Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13233 del 25/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13233 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
TRUPIANO MAURIZIO nato il 29/04/1964, avverso la sentenza del
10/05/2012 della Corte di Appello di Brescia;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Paolo Canevelli che ha
concluso per l’inammissibilità;
udito il difensore avv.to Gian Luigi Bezzi che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con sentenza del 10/05/2012, la Corte di Appello di Brescia, in
riforma della sentenza pronunciata in data 12/02/2009 dal Tribunale di
Bergamo – ed impugnata dal Procuratore Generale – dichiarava
TRUPIANO Maurizio colpevole dei reati di estorsione continuata ai danni
di Gimondi Tiziano di cui ai capi sub 1-2-3 della rubrica.

Data Udienza: 25/02/2014

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

546/1

LETT. G) COD. PROC. PEN.:

il ricorrente

ha eccepito la nullità della sentenza in quanto, nel momento in cui

Presidente estensore il quale, solo in data 05/06/2013, la sottoscriveva
come risultava da un’annotazione in calce alla sentenza, scritta e
firmata dallo stesso Presidente estensore che ne ordinava altresì la
notificazione all’imputato e al difensore. Il ricorrente ha eccepito
l’illegittimità della suddetta correzione in quanto «con la pubblicazione o
al limite con il deposito la sentenza diventa intangibile, salvo il
meccanismo di correzione previsto dall’art. 547 cod. proc. pen. che
esclude la sottoscrizione postuma del giudice».
2.2.

MANIFESTA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE:

il ricorrente ha

censurato la sentenza sotto i seguenti profili:
2.2.1. in ordine alla circostanza della costituzione del circolo di
lega Ambiente: la Corte aveva ritenuto attendibile il Gimondi nella parte
in cui aveva dichiarato che aveva conosciuto il Trupiano ben prima del
2002 e che le estorsioni e le dazioni di denaro erano avvenute prima di
questa data perché egli si ricordava che «le prime dazioni di denaro
sono state date in lire e nel 2002 le lire non c’erano più». Il ricorrente
sostiene che quanto riferito dal Gimondi non poteva essere vero perché
egli aveva fondato il circolo di Lega Ambiente di Cavernago nel dicembre
2001 e conobbe il Gimondi nella primavera del 2002, sicchè non
avrebbe potuto percepire dazioni in lire. La Corte, quindi, aveva
erroneamente affermato che il ricorrente aveva conosciuto il Gimondi
già del 1998 ed aveva, inoltre, travisato la dichiarazione resa dal teste
Locatelli Pier Luca il quale aveva sì affermato che il Trupiano anche da
lui si era presentato come un rappresentate della Lega Ambiente ma ciò
era avvenuto nel 2001/2002.
2.2.2. in ordine alle discrasie tra le dichiarazioni di Gimondi e
Gotti: il ricorrente sostiene che la Corte aveva superato l’affermazione
del tribunale – che aveva rilevato che le deposizioni di Gimondi e Gotti

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venne pubblicata in data 18/06/2012, non era stata firmata dal

non coincidevano su punti salienti della ricostruzione – in modo
contraddittorio. In particolare, il Gotti, a differenza del Gimondi, non
aveva riferito di alcuna minaccia da parte del Trupiano così come
ognuno dei suddetti testi aveva dichiarato cose differenti in ordine

