Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 13227 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 13227 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 20/02/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di
COLUCCI Francesco, n. a Cropani il 25.05.1936
COLUCCI Ernesto, n. a Cropani il 21.08.1934
MAIDA Paolo, n. a Botricello il 09.08.1967
tutti rappresentati e assistiti dall’avv. Luigi Sciumbata,
avverso la sentenza emessa in grado d’appello dal Tribunale di
Catanzaro, prima sezione penale, n. 27/2011 in data 18/10/2012 con
la quale veniva confermata la sentenza di condanna pronunciata dal
Giudice di Pace di Cropani in data 11.05.2011 a carico degli imputati
COLUCCI Francesco, COLUCCI Ernesto e MAIDA Paolo, appellata dai
medesimi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;

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udite le conclusioni assunte dal Sostituto procuratore generale dott.
Giulio Romano che si è opposto al rinvio per astensione dalle udienze
richiesto dalla difesa dei ricorrenti e ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 11.05.2011 dal Giudice di Pace di
Cropani, COLUCCI Francesco, COLUCCI Ernesto e MAIDA Paolo

(unitamente a Grano Angelo) venivano dichiarati responsabili del reato
di cui agli artt. 110, 81 cpv., 633 cod. pen., per aver in concorso
morale e materiale tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno
criminoso, in più occasioni, invaso la proprietà di Grano Sebastiano al
fine di prelevare abusivamente dell’acqua da una presa d’acqua ivi
esistente, fatti avvenuti in Andali il 30 ed il 31 dicembre 2006, e
condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, alla pena di euro 150,00 di multa ciascuno, con condanna
altresì al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile,
liquidati in euro 100,00 a carico di ciascuno nonché delle spese.
2. Avverso tale pronuncia veniva proposto appello dagli imputati
deducendo:
– l’errata valutazione delle prove sotto molteplici profili, l’inattendibilità
delle dichiarazioni della persona offesa e del teste Iuliano Saverio,
l’evidente contraddizione nella valutazione delle risultanze probatorie;
– la mancanza assoluta dell’elemento soggettivo del reato;
-l’inesistenza del diritto di proprietà esclusiva della zona di terreno
interessata.
3. Con sentenza del Tribunale di Catanzaro in data 18.10.2012, il
giudice d’appello confermava la pronuncia di primo grado, respingendo
il relativo gravame.
Evidenziava il giudice dell’appello come la tesi difensiva che non vi
potesse essere stato il contestato ingresso sul fondo altrui a ragione
dell’esistenza di una fascia di rispetto intorno alla bocca d’acqua, ossia
una striscia di terreno di proprietà del Consorzio di bonifica cui si
accede attraverso una piccola strada rispetto alla quale i (fratelli)
COLUCCI godevano di una servitù di passaggio non era suffragata dalle
risultanze processuali. Invero, sebbene il teste Grano Sebastiano,
persona offesa, avesse riferito che qualche tempo prima dell’episodio

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in contestazione aveva concesso ai COLUCCI la possibilità di accedere
al fondo per prendere acqua, si era altresì accertato – sempre tramite
la sua deposizione – che successivamente detta autorizzazione era
stata revocata a seguito di contrasti tra i COLUCCI ed una sua
dipendente, revoca di cui i COLUCCI erano stati edotti. Irrilevante era
per il Tribunale la pretesa contraddizione in ordine alla presenza o
meno del Grano al momento dei fatti (presenza avvalorata dal teste

Iuliano), atteso che gli imputati non avevano negato di aver preso
l’acqua adducendo tuttavia di essere stati autorizzati dal Grano a farlo.
4. Avverso detta pronuncia, nell’interesse di COLUCCI Francesco,
COLUCCI Ernesto e MAIDA Paolo veniva proposto ricorso per
cassazione per i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., per
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per
travisamento del fatto (primo motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., per
inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre
norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge
penale (secondo motivo).
Con richiesta di annullamento con o senza rinvio della sentenza
impugnata e l’adozione di ogni provvedimento consequenziale.
In relazione al primo motivo, lamentano i ricorrenti come fosse dato
incontestabile che un ente pubblico avesse realizzato l’acquedotto in
questione e che detta opera fosse di proprietà non del Grano bensì del
Consorzio di bonifica, i cui servizi forniti erano ad asservimento non del
singolo ma dell’utenza pubblica: costruzione dell’opera che aveva
imposto delle fasce di rispetto consortili che non potevano appartenere
al proprietario del fondo servente.
Pertanto, proprio la collocazione del sito (strada provinciale Cuturella Cropani) e la presenza di una circostante fascia di rispetto impeditiva
al Grano di esercitare qualsiasi diritto soggettivo sul cespite, finiva per
provare l’inesistenza dell’elemento oggettivo del reato di invasione di
terreno.
Non poteva poi tacersi la discordanza tra la versione del Grano in
querela (ove aveva sostenuto che l’invasione si era verificata alla sua
insaputa e durante la sua assenza dall’azienda) e quella resa a

