Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1325 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1325 Anno 2016
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAPPALA’ ROSARIO N. IL 10/03/1951
avverso l’ordinanza n. 3666/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
30/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 18/11/2015

udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per l’annullamento con
rinvio con riguardo al terzo motivo di ricorso;
udito il difensore dell’imputato, avv. Mario Ruberto, che ha concluso
riportandosi al ricorso

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, Sezione riesame, con ordinanza in data
30.7.2015, in parziale accoglimento dell’appello ex art. 310 c.p.p.

responsabile dell’Unità Operativa Complessa Emergenza e Pronto
Soccorso dell’ospedale “Villa Betania” di Napoli, struttura convenzionata
con il Servizio Sanitario Nazionale- dichiarata cessata l’efficacia della
misura interdittiva del divieto di svolgimento della professione medica e
delle attività ad essa inerenti per la durata di un anno, disposta nei
confronti del predetto indagato disposta con ordinanza del G.I.P. del
Tribunale dì Napoli del 28.5/13.6.2015, limitatamente al reato di
concussione di cui al capo a) dell’imputazione provvisoria- rigettava
nel resto l’appello, confermando l’ordinanza applicativa della medesima
misura interdittiva in relazione al capo b) dell’ imputazione provvisoria.
1.1.Con tale imputazione erano stati contestati all’indagato i reati di
cui agli artt. 81, co. 2, 479 e 476/2 c.p. perché, anche in tempi diversi,
nella sua qualità di pubblico ufficiale, nell’esercizio delle sue funzioni,
formava falsamente un referto medico, datato 22.9.2014 con il logo
“Villa Betania”, atto pubblico fidefacente, nei confronti di Angrisani
Vittoria, con apposta una firma illeggibile sulla dicitura “Il Patologo”
non riconducibile a nessuno dei patologi dell’ospedale evangelico Villa
Betania ed attestava, sempre falsamente, nello stesso referto medico
“l’assenza di cellule tumorali”, nonché “un quadro citologico che mostra
alcuni elementi come da fibrolipomatosi”, senza aver effettuato alcun
esame presso il laboratorio di anatomia patologica di Villa Betania
prima della data del 6.10.2014.
1.2.Nell’ordinanza impugnata veniva dato atto della ricorrenza di gravi
indizi a carico dell’indagato, sia per il reato di falsità materiale, avendo
lo stesso Zappalà riconosciuto in sede di interrogatorio di garanzia di
aver consegnato alla Angrisani una certificazione assolutamente falsa,
sia per il reato di falsità ideologica, relativa alla data indicata nel referto
del 22.9.2014, con riconoscimento delle esigenze cautelari in relazione
alla lett. c) dell’art. 274 c.p.p., per la grave e spregiudicata condotta
posta in essere dal medesimo Zappalà.
1

proposto da Zappalà Rosario- capo dipartimento di medicina generale e

2. Avverso tale ordinanza l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia,
ha proposto ricorso ex art. 311 c.p.p. affidato a tre motivi, con i quali
lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma, lett. b), per l’inosservanza ed erronea applicazione della legge
penale e segnatamente degli artt. 273, 274 e 275 c.p.p., in relazione
alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, non sussistendo in
alcun modo il pericolo che l’indagato possa commettere delitti della