versate al Trupiano: ma ciò non era credibile perché entrambi vivevano
a stretto contatto nella gestione aziendale e, quindi, non era possibile
che su fatti così importanti per la vita aziendale il Gotti riferisse una
cosa diversa da quella del Gimondi;
2.2.3. in ordine alla discordanza tra le dichiarazioni del Gimondi e
quelle del luogotenente Carulli: il ricorrente sostiene che la
contraddizione fra le due suddette dichiarazioni era stata superata dalla
Corte smentendo il Carulli sulla base di un inciso estrapolato da un più
ampio contesto nel quale aveva smentito il Gimondi secondo cui era
stato proprio il Carulli ad invitarlo a denunciare il Trupiano;
2.2.4. in ordine alle conversazioni intercettate Trupiano-Gotti, il
ricorrente contesta la motivazione con la quale la Corte aveva spiegato
le ragioni per le quali, in quelle conversazioni, il Gotti, pur avendone la
possibilità, non aveva affrontata la questione delle dazioni di denaro;
2.2.5. in ordine al collegamento tra articoli di giornale e
comportamento penalmente rilevante, il ricorrente osserva che la Corte
aveva motivato in modo contraddittorio perché, da una parte, aveva
affermato che gli articoli di giornale avevano una valenza neutra ma,
dall’altra, non aveva considerato che la suddetta condotta costituiva
proprio l’elemento materiale del reato contestato;
2.2.6. in ordine alla prova del reato costituita dalla consegna della
busta contenente la somma di C 10.000,00 e ripresa da una telecamera
nascosta, il ricorrente rileva la contraddittorietà della motivazione
perché travisa le affermazioni di esso ricorrente e valuta l’elemento
probatorio costituito dal fatto che l’imputato aveva preso la busta
riponendola in tasca «oltre la sua essenza e conformità al contenuto».
3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

629

COD. PEN.

per avere la Corte ritenuto che

il comportamento tenuto dal ricorrente fosse idoneo ad incutere timore,
pur senza indicare quale pregiudizio diretto ed immediato fosse stato

3

all’ammontare delle somme e sulla cadenza con la quale venivano

paventato da esso ricorrente e pur avendo escluso che il ricorrente
avesse scatenato contro la GTM gli organi di stampa.
DIRITTO
546/1

LETT. G) COD. PROC. PEN.:

la censura è

manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate.
In punto di fatto, sulla base degli atti processuali, si è accertato
che:
a) il dispositivo della sentenza fu letto all’udienza dibattimentale
del 10/05/2012;
b) la sentenza, la cui motivazione era stata redatta dal Presidente
del collegio dott.ssa Genalizzi, fu depositata il 18/06/2012 (cfr
attestazione del cancelliere a margine della sentenza) pur non essendo
stata sottoscritta;
c) nonostante il deposito, nessuna notifica fu effettuata alle parti;
d) in data 05/6/2013, il Presidente est., dott.ssa Genalizzi, appose
in calce alla sentenza la seguente nota:

«il sottoscritto presidente

estensore dott.ssa Daniela Genalizzi dà atto di avere firmato la sentenza
10-5*012 pronunciata nei confronti di Trupiano Maurizio in data odierna
5-6-013 e di averne altresì nella stessa data siglato le pagine pari. Si
notifichi la sentenza con la presente annotazione all’imputato e al
difensore. Brescia 5-6-013»;
e)

a seguito della notifica, l’imputato, a mezzo del proprio

difensore, ha proposto il presente ricorso per cassazione.
In punto di diritto, la soluzione alla suddetta “irregolarità”
procedurale, va trovata alla stregua della sentenza n° 14978/2012 riv
254671 con la quale le SSUU hanno affermato il seguente principio di
diritto: «La mancata sottoscrizione della sentenza d’appello da parte del
presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo
impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una
nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione
consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per
cassazione, comporta l’annullamento della sentenza-documento e la

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1. VIOLAZIONE DELL’ART.

restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla
deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della
sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall’estensore,
deve essere nuovamente depositata, con l’effetto che i termini di

notificazione e comunicazione dell’avviso di deposito della stessa
sentenza».
In motivazione, infatti, le SSUU hanno escluso che la mancata
sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una mera
irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell’errore
materiale oppure una nullità riguardante l’intero giudizio con
conseguente necessità di rinnovazione dello stesso o, infine,
l’inesistenza della sentenza.
La soluzione che, quindi, dovrebbe adottarsi, secondo quanto
statuito dalle SSUU, è che la “sentenza documento” dovrebbe essere
annullata e gli atti restituiti al giudice di appello, nella fase successiva
alla deliberazione, il quale dovrebbe provvedere ad una nuova redazione
della sola sentenza – documento (senza, quindi, alcuna possibilità di
mutare il contenuto della motivazione) che, sottoscritta dal presidente e
dall’estensore, dovrebbe essere nuovamente depositata e notificata al
fine di consentire nuovamente l’impugnazione della sentenza
regolarmente sottoscritta.
Sennonché, tutta la suddetta procedura, nel caso di specie, è
superflua, perché, come si è detto, di fatto, è già stata effettuata dalla
Corte territoriale in quanto: a) la sentenza priva di sottoscrizione, pur
essendo stata depositata, non fu mai notificata all’imputato o al suo
difensore, sicchè il termine di impugnazione è rimasto pendente per
circa un anno; b) la sentenza fu sottoscritta dal Presidente estensore il
quale, con la nota in calce, ha reso palese che, appunto, provvedeva a
sottoscriverla dopo il deposito, senza mutare il contenuto della
motivazione; c) dopo la sottoscrizione e, quindi, di fatto, dopo la
rinnovazione della sola sentenza documento, la sentenza è stata
notificata; d) l’imputato ha proposto regolarmente ricorso nei termini
decorrenti dalla notifica avvenuta successivamente alla sottoscrizione.

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impugnazione decorreranno, ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., dalla

In altri termini, l’annullamento della sentenza documento, nel caso
di specie, non avrebbe alcuna ragion d’essere proprio perché il
procedimento indicato dalle SSUU, finalizzato a far decorrere
nuovamente i termini di impugnazione rispetto ad una sentenza
regolarmente sottoscritta, è stato di fatto attuato, sicchè di nulla può

Di conseguenza, essendo stata la questione dedotta dal ricorrente
con ricorso pervenuto il 24/07/2013, decisa mesi prima dalle SSUU con
la citata sentenza depositata in data 29/03/2013, la censura non può
che essere dichiarata manifestamente infondata.

2.

MANIFESTA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE:

la complessa censura

dedotta dal ricorrente (che si snoda da pag. 3 a pag. 21 del ricorso), è
infondata per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Il ricorrente è stato condannato perché – avvalendosi della
sua qualità di presidente del circolo di Legambiente di Cavernago
costituito in data 11/12/2001 – mediante minacce consistenti nel
prospettare iniziative denigratorie con esposti alla Procura della
Repubblica o con una campagna di stampa sui giornali locali,
costringeva Gimondi Tiziano, legale rappresentate della GTM spa, a
corrispondergli, tramite il di lui collaboratore Gotti Giovanbattista, C
10.000,00 (il 17/05/2006: capo sub 1), C 8.000,00 per ogni anno dal
2001 al 2005 (capo sub 2), C 16.000,00, corrispondente al valore di
un’Alfa 166 (tra il 31/03/2005 e 13/04/2006: capo sub 3).

2.2. In punto di diritto, va rammentato che, secondo la costante e
consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, nella specifica
e particolare ipotesi in cui, a seguito dell’appello del Pubblico Ministero,
il giudice di appello condanni l’imputato assolto in primo grado, è tenuto
a dimostrare in modo rigoroso l’incompletezza o l’incoerenza della
sentenza di primo grado, non potendosi limitare a sovrapporre – sic et
simpliciter

la propria alternativa valutazione del compendio probatorio

a quella del primo giudice (SSUU 33748/2005 rv 231674).

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dolersi l’imputato.