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dibattimento (ove aveva al contrario dichiarato di essere stato
presente sul posto e di aver sorpreso i responsabili in luogo).
In relazione al secondo motivo, lamentano i ricorrenti come il reato di
cui all’art. 633 cod. pen. non fosse configurabile per l’inesistenza del
concetto di “invasione” che presupponeva l’entrata del fondo altrui e la
necessità che il fondo sia delimitato e individuabile con certezza
attraverso una recinzione di qualsiasi natura. Nel corso del processo

era emerso come la presa d’acqua insistesse su uno spazio non di
proprietà del Grano e come la stessa non presentasse alcuna
recinzione idonea ad individuarne con certezza limitazioni ascrivibili
alla proprietà privata del Grano: da qui l’inesistenza anche
dell’elemento soggettivo del reato in contestazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Preliminarmente il Collegio prende atto come in data 19.02.2014 il
legale dei ricorrenti, avv. Luigi Sciumbata, abbia fatto pervenire in
cancelleria comunicazione di adesione all’astensione dall’attività
forense indetta per il 18/20 febbraio 2014 dall’O.U.A. (Organismo
Unitario dell’Avvocatura) chiedendo il rinvio dell’udienza.
L’istanza è inaccoglibile sotto due profili:
-il primo, perché il differimento è stato richiesto con comunicazione di
astensione trasmessa o depositata in cancelleria in data 19.02.2014 e,
quindi, fuori dal termine previsto dall’art. 3, comma 1 lett. b) del
codice di autoregolamentazione adottato il 4 aprile 2007 (almeno due
giorni prima della data stabilita), dovendo – nella fattispecie – tale
istanza essere trasmessa o pervenire entro e non oltre il 18.02.2014;
-il secondo, perché l’istante non ha dimostrato di aver comunicato agli
altri avvocati costituiti (nella specie, l’avv. Francesco Gigliotti,
difensore della parte civile Grano Sebastiano), nel medesimo termine
in scadenza il 18.02.2014 la propria dichiarazione di astensione, in
ottemperanza a quanto previsto dal già citato art. 3, comma 1 lett. b)
cod. autoreg., né avendo comunque dichiarato o fatto pervenire
dichiarazione impegnativa di aver in ogni caso adempiuto a tale
obbligo informativo anche con l’adozione di forme comunicative diverse
da quelle scritte.
6. Il ricorso è infondato e, come tale, va rigettato.

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7. Va innanzitutto premesso che lo sviluppo argomentativo della
motivazione della sentenza impugnata, da integrarsi con quella di
primo grado, è fondato su una coerente analisi critica degli elementi di
prova e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo,
alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e
giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza,
rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità del ricorrente

in ordine al delitto contestato. La motivazione della sentenza
impugnata supera pertanto il vaglio di legittimità demandato a questa
Corte, alla quale non è tuttora consentito di procedere ad una
rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del
ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da
quelli fatti propri dal giudice del merito.
8. Su tutte le censure proposte, i giudici di merito offrono motivazione
congrua e priva di vizi logico-giuridici.
In particolare, in relazione ad entrambi i motivi di gravame trattabili
congiuntamente per sostanziale unicità d’oggetto, la sentenza d’appello
riconosce come “… nessun elemento, scaturente da fonte di prova di
eguale valenza, è stato addotto per far dubitare che Grano Sebastiano
e Iuliano Saverio abbiano reso una ricostruzione dei fatti … non
conforme al vero. Né, peraltro, sull’aspetto decisivo della mancanza di
esclusiva titolarità, in capo al Grano, della fascia di terreno circostante
la bocca d’acqua, è stata fornita alcuna prova orale/documentale,
sicchè non si può dubitare della veridicità dell’asserzione sul punto
della parte civile, essendo incontestato che questa sia formalmente
proprietaria del terreno su cui si trova la bocca d’acqua in oggetto, ciò
che induce a ritenerne la titolarità esclusiva anche della porzione do
terreno ad essa adiacente”.
Rileva inoltre il Collegio come il giudizio di credibilità delle
testimonianze Grano e Iuliano operato dai giudici di merito debba
ritenersi correttamente operato, avuto riguardo ai criteri di valutazione
più volte esplicitati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale
in tema di valutazione della prova testimoniale, il giudice, pur essendo
indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone
l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente
tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che
il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e

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riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere:
in assenza, quindi, di siffatti elementi, il giudice – come avvenuto nella
fattispecie – deve presumere che il teste, fino a prova contraria,
riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve
perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello
che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che
emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (Cass., Sez. 4, n.

234830).
9. Alla pronuncia consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali

PQM

Respinta l’istanza di rinvio, respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 20.2.2014

35984 del 10/10/2006-dep. 27/10/2006, Montefusco e altri, rv.

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