circostanze del fatto, che alla luce della personalità dell’indagato, che
gode della stima di terzi, per la sua capacità professionale, ed è immune
da precedenti penali;
-con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma, lett. e) c.p.p., per manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione in merito alla ritenuta ricorrenza delle esigenze cautelari,
dovendo la condotta dell’indagato essere ridimensionata, quanto alla
gravità dei fatti, avendo il Tribunale ricostruito la vicenda in modo
contrario alla versione resa dallo Zappalà nel corso dell’interrogatorio di
garanzia, accreditando una ricostruzione dell’accaduto non provata; in
realtà l’indagato ha ammesso pienamente la falsità materiale, mentre,
quanto al contenuto del certificato falsificato, il Tribunale, pur avendo
riconosciuto che l’indagato avrebbe “abusato” della preospedalizzazione, non ha considerato che essa era finalizzata ad
ottenere l’esame dei vetrini contenenti il campione prelevato alla
Angrisani con il metodo dell’ago aspirato; a prescindere, dunque, dalla
regolarità formale di apertura della procedura di pre-ospedalizzazione,
ciò che conta, ai fini della valutazione del comportamento tenuto
dall’indagato, che ha ammesso senza riserve la propria responsabilità in
ordine al reato di falso, è che lo stesso, comunque, portava ad
analizzare i vetrini per ottenere il risultato ufficiale dal laboratorio di
anatomia patologica; ciò rende assolutamente veritiera la versione resa
dall’indagato, quando riferisce di aver rilasciato alla Angrisani il
certificato falso, dopo aver visionato la “bozza del referto” stilato,
quindi, successivamente al 6 ottobre 2014 e certamente prima del 9
ottobre, data in cui la Angrisaní, incontrò per la prima volta la dott.ssa
Giannatiempo; se l’indagato avesse consegnato il certificato falso il
4.10.2014 non avrebbe avuto alcun motivo per consegnare al
laboratorio i vetrini per le analisi il giorno 6.10.2014; emerge, dunque
,il vizio dì motivazione, laddove il Tribunale ha legato la

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stessa specie di quello per cui si procede, sia alla luce delle specifiche

spregiudicatezza della condotta dell’indagato al quadro clinico della
Angrisani, mentre non è stato considerato il comportamento tenuto
dall’indagato, che ha apertamente riconosciuto la propria responsabilità
in ordine al reato di falso e le dichiarazioni rese dallo stesso;
– con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo
comma lett. e) c.p.p., in relazione agli artt. artt. 479 c.p. e 308 c.p.p.,
stante la carenza della motivazione in ordine alla durata della misura
interdittiva fissata in 12 mesi, che non trova alcuna giustificazione in

modificato dalla novella n. 47/15, viola il principio secondo cui una
“misura cautelare” non può mai consistere nell’anticipata applicazione di
una sanzione punitiva e ciò accade, evidentemente, quando la misura
cautelare viene applicata per una durata determinata anticipatamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto di ragione, limitatamente al terzo
motivo di ricorso, mentre va respinto nel resto.
1. Non meritano accoglimento i primi due motivi di ricorso,

relativi

alla sussistenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e)
c.p.p. dell’ordinanza impugnata, in relazione alla ricorrenza
dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione della condotta
criminosa, specificamente considerato ai fini dell’applicazione della
misura interdittiva ex art. 290 c.p.p., del divieto di svolgimento della
professione medica e delle attività ad essa inerenti, per la durata dì un
anno, per i reati di falso di cui agli artt. 479 e 476/2 c.p..
1.1. Giova ribadire, innanzitutto, che l’ordinamento non conferisce alla
Corte di Cassazione alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice, cui è stata
chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del
riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato, al fine di verificare che il testo
di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro
negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:
1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 6,
sent. n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).

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relazione alle specifiche circostanze di fatto; inoltre l’art.308/2 c.p.p.,

Il controllo della Corte Suprema è limitato al riscontro dell’esistenza di
una motivazione logica in ordine ai punti censurati, senza possibilità di
compiere alcuna valutazione degli elementi che hanno legittimato
l’adozione della misura cautelare (Cass., Sez. 3, sent. n. 46727 del
12.07.2012) ed è ammissibile, pertanto, solo se denuncia la violazione
di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino

delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194
del 08/03/2012, Lupo). Così delimitato l’ambito di intervento della Corte
di Cassazione, va detto anche che il vizio di motivazione ricorre
allorquando l’iter argomentativo che ha condotto alla decisione si
dimostri incompleto, avulso dalle risultanze di causa, privo del
necessario rigore e della necessaria coerenza e consequenzialità logica
(Sez. 3, sent. n. 46727 del 12.07.2012).
1.2. Alla stregua degli indicati principi, si osserva che le doglianze di
cui al primo motivo di ricorso circa l’insussistenza del pericolo che
l’indagato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui
si procede, alla luce delle specifiche circostanze del fatto e alla luce della
personalità dell’indagato, si presenta del tutto generica e, comunque,
non si ravvisano vizi nell’applicazione dell’art. 274 lett. c) c.p.p. nella
valutazione operata dal Tribunale, secondo cui la condotta dell’
appellante- che non ha esitato a formare un referto materialmente ed
ideologicamente falso e ad aprire una pratica di pre-ospedalizzazione al
solo fine di legittimare il proprio operato e dare una parvenza di
ufficialità ad una certificazione che ufficiale non era affatto- appare
grave e spregiudicata, tanto più ove si consideri la delicatezza del
quadro clinico della Angrisani, ed induce a ritenere concreto ed attuale
un pericolo di reiterazione di condotte della stessa specie, rispetto al
quale unica misura idonea (perché in grado di impedire la reiterazione
delle condotte) e proporzionata è la misura cautelare interdittiva, in
atto.
1.3 Per quanto concerne, poi, il vizio motivazionale del provvedimento
impugnato, in merito alla gravità della condotta dell’indagato, che,
invece, va ridimensionata, avendo l’indagato ammesso pienamente i
falsi compiuti e perciò dovendo darsi credito alla sua versione dei fatti,
secondo cui avrebbe “abusato” della pre-ospedalizzazione al fine di
ottenere l’esame dei vetrini contenenti il campione prelevato alla
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la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione

Angrisani con il metodo dell’ago aspirato rilasciando il certificato falso
solo dopo aver visionato la “bozza del referto”, stilato successivamente
al 6 ottobre 2014 e prima del 9 ottobre 2014. Tali deduzioni attengono
all’evidenza a profili di merito ed alla ricostruzione dei fatti inammissibili
in questa sede, non essendo esse peraltro in grado di dar conto del
denunciato vizio motivazionale emergente dal testo del provvedimento
impugnato con il quale è stato, invece, messo in risalto che la
circostanza secondo cui lo Zappalà avrebbe visto la bozza di referto del

falso referto risulta smentita da quanto accertato nel corso
dell’indagine interna all’ospedale, secondo cui la data del “giorno sei”
(6 ottobre 2014) è quella dell’apertura della data di
“preospedalizzazione” n. 1871/2014 e non anche quella di redazione
informatica del referto da parte del dott. Perna, atteso che dalla
relazione della dott.ssa Giannetiempo e dalla documentazione in atti
emerge che il referto informatizzato del dott. Perna reca la data dell’8
ottobre 2014; il riferimento, poi, dell’indagato ad un ulteriore
documento e segnatamente al foglio di lavoro per esame citologico
vergato a mano e privo di firma datato 06.10.2014 a nome della
Angrisani (“richiesta del 6 ottobre, alle ore dieci e venti, materiale
sieròso..”) smentisce la versione della verifica preventiva della bozza
informatizzata del referto, essendo stato tale documento vergato a
mano dal dott. Perna ed informatizzato solo il successivo 8 ottobre
2014. In proposito, inoltre, non appare affetta da vizio motivazionale
l’argomentazione dirimente, secondo cui la data del 4.10.2014 quale
data di consegna del referto è stata riferita dalla Angrisani alla dott.ssa
Giannetiempo nell’immediatezza dei fatti (ed in particolare il giorno 9
ottobre 2014), allorquando il ricordo della Angrisani era certamente più
vivo, rispetto al successivo mese di dicembre, allorquando denunciò i
fatti.
2. Merita accoglimento, invece, il terzo motivo di ricorso circa
l’assenza di motivazione in ordine alla durata fissata in 12 mesi della
misura interdittiva, ai sensi dell’art. 308/2 c.p.p. nella sua attuale
formulazione.
2.1. L’art. 10 della legge n. 47/2015 ha sostituito il comma 2 ed
abrogato il comma 2 bis dell’art. 308 c.p.p. nella precedente
formulazione – che prevedevano rispettivamente , il comma 2, che “le
misure interdittive perdono efficacia quando sono decorsi due mesi
dall’inizio della loro esecuzione e nel caso in cui siano state disposte
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dr. Perna dal computer e di ciò avrebbe tenuto conto nello stilare il suo