Il problema che, quindi, pone il presente processo è duplice:
a) verificare se la Corte territoriale abbia confutato gli argomenti
posti a base dell’assoluzione da parte del primo giudice;
b) verificare se la motivazione sia o no immune da alcuno dei vizi

2.3. Quanto al primo punto, va osservato che la Corte, dopo avere
sintetizzato a pag. 6-7 gli argomenti addotti dal primo giudice, li
riprende a pag. 8 ss della motivazione e li confuta uno per uno in modo
analitico.
D’altra parte, lo stesso ricorrente non ha lamentato vizi di omessa
motivazione da parte della Corte su punti decisivi addotti nella sentenza
di primo grado, essendosi limitato a stigmatizzare, di volta in volta, le
contraddittorietà e illogicità da cui sarebbe affetta la motivazione della
sentenza.
Di conseguenza, l’esame di questa Corte sarà limitato a verificare
se la sentenza impugnata sia affetta dai vizi motivazionali dedotti dal
ricorrente.

2.4. La Corte, ha, innanzitutto, preso in esame la circostanza
secondo la quale le prime richieste di denaro che l’imputato fece come
Presidente di Legambiente risalivano a prima del 11/12/2001 e cioè in
un momento in cui il circolo della Legambiente di Cavernago non era
stato ancora costituito. Da questa discrepanza temporale, il giudice di
primo grado aveva desunto una inverosimiglianza delle testimonianze
del Gimondi e del Gotti in quanto non poteva il Trupiano presentarsi
come Presidente di un circolo che non era stato ancora costituito.
La Corte, però, alla stregua di puntuali elementi fattuali desunti
proprio dalle stesse dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’esame
dibattimentale, ha ribattuto che non vi era nulla di inverosimile nelle
dichiarazioni dei testi Gimondi e Gotti in quanto era risultato pacifico anche dalle dichiarazioni del teste Locatelli – che il Trupiano era solito
presentarsi come “lega Ambiente” fin dal 1999 e cioè molto tempo
prima che il circolo di Cavernago fosse aperto.

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previsti dall’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.

A fronte di tale puntuale motivazione, il ricorrente (pag. 4-7 del
ricorso), al di là che ripetere che la motivazione della Corte sarebbe
illogica e contraddittoria, in realtà, non ha evidenziato in cosa si
sostanzierebbe, in concreto, il suddetto vizio.
In altri termini, la Corte ha rilevato che: a) il Trupiano, anche

quale divenne Presidente, si presentava come “Lega Ambiente”; b) di
conseguenza, i testi Gotti e Gimondi che avevano dichiarato che le
richieste di denaro erano iniziate

prima dell’apertura del suddetto

circolo, non potevano essere affatto ritenute inverosimili sol perché
all’epoca, il circolo Legambiente non era stato aperto ed il Trupiano non
ne era diventato ancora Presidente.
Posto, quindi, che il dato probatorio sub a) è pacifico e non è
contestato neppure dalla difesa, non è chiaro in quale contraddittorietà
o illogicità la Corte sarebbe incorsa.

2.5. La Corte, poi, ha preso in esame quella parte della
motivazione con la quale il tribunale aveva ravvisato delle gravi
dissonanze fra le dichiarazioni dei due suddetti testi sia in relazione alle
modalità di richiesta del denaro che alla loro frequenza ed ammontare
ed ha ritenuto che «tali discrasie (che peraltro comprovano l’assenza di
versioni concordate) sono in parte non corrispondenti al dato
processuale e in parte irrilevanti»: la suddetta affermazione, è stata
effettuata alla stregua di una puntuale disamina delle dichiarazioni
testimoniali (pag. 9-10 della sentenza).
In questa sede, il ricorrente (pag. 7-10 del ricorso), ha censurato
la suddetta motivazione, rifacendosi, in pratica, a quanto sostenuto dal
primo giudice, trascurando di considerare, però, che la Corte ha preso in
considerazione quella motivazione e l’ha confutata: la censura, quindi,
nei termini in cui è stata dedotta, è mal posta, perché non poteva il
ricorrente riproporre la propria alternativa tesi difensiva a fronte di
quella sostenuta dalla Corte, ma avrebbe dovuto dimostrare dove, come
e perché la motivazione della Corte era affetta da uno dei dedotti vizi
motivazionali.

