fatti per
come ricostruito delle corti di merito. Si segnala come il Moschella non avesse
mai palesato difficoltà economiche alle proprie controparti contrattuali. Si
lamenta inoltre la illogicità della argomentazione della corte di appello laddove
da un lato si deduce la natura di prestito usurario dalla mancata
documentazione del rapporto economico intercorso tra le parti, mentre
dall’altro si ritiene compatibile con la natura usuraria del predetto rapporto
anche la mancata formazione delle ricevute dei pagamenti effettuati dalla
persona offesa. Si lamenta, inoltre, travisamento della prova quanto alla
deposizione della teste della difesa Romano Maria, e più in generale si
ricostruisce ampiamente il fatto oggetto di causa difformemente da quanto
ritenuto dalla corte di appello.
Nel ricorso presentato nell’interesse del Danese si ribadisce la critica circa la
mancata prova del dolo usurario, precisando come almeno fino al marzo del
2008 la persona offesa non avesse mai palesato le proprie difficoltà
economiche; si ribadisce la natura non di prestito bensì di investimento delle
somme erogate; si ribadisce inoltre la critica sulla attendibilità della persona
offesa (sottolineando le incerte deposizioni di cui si era resa protagonista,
nonché la condotta indisciplinata tenuta nel corso del processo, determinata
quest’ultima dalla insofferenza verso le domande rivolte); si critica la
decisione della corte di merito laddove ha ritenuto la persona offesa
legittimata alla costituzione di parte civile benché la stessa fosse estranea ai
rapporti in oggetto, in quanto gli assegni corrisposti recavano la firma,
anziché della persona offesa, di un diverso soggetto, nipote della predetta. A

costituita parte civile, non può ritenersi che portatrice di un preciso interesse

tal riguardo, si puntualizza, dovrebbe riconoscersi l’assenza di un danno in
campo al Moschella.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.Innanzitutto, Il Collegio ritiene di dovere riaffermare in
questa sede il principio, espresso da un consolidato indirizzo esegetico, e di
recente ribadito da Cass. sez. un. 19.7.2012,n. 41461 per il quale “le regole
dettate dall’art. 192 cod. proc. pen., comma 3, non trovano applicazione

relativamente alle dichiarazioni della parte offesa: queste ultime possono
essere legittimamente poste da sole a base dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della loro credibilità soggettiva e dell’attendibilità intrinseca del racconto (cfr.
ex multis e tra le più recenti Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv.
251661; Sez. 3, n. 28913 del 03/05/2011, C, Rv.251075; Sez. 3, n. 1818 del
03/12/2010, dep. 2011, L. C, Rv. 249136;Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008,
De Ritis, Rv. 240524). Il vaglio positivo dell’attendibilità del dichiarante deve
essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono
sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talchè tale deposizione
può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga
sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Può essere
opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora
la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di
una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal
riconoscimento della responsabilità dell’imputato (Sez. 1, n. 29372 del
24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella,
Rv. 229755). Costituisce, infine, principio incontroverso nella giurisprudenza
di legittimità l’affermazione che la valutazione della credibilità della persona
offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave
di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere
rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in
manifeste contraddizioni (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis,
cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del
04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del
13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003,
Assenza, Rv. 225232)”.
La corte territoriale – tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti
gli elementi emersi nel corso del processo – ha spiegato, con iter
argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente

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ancorato all’esame delle singole emergenze processuali, le ragioni per le quali
le dichiarazioni rese dal Moschella, persona offesa dal reato, si mostrano
innanzitutto logiche lineari, e inoltre prive di contraddizioni, sono inoltre da
ritenere intrinsecamente e oggettivamente attendibili anche perché trovano
univoci e significativi elementi di convergenza negli altri elementi investigativi
acquisiti e, in particolare apprendistato come tali dichiarazioni siano
ampiamente avvalorate da molteplici emersioni istruttorie, costituite da