per esigenze probatorie, il giudice può disporne la rinnovazione anche al
di là di due mesi dall’inizio dell’esecuzione, osservati i limiti previsti dal
comma 1”,

ed il comma 2 bis che, “nel caso si proceda per uno dei

delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319,
319-ter, 319-quater, primo comma, e 320 del codice penale, le misure
interdittive perdono efficacia decorsi sei mesi dall’inizio della loro
esecuzione” a meno che esse non fossero state disposte per esigenze
probatorie, sicchè il giudice poteva disporne la rinnovazione anche oltre

massima della misura interdittiva, portandolo fino a 12 mesi, per tutti i
reati per i quali la misura è applicabile, ai sensi degli artt. 287 e ss.
c.p.p., abrogando, dunque, il sistema della doppia disciplina, con
distinzione fra tipologie di reato.
2.2. Il novellato secondo comma dell’art. 308 c.p.p., tuttavia, nel
prevedere che “le

dodici mesi”,

nel

misure interdittive non possono avere durata superiore a
contempo prevede che esse “perdono efficacia quando è

decorso il termine ,fissato dal giudice nell’ordinanza. In ogni caso, qualora
siano state di,sposte per esigenze probatorie, il giudice può disporne la
rinnovazione nei limiti temporali previsti dal primo periodo – del comma 2.
2.3. La nuova disciplina- improntata alla valorizzazione degli
strumenti cautelari interdittivi, recependo l’esigenza di rendere il
termine di durata di tali misure più congruo, al fine di impedire che nella
pratica risulti limitata l’applicazione di esse, in alternativa alle misure
coercitive- introduce, pertanto, un modello “flessibile” di durata della
misura interdittiva, per il soddisfacimento di tutte le esigenze cautelari,
per un periodo oggetto di valutazione discrezionale del giudice, non
superiore nel massimo a dodici mesi. Ed è proprio la discrezionalità che
caratterizza attualmente la determinazione della durata della misura -a
differenza del previgente regime contemplante l’automatica caducazione
della misura interdittiva, decorso il tempo previsto dalla legge – che
impone al giudice uno specifico onere motivazionale in punto di durata
della cautela. Quando, infatti, il giudice fissa il termine di efficacia della
misura interdittiva, tale determinazione costituisce espressione del
principio generale per cui l’esercizio di un autonomo potere comporta il
dovere di esplicitare le ragioni che giustificano la decisione.
2.4. Nella fattispecie in esame deve rilevarsi come il Tribunale, a
fronte delle doglianze sviluppate con l’appello dall’indagato, in relazione
alla durata della misura interdittiva applicata nei suoi confronti nel

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sei mesi dall’inizio dell’esecuzione – innalzando il termine di durata

limite massimo dì dodici mesi, si sia limitato ad evidenziare che la
misura interdittiva in atto costituisce unica misura idonea (perché in
grado di impedire la reiterazione delle condotte) e proporzionata. Tale
motivazione all’evidenza non dà conto in alcun modo del fatto che il
giudice deve esporre le ragioni per le quali ritiene di fissare in un
determinato periodo la durata della misura interdittiva ed in merito
all’adeguatezza del termine fissato in relazione alle esigenze cautelari
da salvaguardare.

durata della misura interdittiva, con rinvio per nuovo esame al Tribunale
di Napoli, mentre nel resto il ricorso va respinto.
p.q.m.
annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla durata della misura
interdittiva con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli; rigetta
nel resto il ricorso.
Così deciso il 18.11.2015

3. Pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata limitatamente alla

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