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prima che fosse costituito il circolo di Legambiente di Cavernago del

2.6. La Corte (a pag. 10), ha preso in esame la circostanza
secondo la quale il Gimondi sarebbe stato smentito, secondo il tribunale,
sulla genesi della vicenda processuale, dal luogotenente del NOE, Carulli
e, dopo un’analisi della vicenda, ha così concluso:

«il tema non ha

su tale circostanza. A ben vedere la discrasia è molto più modesta di
quanto si vorrebbe [….]».
Il ricorrente, ancora una volta, lungi dal dimostrare l’illogicità della
suddetta conclusione, non fa altro che rifarsi alla motivazione del
tribunale, sostenendo che «l’iniziativa accusatoria ritorsiva e vendicativa
del Gimondi nacque esclusivamente da un’iniziativa di quest’ultimo

1….1».
Al che deve replicarsi che la Corte non ha mai messo in
discussione che le indagini fossero iniziate a seguito della denuncia
sporta dal Gimondi in data 30/12/2005: la Corte si è solo limitata a
prendere atto di due fatti e cioè: a) che la genesi della vicenda
processuale, era ininfluente; b) che, al di là di quello che Gimondi e
Carulli potessero aversi detto sulla vicenda, quello che era certo è che, il
Carulli, in data 28/05/2005, allorchè il Gimondi gli confidò che il
Trupiano gli estorceva denaro, aveva insistito perché lo denunciasse: il
che il Gimondi fece dopo appena due giorni.

2.7. La Corte, poi, ha preso in esame l’argomento speso dal
Tribunale a favore del Trupiano e rappresentato dagli articoli di stampa
prodotti dall’Accusa che non dimostrerebbero alcun accanimento
dell’imputato contro l’attività del Gimondi, ma, anzi,

«attesterebbero

come proprio Trupiano avesse ad un certo punto proposto la formazione
di una commissione di controllo della GTM iniziativa diretta a favorire il
possibile dissequestro della GTM» (pag. 11 -12 sentenza impugnata). La
Corte, dopo un’analisi della suddetta documentazione, ha concluso che
«trattasi di materiale sostanzialmente neutro sotto il profilo probatorio e
comunque insufficiente a verificare che le variazioni di rotta fossero
connesse alla dazioni di denaro». La Corte, peraltro, ha stigmatizzato

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rilievo ai fini del decidere e nessun interesse aveva il Gimondi a mentire

l’atteggiamento ambiguo tenuto dal Trupiano che «pochi giorni prima di
accettare i 10.000,00 euro dalla GTM si preoccupava di prospettare ad
un funzionario del NOE una situazione di illegalità dell’operato della
stessa che non venne però confermata dalle indagini».

contraddittoriamente, dato ragione alla tesi difensiva che aveva sempre
sostenuto che non fosse stato dimostrato alcuna nesso causale fra le
richieste estorsive e gli articoli di giornale pubblicati sulla stampa locale.
Al che deve replicarsi che la Corte, al di là del contenuto degli
articoli di giornale (alcuni dei quali, però, contenevano attacchi frontali
alla GTM) ha, comunque, stigmatizzato il comportamento ambiguo
tenuto dal Trupiano, ossia proprio quel comportamento estorsivo
descritto nei capi d’imputazione e consistente nel prospettare campagne
di stampa contro la GTM e per evitare il quale il Gimondi, di volta in
volta, pagava.