numerosi riscontri documentali, dagli esiti delle intercettazioni telefoniche,
dalle risultanze di diverse attività investigative svolte dalla guardia di finanza.
Del resto, prosegue la corte, gli stessi imputati non hanno nemmeno negato le
intervenute dazioni di denaro essendosi limitata ad affermare la causa di
investimento, e non di prestito, di dette dazioni. Ma, a tale ultimo riguardo,
osserva la corte come molteplici circostanze di fatto contraddicano alla tesi
difensiva, la quale si mostra sotto tale luce implausibile. Si rammenta infatti
che a fronte dei versamenti il Tattoli si fece rilasciare un assegno in garanzia;
si ricordano le pressanti richieste di restituzione del denaro erogato, è la
condotta intimidatoria realizzata ai danni del Moschella per come risultante
dalle numerose intercettazioni telefoniche: il tutto per concludere linearmente
sulla natura di prestito, avente natura usuraria, delle dazioni di denaro in
oggetto.
Ciò è dettagliatamente esposto a pagina 11 della sentenza impugnata; nella
pagina successiva si dà conto di come i prestiti erogati alla parte civile fossero
connotati, secondo la consulenza esperita, da usurarietà estremamente
evidente, essendo stato praticato nel primo caso un interesse pari al 58,514
per cento; nel secondo caso un interesse addirittura ammontante a 244,42
per cento. Deve riguardo osservarsi come la censura svolta riguardo a tale
consulenza nel ricorso nell’interesse del Tattolo (cfr. p. 14) sia estremamente
generica e come tale manifestamente infondata.
Ponendo in evidenza le descritte risultanze la corte di appello ha fatto
applicazione della giurisprudenza per cui al fine d’integrare il reato di usura ai
sensi dell’art. 644 cod. pen. così come novellato per effetto della I. 7 marzo
1996 n. 108, la condotta criminosa esige il requisito oggettivo dello squilibrio
finanziario legalmente qualificato nell’ambito del contratto a prestazioni
corrispettive. Ne consegue che la linea di demarcazione tra condotta
penalmente rilevante e operazione lecita in relazione alle concrete ed
eventualmente complesse caratteristiche del rapporto è dettata proprio dalla
sproporzione dei vantaggi unilateralmente conferiti ad una sola delle parti

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(Cass. sez. 3, 31.8.2011, n. 17882).
In particolare, ha applicato l’insegnamento secondo cuiin tema di reato di
usura, il giudice è tenuto ad accertare motivatamente la natura usuraria degli
interessi mediante specifico riferimento ai valori determinati dal decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze vigente all’epoca della pattuizione e da
aumentare della metà, onde raggiungere il tasso – soglia, ai sensi dell’art. 2 I.
n. 108 del 1996 (Cass. sez. 5, 16.1.2013, n. 8353).

dell’elemento soggettivo del reato in capo agli odierni imputati in ragione della
evidenza usuraria dei tassi sopra riportati, precisando come le conversazioni
captate e intercorse fra gli stessi confermino la sussistenza del dolo.
Né appare superfluo, insistendovi i ricorsi, aggiungere che lo stato di bisogno
della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla
sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente
presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre il prestito
a condizioni tanto inique e onerose (Cass. sez. II, 13.12.2012, n. 12791).
Circa il vizio del travisamento della prova, argomentato nel ricorso presentato
nell’interesse del Tattolo (a pagina 12 s.) a proposito della deposizione di
Romano Maria, lo stesso, genericamente prospettato anche circa la rilevanza
che dovrebbe assumere ai fini della decisione, è meramente affermato nel
ricorso, che già per questo accusa un evidente difetto di autosufficienza.
Quanto infine alla legittimazione alla costituzione di parte civile, a pagina 13
della sentenza impugnata come le condotte di usura furono realizzate proprio
nei confronti del Moschella, che aveva direttamente concordato i prestiti,
ritirato le somme di denaro e provveduto alle restituzioni anche mediante
versamenti in contanti. Cosicché, linearmente la corte di appello conclude
sulla legittimazione del Moschella alla costituzione di parte civile nel presente
processo.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanni ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma, li 11.3.2014

La corte territoriale ha logicamente ritenuto provata la sussistenza

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