2.8. La Corte, infine (pag. 12 ss), ha preso in esame quella che si
può definire la prova regina dell’accusa ossia che: a) Gimondi e Gotti,
pacificamente, pagarono, nella primavera del 2005, la somma di C
16.000,00 che il Trupiano utilizzò per acquistare una Alfa Romeo; b) il
Trupiano venne ripreso il 17/05/2006 mentre intascava una busta che
gli porgeva il Gotti contenente la somma di C 10.000,00, tant’è che fu
arrestato in flagranza di reato.
Nell’ambito di tali fatti, va inserito anche l’episodio riguardante il
contenuto della conversazione intercettata fra Trupiano e Gotti,
conversazione dalla quale il tribunale aveva tratto un elemento a favore
dell’imputato in quanto, in quella conversazione, il Gotti, pur avendone
avuta la possibilità, non aveva affrontato con il Trupiano la questione
delle dazioni di denaro (pag. 11 sentenza). In ordine a quest’ultimo
punto, ancora una volta, la Corte, dopo aver ricostruito la vicenda,
spiega le ragioni per le quali la conclusione che il tribunale aveva tratto
sull’inattendibilità del Gotti, doveva ritenersi affrettata, sia perché il
teste, in dibattimento aveva spiegato le ragioni della sua prudenza, sia

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Il ricorrente, in questa sede, ha sostenuto che la Corte avrebbe,

perché era del tutto pacifico che il Trupiano aveva chiesto al Gotti un
contributo per cambiare la vettura.
I fatti riguardanti la dazione della complessiva somma di €
26.000,00, come si è detto, sono pacifici.
La tesi difensiva, recepita dal tribunale, è che la somma di €

GTM nel reperimento di materia prima organica necessaria per la
produzione di compost e che la consegna della busta contenente la
somma di € 10.000,00 era stata in realtà “una trappola” come si
desumeva dal breve colloquio che era avvenuto fra il ricorrente e lo
stesso Gotti.
Sul punto, la Corte, (pag. 13 ss) ha ampiamente spiegato le
ragioni che, sia sotto il profilo fattuale che logico, rendevano la tesi
difensiva «per nulla credibile»: la motivazione, prende in esame tutti gli
argomenti difensivi ma li confuta uno per uno.
In questa sede, il ricorrente, non ha fatto che ribadire la propria
tesi difensiva la quale, però, con tutta evidenza, va ritenuta null’altro
che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una
nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in
esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di
aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha
puntualmente disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal
ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova
rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata
inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,

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16.000,00 compensavano una collaborazione prestata a favore della

ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato

ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.
In altri conclusivi termini, il tentativo dell’imputato di dimostrare la
manifesta illogicità della motivazione, s’infrange di fronte ai due dati
probatori emersi con certezza dal processo e cioè la dazione di C
16.000,00 (serviti per acquistare un’auto) e l’ulteriore dazione di C
10.000, in quanto l’alternativa tesi difensiva prospettata è risultata
illogica e contraria agli elementi fattuali secondo l’ineccepibile
motivazione addotta sul punto dalla Corte territoriale. Ed invero, anche
le testimonianze del Gotti e del Gimondi, lette e valutate alla luce dei
suddetti fatti, appaiono pienamente attendibili in quanto prive di
contraddizioni sostanziali come pure ha dimostrato la Corte nella sua
motivazione.
Di conseguenza, il ricorso, essendo fondato sulla mera
riproposizione di elementi fattuali, va ritenuto manifestamente
infondato.

3. VIOLAZIONE DELL’ART.

629

COD. PEN.:

anche la suddetta doglianza è

priva di alcun pregio, in quanto, ricostruiti i fatti nel senso indicato dalla
Corte territoriale e, quindi, così come descritti nel capo d’imputazione,
non vi può essere alcun dubbio sulla configurabilità del reato di
estorsione sia sotto il profilo oggettivo (minaccia di una denuncia diretta
non all’accertamento di fatti illeciti ma a conseguire un ingiusto profitto)
che soggettivo.

4. In ultimo questa Corte ritiene di evidenziare quanto segue.
La Corte territoriale, come si è detto, ha riformato, la sentenza di
assoluzione di primo grado, condannando, quindi, l’imputato.

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di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando

Per giungere a tale conclusione, la Corte ha agito su un duplice
piano:
a) ha rivalutato le testimonianze accusatorie dei testi Gimondi e
Gotti ritenuti dal Tribunale, inattendibili;

Trupiano veniva immortalato mentre intascava la busta contenente la
somma di € 10.000,00 che il Gotti gli porgeva.
La sentenza, quindi, oggettivamente, pone il problema del se e in
che termini abbia violato l’art. 6 della CEDU.
Com’è ben noto, la Corte di Strasburgo ha affermato che coloro i
quali «hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza
dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente
e valutare la loro attendibilità” e che “la valutazione dell’attendibilità di
un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere
eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate»:
sentenza 5.7.2011, Dan c. Moldavia; in senso analogo v. anche
21.9.2010, Marcos Barrios c. Spagna; 27.11.2007, Popovici c. Moldavia.
Questa Corte di legittimità, adeguandosi all’interpretazione che la
Corte di Strasburgo ha dato dell’art. 6 CEDU, ha stabilito che, da una
parte, «È illegittima la sentenza d’appello che, in riforma di quella
assolutoria condanni l’imputato sulla base di una alternativa
interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo
grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore
della motivazione, tale da far cadere “ogni ragionevole dubbio»:
Cass. 49755/2012 Rv. 253909 – Cass. 1514/2012 Rv. 253940 Cass. 1266/2012 Rv. 254024 – Cass. 8705/2013 Rv. 254113 – e,
dall’altra, che «Il giudice di appello per riformare in peius una sentenza
assolutoria è obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato
dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011,
nel caso Dan c/Moldavia – alla rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale solo quando intenda operare un diverso apprezzamento
di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non

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b) ha rivalutato, in senso accusatorio, la ripresa video nella quale il

attendibile»:

Cass. 16566/2013, Caboni; Cass. 28061/2013 Rv.

255580; Cass. 5854/2012 Rv. 254850.
Tanto premesso in punto di diritto, in ordine alla fattispecie in
esame, va osservato quanto segue.

CEDU non è applicabile in quanto, secondo il principio di diritto
enunciato da questa Corte, che in questa sede va ribadito, «il giudice di
appello, per riformare “in peius” una sentenza di assoluzione, non è
obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato nella
sentenza della Corte EDU del 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia – alla
rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado quando la
sua decisione si fonda su un diverso apprezzamento di conversazioni
telefoniche oggetto di intercettazione»:

Cassazione penale sez. II,

17/05/2013 n° 29452 riv 256467
E’ chiaro, infatti, che, a fronte di una prova di natura documentale
(tale deve ritenersi la ripresa video: sul punto cfr, mutatis mutandis,
Cass. cit.) che non può essere rinnovata, non si pone alcun problema di
applicabilità dell’art. 6 della CEDU, trattandosi solo di verificare se la
motivazione che il giudice ha dato in ordine all’interpretazione di un
certo fatto così come documentato da un filmato, sia o no logica,
congrua ed adeguata.
In ordine al punto sub a) (rivalutazione delle testimonianze di
Gotti e Gismondi), invece, l’art. 6 CEDU sarebbe, in astratto, applicabile.
Sta di fatto, però, che la suddetta eccezione non è stata mai
dedotta dal ricorrente (neppure in sede di discussione).
Il problema, quindi, che si pone è se l’eccezione relativa alla
violazione dell’art. 6 CEDU possa o no essere rilevata d’ufficio.
Ora, pur a voler dare risposta affermativa al quesito, la questione,
nella presente fattispecie, non si pone in quanto il ricorso è
manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.
Dal che consegue che si rende applicabile quel consolidato
principio di diritto secondo il quale l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il
formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la

14

In ordine al punto sub b) (rivalutazione della ripresa video), la

possibilità di rilevare e dichiarare d’ufficio ogni eccezione: ex plurimis
SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero in
materia di rilevabilità delle cause di non punibilità a norma dell’art. 129
c.p.p.

norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e d Ila somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 25/02/2014

5. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a

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